ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

15 gennaio, 2023

La tribolata Salome se la cava alla Scala.

Questa Salome già era nata sotto cattivi auspici, che si materializzarono in epoca-Covid, quando l’opera fu messa in scena (con un anno di ritardo e in… streaming) in un teatro vuoto, con platea occupata dall’orchestra. E con Chailly (non il designato Mehta) sul podio. Mehta che ha ancora dovuto dare forfait, sostituito dal volonteroso Axel Kober (per 4 recite) e dal meno conosciuto Michael Göttler per le 2 restanti.

Tuttavia mi sento di dire che il pericolo è scampato, ecco. Kober è ormai un vecchio marpione del tardo-ottocento wagneriano (è approdato a Bayreuth…) e l’Orchestra scaligera ne ha ben assecondato la lettura a fosche tinte.

Anche il cast si è ben difeso: su tutti Michael Volle, autorevolissimo Jochanaan (anche lui è stato presentato, come fanno quasi tutti i registi che applicano lo stereotipo del profeta nel deserto: età minimo 70 anni e aspetto cimiteriale, quando sappiamo che il nostro aveva al massimo 30 anni – coetaneo di Gesù – e viene descritto da Wilde-Strauss come molto giovane e con la carne d’avorio!)

Poi bene la protagonista, la bella lituana Vida Miknevičiūtė, che magari potrei criticare per insufficiente cattiveria – sul piano scenico – ma che su quello musicale mi è parsa davvero encomiabile.

Da apprezzare anche l’Erode di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, assai efficace nei suoi accorati quanto ingenui – e quindi infruttuosi – tentativi di pagare in banalità materiali il cruento debito inconsapevolmente contratto con la nipotina terribile.

Due veterane dei palcoscenici d’opera (la Herodias di Linda Watson e la travestita Lioba Braun, che il regista, bontà sua, degrada da giovin paggetto della prima a babbiona badante di casa) hanno fatto onestamente e con profitto la loro non impervia parte.  

Positiva menzione anche per il complessato Narraboth di Sebastian Kohlhepp, voce squillante e ben impostata.

Onesti tutti gli altri (in particolare i 5 ebrei) che completano il cast.

Per tutti alla fine applausi abbastanza nutriti da parte di un pubblico che francamente non mi aspettavo così folto (rispetto al Boris, per dire).
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La messinscena di Michieletto mi aveva lasciato fra l’indifferente e il deluso vista in streaming. Oggi non ha migliorato molto il suo voto: il regista non rinuncia mai a dare la sua interpretazione del soggetto inventandosi dei precedenti che non si trovano né in Strauss né in Wilde, e quindi possono poi giustificare ogni deviazione rispetto all’originale.

Per il resto invenzioni riciclate (lo sferone appeso al soffitto che ricorda Prova d’Orchestra) o pacchianate a buon mercato, come la testa di Jochanaan che sale dal pozzo come un grande cammeo incastonato in un gigantesco ostensorio da altare, mentre alla povera Salome tocca accarezzare e baciare un rinsecchito teschio amletico… Oppure l’infinite volte abusato trucco di presentare una controfigura della protagonista da bambinella che assiste all’ammazzamento del padre, per spiegare perché la bambinella medesima sia cresciuta con qualche freudiano problemino…

Ma tutto sommato Michieletto ne ha fatte anche di peggio, quindi accontentiamoci così.

14 gennaio, 2023

laVerdi 22-23. 11

La stagione principale è ripresa ieri con il Concerto n°11, diretto da Kolja Blacher. Il quale questa volta si è limitato a calcare il podio, lasciando l’onore del solista di violino a Javier Comesaña, 23enne andaluso in rapida ascesa, dotato di un Guadagnini del 1765.

La prima parte del concerto è riempita da Lenny Bernstein e dalla sua Serenata dal Simposio di Platone, opera del 1954, composta su commissione della Fondazione Koussevitzky e presentata in origine alla Fenice, con l’Autore sul podio e il grande Isaac Stern al violino, accompagnato dalla Israel Philharmonic. Rimando all’Appendice per un’esplorazione più dettagliata dell’opera.

Opera che viene opportunamente introdotta da una simpatica quanto interessante esegesi-parafrasi del Simposio presentata dal grande Massimiliano Finazzer Flory.

Poi arriva Comesaña e sciorina tutta la sua sopraffina tecnica nel porgerci questa musica che mescola tradizione classica con jazz, bachiane cadenze ed atmosfere da musical

E l’ensemble che lo accompagna, sapientemente guidato da Blacher e dal Konzertmeister Dellingshausen, svolge alla perfezione il suo compito, meritandosi convinti applausi dal pubblico non propriamente oceanico (insomma: pochi ma buoni!): sugli scudi in particolare il violoncello di Mario Shirai Grigolato, degno partner di Comesaña nella difficile cadenza di… Diotima. 
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Dopo l’intervallo, ecco la Scozzese di MendelssohnBlacher ne dà un’interpretazione asciutta ma vibrante, che evoca perfettamente le atmosfere ossianiche delle Ebridi, le folate di vento e le mareggiate che costellano l’iniziale Allegro un poco agitato. Fausto Ghiazza arabesca da par suo le acrobazie del clarinetto nel Vivace non troppo. Mirabile la resa della struggente melodia dell’Adagio, e poi trascinante l’Allegro vivacissimo, chiuso infine dalla vittoriana apoteosi.

Grande successo per tutti, e Insomma ancora una gratificante serata di musica.
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Appendice: la Serenade dal Simposio.

Queste le note introduttive al lavoro redatte dallo stesso Bernstein:

Nel Simposio di Platone si celebrano le magnifiche e progressive sorti dell’Amore. La Serenade è strutturata in cinque parti che ripercorrono, senza rispettarne rigorosamente la sequenza, i lavori del Simposio (che fu in realtà una prosaica mangiata e soprattutto… bevuta) evocando i principali interventi di sette dei convenuti, i cui nomi compaiono in testa a ciascun movimento del concerto.  

Bisognerebbe entrare nella mente di Bernstein per cogliere le oscure sensazioni da lui provate alla lettura del Simposio e poi dalla sua penna tradotte in musica. Le note lasciate dal compositore e riportate più sopra furono in realtà redatte a-posteriori, e chiariscono più che altro le relazioni di carattere musicale fra i diversi movimenti del concerto. Questa è comunque musica che si può apprezzare anche senza necessariamente rifarsi al platonico testo

Orchestra poco più che cameristica, con totale assenza di fiati: al corpo degli archi si aggiungono l’arpa e una nutrita schiera di percussioni.

Proviamo ad esplorarla inquesta esecuzione (1986) della LSO con Gidon Kremer, guidati dall’Autore.

I Lento – Allegro [Phaedrus-Pausanias] 

Abbiamo qui l’inizio delle… ostilità de simposio, artefici Fedro cui risponde Pausania. Il violino solista introduce, in tempo Lento, il delicato tema di Fedro, l'amore descritto come il dio più antico. L’inciso a (soprattutto nella forma a’) ricorda da vicino un motivo che compare (e poi ne costituisce parte rilevante) nell’Andante della Sesta di Mahler. Un altro (b) anticipa scopertamente (salita da tonica a quarta aumentata e poi alla quinta) l’appassionato Maria! di West Side Story:

Il tema (fugato) viene ripreso a canone (1’02”) dai primi violini, quindi (1’55”) irrobustito dall’ingresso delle viole e infine espanso al massimo grado (2’48”) da quello dei bassi, che reiterano enfaticamente l’inciso b, ulteriormente marcato dagli schianti del piatto sospeso e con il tempo che accelera vistosamente per preparare la… replica di Pausania.

 

Dopo questa Introduzione, passiamo al corpo si questo movimento, che possiamo definire di spuria forma-sonata: il solista vi presenta per due volte i due temi (T1 e T2) di Pausania, sempre variati e intervallati da opportune transizioni. Una coda (con lacerti dei due temi) chiude poi il movimento.

 

Il tempo passa in Allegro marcato (2’58”) dove viole e celli sembrano proprio riprendere il discorso di Fedro, cui il violino solista Pausania (3’03”) comincia ad… obiettare, limitandosi per ora ad esporre (quasi timidamente e un tono più sotto di quando arriverà il momento) la cellula iniziale (c) del suo secondo tema. Ma per ora il suo primo intervento (e relativo tema T1) non fa che riprendere il motivo a di Fedro per discettarci sopra ampiamente:



Gli archi per un po’ lo seguono pazientemente, fino però a sbottare (3’22”, supportati anche da arpa, glockenspiel e tamburi) in una vivace contestazione, con successivo e ripetuto botta-e-risposta con l’intervenuto:



Questa transizione porta (3’44”) all’esposizione nel violino solista della sua compiuta visione dell’amore (tema T2) a partire dalla cellula c, alzata di un tono intero (il nostro ha preso coraggio!) rispetto al suo iniziale apparire:













Questo secondo tema contrasta nettamente con il primo, presentandosi irregolare e guizzante, come testimoniano le ricorrenti acciaccature (d): se Fedro ha santificato l’amore, Pausania si occupa dell’amato, perché no, anche sul piano… omosessuale (sappiamo come questo aspetto fosse caro a Bernstein…)


Una nuova – diversa, trionfale, che riprende una parte del tema T2 - irruzione degli archi (4’30”, con arpa e percussioni) sembra voler irridere Pausania, che è costretto a difendersi citando ancora Fedro (motivo a). Dopo un momentaneo rallentamento, riprende il tempo Allegro (4’49”) con l’orchestra che induce Pausania a tornare al tema T1.

 

Si ripete la prima irruzione degli archi (5’12”) cui Pausania risponde (5’27”) con la riproposta del suo tema T2, che stavolta però scende (forma-sonata?) di una quinta giusta, partendo dal SI sotto il rigo!


Torna (6’12”) la seconda, trionfale irruzione degli archi (con rintocco di campana!); archi che poi (6’30”) innescano la coda, evocando una caotica diatriba fra le posizioni di Fedro e Pausania, con i due temi che sembrano schizzare qua e là. Finchè (6’51”) è una versione distorta del tema T2 (con fuoco) a tagliar corto alla discussione!


II Allegretto [Aristophanes]

Si noti che Bernstein qui non rispetta la sequenza degli interventi come esposta da Platone (nel Simposio è Erissimaco a parlare prima di Aristofane il quale, con una scusa, salta il suo turno e parla dopo, criticando sia Pausania che Erissimaco). Il movimento – senza interventi delle percussioni - alterna un tema languido, femminino, e uno secco, mascolino: un modo intelligente per presentarci poeticamente il mito dell'andrògino, caro ad Aristofane. Sono i violoncelli (7’10”) ad introdurre il primo tema (T3) esposto dal solista:

Si notino le acciaccature (d, caratteristiche del tema T2 di Pausania) che si ripeteranno anche nel seguito del brano. Gi archi riprendono il tema modulando sottilmente (per 29 battute compaiono ben 7 diesis in chiave!) mentre il violino solista si abbandona ad una melopea che richiama -largamente – anche l’inciso a di Fedro.

Un nobile motivo (e, cantando) viene esposto (8’30”) a canone da celli e viole:

Esso fa da ponte verso l’esposizione (9’01”, scherzando) del secondo tema (T4) di Aristofane, nettamente contrastante con il primo, preceduto da un motivo (f) che il solista riprende dagli archi:

L’esposizione di T4 è chiusa dal solista (9’27”, poco largamente) con la ripresa del motivo e, poi tornato anche negli archi. I quali (9’54”) ripropongono anche il motivo f, subito imitati dal solista.

Ci si avvia ora alla conclusione: si odono (10’10”) lacerti del tema T3 nel solista e – assai enfatizzati (10’39”) - negli archi e arpa, poi la melopea del solista (10’54”), accompagnata da timidi interventi di archi e arpa, che sembra svanire nel nulla.

III Presto [Eryximachus]

Erissimaco è un medico, ma possiede anche grandi conoscenze musicali e il suo è un appassionato intervento in favore dell'armonia, nel corpo come nello spirito. In questo brevissimo movimento (poco più di 100 secondi) il solista propone delle idee e l'orchestra, con sonori interventi delle percussioni, risponde sempre e perfettamente a tono.

La prima battuta (11’42”) è suonata da archi, xilofono, timpani e tamburino: presenta con gran vigore l’inciso g che diventerà protagonista di uno degli interventi del medico, per poi chiudere (nelle sole percussioni) il movimento.  Si noti l’ascendenza all’inciso c di Pausanias:

Il solista espone subito il suo tema (T5) di svolazzanti semicrome:

Tema che evidentemente attira subito l’attenzione - e il massimo interesse - dei presenti: e così l’orchestra (11’50”) commenta vivacissimamente questo primo intervento del medico-musicista:

Si noti come l’organico suonante si irrobustisca via via (divisione dei violini I e II, verso la fine anche delle viole) il che sembra evocare il progressivo associarsi di voci di commensali ai commenti e alla discussione! Cosa confermata da come violini I e !! si dividano le parti (metà battuta a testa).

Il giochetto si ripete subito: il solista (11’57”) propone il tema T6 (variante del T5):

e l’orchestra (12’01”) risponde sempre allo stesso modo, ma stavolta chiudendo con lo sberleffo g. 

Ora il solista (12’06”) riprende il tema T5 (sottilmente variato) a cui appende (12’11”) una cantilena ostinata sull’inciso g!

Il quale passa ora (12’16”) a violini e viole, che lo reiterano mentre il solista guida una transizione, sempre in semicrome, poi progressivamente allargando i tempi, con l’orchestra che lo contrappunta con il tema T5.

Ancora un passaggio (12’32”) veloce del solista, sottolineato dal motivo g nei violini e lacerti del tema T5 negli archi bassi. Quindi (12’37”) tutti gli archi, in fortissimo, ripetono la loro risposta al tema T5, chiusa dall’inciso g.

Ci si avvia ora alla conclusione (12’46”) con il tema T6 nel solista, subito rimbeccato (12’50”) dall’orchestra; segue nel solista (12’54”) il tema T5. Xilofono, triangolo e piatto sospeso mettono il sigillo con l’inciso g.

Non c’è che dire… Un’efficacissima narrativa di dialogo fra un singolo e una muta di interlocutori!

IV Adagio [Agathon] 

Agatone descrive l'Amore come il più buono e bello e giovane di tutti gli dèi. E Bernstein ci costruisce un mirabile adagio (anzi, se si esclude un centrale climax, con prolungato rullo di timpano, quasi un… adagietto mahleriano!) dove agli archi si aggiungono spesso l’arpa e i sommessi tocchi di timpano.

 

La struttura del movimento si può così schematizzare:

 

- Presentazione del tema T7, suddiviso in tre parti: T7aT7b - T7c;

- intermezzo orchestrale e climax;

- cadenza solistica;

- ripresa parziale del tema T7: T7aT7c;

- coda.


Caratteristica peculiare del brano è il richiamo scoperto all’inciso a di Fedro, che compare fin da subito (13’24”)font-size: 12pt; proprio nella prima battuta, in violini I e celli, ad introdurre e poi accompagnare il canto del solista:


Solista che espone ora la sua nobile e lunga melopea (tema T7):



Al T7a succede (14’23”) il T7b, poi (14’57”) il T7c.


Dopo due battute di ponte, ecco la sezione centrale (15’47”) riservata ad archi e timpani, dove fa ancora capolino l’inciso a di Fedro e che si chiude (16’55”, Largamente) con un climax dal quale prende avvio la Cadenza solistica:


Al termine della quale (18’28”) il solista ripropone, salvo la battuta iniziale, il tema T7a (con l’inciso a a far capolino negli archi) e poco dopo (19’01”) il tema T7c.

Sei battute (19’34”) in ulteriore rallentando, con il solista a tenere un lungo LA e archi e arpa ad emettere spizzichi dell’inciso a chiudono l’accorato intervento di Agatone.

V Molto tenuto - Allegro molto vivace [Socrates - Alcibiades]

Socrate è introdotto, in tempo sostenuto, dall'intera orchestra, che lascia poi spazio al solista, concertante con il violoncello: è la nobile perorazione del filosofeggiare di Diotima di Mantinea. Poi arriva Alcibiade, ubriaco, e l'orchestra infatti dà in escandescenze, con le percussioni a contrappuntare rumorosamente il solista.

Molto tenuto. I soli archi (con iniziale rintocco di campana) espongono (20’23”) il nobile tema (T8) di Socrate (in figura solo la parte dei primi violini):

Ora (21’59”) il violino solista e il primo violoncello, a canone, espongono, a mo’ di cadenza, la filosofia di Diotima (l’Amore è un dèmone, né divino né umano):

Il solista riprende poi (23’14”) il tema di Socrate, variandolo (T8a) sia nella tonalità che nella struttura, accorciata e modificata nella parte finale per prefigurare il… putiferio che si annuncia:



2. Allegro molto vivace. È l’irruzione nel simposio di Alcibiade ed altri ubriaconi. Bernstein lo cataloga come un (in realtà eterodosso) Rondò. Si può schematicamente suddividere così:

- Introduzione: è puramente orchestrale, aperta da due schianti (24’37”), e anticipa alcune caratteristiche ritmiche (tipicamente jazzistiche) del brano e uno dei temi (T9) che tornerà nel seguito.

- sezione A: è proprio il tema T9, assai melodico, che viene ripreso (25’18”) e poi ampliato dal solista (vi fa capolino anche l’inciso a di Fedro):

Il quale poi lo completa (25’31”) con un passaggio improvvisamente più nervoso, per poi zittirsi mentre l’orchestra (25’42”) gli risponde con un tema (TA) che ha il sapore proprio di una danza da un musical di Broadway:

Tema ripreso subito (25’48”) dal solista, che poi prosegue la sua melodia, finchè (26’16”) accompagnato dall’orchestra, non ne presenta una variante ancor più smaccata (TAb), cui segue una nuova scorribanda (proprio da musical) che poi sfuma, portando a chiudere questa sezione.

- sezione B: (26’51”) dopo un iniziale esplosione, sembra occupata (26’58”) da una pausa del frenetico vociare precedente, con solista e orchestra che paiono smozzicare frasi sconnesse e poi sonnolente; ma (27’35”, Agitato) ecco ripartire l’allegra goliardata di Alcibiade&C, con grandiosi e frenetici passaggi sincopati.

- sezione C: ripropone (28’09”) pari-pari la sezione A.

- Coda: è il solista (29’45”) a dare il via alla parte conclusiva del simposio, con il tempo che gradatamente accelera e il suono dell’orchestra (30’01”, Presto vivace) che si ispessisce sempre più. Ricompare anche (30’17”) il pacchiano tema TAb, poi (30’40”) il solista si imbarca in un travolgente passaggio in semicrome che culmina nella precipitosa chiusura.

01 gennaio, 2023

Concerti di Capodanno

Da milanese (sia pur adottivo) e quindi dotato di prospettiva assai limitata (!?) mi limito (?!) a censire (non re-censire, sia chiaro!) i tre concerti che mi son passati sotto gli occhi-orecchi (dal vivo o tramite corrieri assortiti). 

È una classifica nettamente determinata dai rispettivi Kapellmeister:

 1° assoluto (e di gran lunga): Guggeis con la Nona de laVerdi;

 Harding con la Fenice;

 3° Il figlio-di-papà Welser-Mòst dal Musikverein.

 Diciamo pure che un 2022 come questo non meritava di più, ecco. Il guaio è che il 2023 già parte male nella culla...

30 dicembre, 2022

laVerdi 22-23. 10

Come da tradizione, l’ultimo concerto dell’anno prende anche per l’Orchestra Sinfonica di Milano (aka laVerdi) il nome di Concerto-di-Capodanno ed è come sempre dedicato alla Nona beethovenianaA dirigerlo il sempre più lanciato Thomas Guggeis, già protagonista (in streaming, allora, con la Terza) del capodanno di due anni fa.

Auditorium praticamente esaurito e trionfo annunciato per tutti: in primis il giovanissimo Direttore, che ad ogni ricomparsa convince sempre di più, per l’autorevolezza degna di un veterano e il lavoro di cesello sulle parti più sensibili dell’opera (mi riferisco in particolare all’Adagio-Andante, invero una fucina di emozioni); poi al grandioso Coro, diretto da un altro giovane, Massimo Fiocchi Malaspina; ai quattro solisti, tutti all’altezza del compito: Senn e Kallenberg, impeccabili nelle loro parti proibitive; e le due voci femminili, Engebretson e Cirilli, sempre svettanti nelle impervie scalate cui le costringe il Ludovico.

E, naturalmente, l’Orchestra, praticamente perfetta in tutti i reparti, dal Konzertmeister Dellingshausen alla timpanista Mologni.

Ripetute chiamate e applausi ritmati hanno sottolineato questa pregevole serata di musica.

Visto che siamo al nuovo anno, colgo l’occasione per pubblicizzare il link già da qualche tempo presente nella colonna sinistra del blog (contenuti selezionati, in progressivo arricchimento) proponendo alcune mie considerazioni e curiosità sulla Nona.

Con ciò: buon 2023 (che… fate voi… ce lo mandi bbuono!)

16 dicembre, 2022

laVerdi 22-23. 9

Come il precedente, anche il 9° concerto della stagione principale dell’Orchestra Sinfonica di Milano è aperto da Mozart, per poi essere seguito da un’originale proposta di teatro musicale: Wagner!

Sul podio dell’Auditorium fa il suo esordio il 45enne Pablo Heras-Casado, il che spiega il perché del Wagner in programma: il prossimo 25 luglio 2023 il direttore andaluso scenderà (primo spagnolo nella storia) nella fornace dell’Orchestergraben di Bayreuth per dirigervi (a 141 anni di distanza dalla prima) l’opera inaugurale (e quindi più importante) dell’edizione 111 del Festival, che il nostro sta quindi cominciando a preparare per tempo!   

Però si comincia col Teofilo e la sua Sinfonia n. 38 K 504, detta Praga perché presentata all’inizio del 1787 nella capitale ceca, che pochi mesi dopo avrebbe portato alla luce il capitale Don Giovanni. Sinfonia che – a dispetto dei tre soli movimenti, mancando del Menuetto – è assolutamente innovativa, nella forma e nella sostanza, avendo ben poco da invidiare al terzetto delle ultime!

Heras-Casado ne ha ben messo in evidenza le qualità, a partire dal solenne e quasi bombastico Adagio introduttivo in stile haydn-iano dal quale esplode poi l’Allegro che presenta – in luogo dei classici due temi della forma-sonata - dei gruppi tematici e dei motivi che animano poi lo sviluppo e la ripresa. Analoga caratteristica dell’Andante, ricco di spunti motivici organizzati e trattati anche qui con esposizione, sviluppo e ripresa. La forma-sonata, assai liberamente interpretata, innerva anche il Presto finale, che il Direttore scandisce davvero a gran velocità mettendo a dura prova la compattezza dell’orchestra.

Accoglienza molto vivace da parte di un pubblico ristretto (forse la giornata proprio autunnale non invitava ad uscire di casa…)
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Pubblico che mi è parso rinforzarsi di numero dopo l’intervallo, mosso forse dalla curiosità per questa insolita proposta: il secondo atto di Parsifal. Che certo è il più adatto (o il meno complicato) dei tre da presentare in un concerto di questo tipo: tre soli interpreti (tenore-mezzosoprano-baritono, praticamente uno dei classici terzetti da melodramma) più un’infornata di soprani: sei soliste divise in due gruppi (sono le Fanciulle-Fiore di Klingsor: Claire Coolen, Miriam Gorgoglione, Min Ji Kim, Barbara Massaro, Noemi Muschetti, Nicole Wacker) e il coro femminile (guidato da Massimo Fiocchi Malaspina) pure in due gruppi; una scena di fatto statica e una durata non proprio biblica.

Le sei soliste si schierano proprio davanti al coro, mentre ai lati del podio trovano posto: a sinistra (per chi guarda) Marina Prudenskaya  (Kundry) che canta dall’inizio alla fine; a destra: dapprima Samuel Youn (Klingsor) poi Tuomas Katajala (Parsifal). Per il suo ultimo intervento (a scagliare la sacra lancia contro Parsifal) Youn si sposta in… galleria.

Questo atto presenta una musica ben lontana dall’atmosfera sacra e austera (e, per taluni, insopportabile) degli altri due atti: qui Wagner – per sua stessa ammissione – tira fuori tutta la sua variegata palette sonora: per chiarirci quali trucchi e inganni l’arte degenerata del degenerato Klingsor metta in atto con l’obiettivo di traviare l’artista puro Parsifal (=Wagner) servendosi di Kundry e delle Fanciulle-fiore come facili esche e false muse. (Qui alcune mie note che spiegano questa interpretazione del dramma.)

Che dire: per essere il primo approccio a questa musica, orchestra e coro hanno ancora una volta mostrato di quanto sono capaci, evidentemente guidate con autorevolezza da Heras-Casado e Malaspina.

Più che apprezzabile la prestazione dei tre personaggi protagonisti: metterei su tutti Youn (veterano ormai a Bayreuth); poi la Prudenskaya (anche lei ha già cantato lassù) e infine il finnico Katajola, voce non proprio da Heldentenor, ma che insomma ha fatto la sua onorevole figura.

Grande accoglienza del pubblico che ha più volte richiamato al proscenio, anche con applausi ritmati, solisti e direttori. Insomma: una bella serata di musica e per Heras-Casado un buon viatico nel lungo cammino verso il tempio del Gral! 

11 dicembre, 2022

Scala: il Boris live.

Scala non proprio esaurita per questa prima recita vera del Boris Godunov, il che pare confermare che il gigantesco sforzo mediatico-mondano del SantAmbrogio non basta da solo a fare moltitudini di proseliti per il teatro musicale.

Liquido brevemente la parte registica, chè lo spettacolo in teatro ormai si apprezza assai meno che dalle riprese televisive, assai più ricche di dettagli e particolari di quanto non colga l’occhio che osserva da lontano e da angolazione fissa (a qualcosa, ma poco, serve un binocolo, che consente allo spettatore almeno di farsi lui i primi-piani che crede). Spettacolo godibile e frutto di sincretismo stilistico per accontentare tutti (tradizionalisti e non) che lascia il dubbio sull’efficacia del rapporto costi-benefici: appunto, fatto per illustrare il SantAmbrogio, più che il titolo in cartellone.

Il fronte musicale mi sento invece di promuoverlo (magari senza lode e bacio-in-fronte) a partire dai cori (di Malazzi e Casoni) veri protagonisti (giustamente ovazionati) della serata. Ottima l’Orchestra, capace di supportare al meglio la scena (e in questo Musorgski la cosa non è per nulla scontata, data la siderale distanza rispetto alle opere più di repertorio). Orchestra che ovviamente ha goduto dell’amorevole cura messa – come sempre, del resto – dal Direttore nell’interpretare al meglio ogni dettaglio – le dinamiche, in particolare - della difficile partitura. Ribadisco la mia personalissima perplessità soltanto riguardo l’agogica, che avrei preferito meno sostenuta: Chailly chiude a 145’ contro, ad esempio, i 130’ di Gergiev-1997 e i 126’ di Nagano-2019…  

Ildar Abdrazakov merita l’eccellenza per presenza scenica, recitazione e capacità di esternare tutta la varietà di sentimenti e angosce che contraddistinguono il personaggio: qualcuno gli imputa la voce più baritonale che da basso profondo, ma non è detto che il Boris più moderno sia ancora quello di Scialiapin! I due monologhi, in particolare, sono proprio da manuale dell’interpretazione, oltre che di espressività del canto. Strameritato quindi il suo trionfo.

Ain Anger è un Pimen che dal vivo ha quasi del tutto riscattato le perplessità che mi aveva lasciato l’ascolto tv: forse la voce sarà un filino usurata, ma in teatro fa ancora una gran figura.

Sicuro e tronfio il Varlaam di Stanislav Trofimov, autorevole interprete della sua truce ballata al confine lituano, inneggiante Ivan il Terribile.

Bella figura ha fatto anche Dmitry Golovnin, calatosi apprezzabilmente nella parte del… suo falso: certo per lui sarebbe ben altro impegno cantare il Boris-2!

Efficace anche l’altro tenore, Yaroslav Abaimov, nella parte dello Yurodivi, piccola ma estremamente significativa nell’economia del dramma.   

Alexei Markov è stato un passabile Scelkalov, mentre devo ritirare in parte il giudizio positivo su Norbert Ernst (Šujskij) che dal vivo ha mostrato evidenti limiti vocali.

Delle tre parti femminili quella più rilevante è la Xenia di Anna Denisova, che ha sfoggiato voce ben impostata e passante, e un portamento consono a quello della giovine in pena per il lutto che l’ha colpita. Han fatto il loro dovere l’ostessa Maria Barakova e la nutrice Agnieszka Rehlis (anche per loro vale il discorso fatto per Grigori-Dimitri).

Il piccolo Feodor è stato ben impersonato – en-travesti - da Lilly Jørstad.

Oneste le prestazioni degli altri quattro comprimari.

Alla fine, successo pieno e indiscusso per tutti.