ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

26 luglio, 2021

L’Olandese di Cherniakov a Bayreuth

Premesso che un giudizio complessivo su una regìa è possibile esprimere solo dopo aver assistito (magari in TV, ma meglio se dal vivo...) allo spettacolo, ciò che già si può commentare del Konzept del regista russo è la sua scopiazzatura di idee applicate da altri registi in simili circostanze: Freud!

Si immagina quindi che l’Olandese non stia scontando un peccato di superbia e un patto col diavolo, ma abbia subito da adolescente un trauma famigliare (la madre trascinata in una tresca e indotta al suicidio) e che passi il resto dei suoi giorni a cercare - per vendicarsi - l’autore del misfatto. Che si scopre essere, toh, Daland in persona! Così Senta (una ragazzina ribelle) invece di dover redimere il peccatore ne diventa lo strumento di vendetta verso lo sbifido padre. Dopodichè l’Olandese, ottenuta la vendetta, spara sulla folla riunita per il suo matrimonio, incendia il paese e si giustizia da solo!

Come è evidente, se ci si inventa di sana pianta il movente di tutta la vicenda, allora tutta la vicenda assume aspetti totalmente divergenti da quelli del testo originale (per il quale era stata composta la musica): nella fattispecie un’opera romantica (!) si trasforma magicamente in un crudo reportage su un caso clinico e le relative conseguenze.

Mi viene in mente il Faust (Damnation) di Michieletto, la cui esistenza è condizionata da traumi giovanili (famiglia squinternata e bullismo subito a scuola): insomma, nulla di nuovo sotto il sole, menchemeno a Bayreuth, ormai avvezza al fenomeno.

25 luglio, 2021

L’Olandese con il Covid a Bayreuth

Come paventato, (quasi) all’ultimo momento l’emittente bavarese ha informato che - per ragioni legate a diritti (dei soliti noti) - lo streaming dell’Holländer si riceve solo in Germania... e morta lì. Ci si è quindi dovuti accontentare dell’audio di Radio3 (che riprende comunque l’emittente bavarese). Intanto ecco come una spia di Amfortas presenta il backstage del teatro in tempi di Covid!

Oksana Lyniv sarà di sicuro ricordata negli annali come la prima persona di genere non maschile (!) a calcare il podio del tempio wagneriano. Ma anche per non aver fatto rimpiangere (almeno dall’ascolto via etere) i maschietti che l’hanno preceduta negli anni: se posso citare un suo merito ricorderò la moderazione con cui ha trattato la prima scena del terzo quadro, che altri direttori (Thielemann incluso) trasformano di solito in una parata di panzer...

Di buon livello le voci, con in testa la Senta di Asmik Grigorian, che mi pare adatta proprio a ruoli wagneriani come questo o simili (Elsa, Elisabeth, Eva...) John Lundgren se l’è cavata bene con le ostiche e contorte arie dell’Olandese, mentre il navigato Georg Zeppenfeld ha onorevolmente impersonato il prosaico Daland. Eric Cutler è stato un discreto Erik, forse un po’ emozionato nella sua aria di esordio, mentre alla Marina Prudenskaya (la tata Mary) darò giusto una sufficienza. Meglio di lei il Timoniere di Attilio Glaser.

Sempre impeccabili l’Orchestra e il Coro che sono il fiore all’occhiello del Festival.

Sulla regìa di Cherniakov... leggeremo i commenti nelle prossime ore.
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Radio3 trasmette anche Meistersinger (26/7) e Tannhäuser (27/7): il sito annuncia come orario di inizio le 18, quindi sono delle differite di due ore (dalla radio bavarese).

20 luglio, 2021

Bayreuth riparte... piano

Dopo il forzato annullamento del 2020, virus imperante, il Festival wagneriano riapre i battenti per la 109esima volta (dal 1876) con un programma ridotto rispetto agli standard: saranno 25 gli eventi in calendario, mai così pochi dal lontano 1955 (primi anni dopo la riapertura del ’51) contro i 32 raggiunti proprio negli ultimi due anni recenti (‘18 e ‘19). Ridotta anche la capienza della sala, a soli 900 dei quasi 2000 posti nominali. 

Ci sarà comunque - come d’obbligo - una nuova produzione, orientata ...all’est: infatti l’Holländer sarà diretta dalla 43enne ukraina Oksana Lyniv (prima quota-rosa a scendere sul podio giù nell’Orchestergraben) e inscenata dal controverso quanto famoso Dmitri Cherniakov. Per il resto abbiamo due riprese (Meistersinger e Tannhäuser) più un assaggio di quello che doveva (o dovrà? ma c’è da dubitarne... il 2026 è alle porte) essere un nuovo Ring: tre recite della Walküre diretta dall’esordiente Pietari Inkinen e proposta scenicamente dal venerabile Hermann Nitsch, visionario action-artist.

Completano il calendario tre concerti: un Parsifal diretto da Thielemann (a proposito, ancora oggi non è chiaro se lo scorbutico Christian verrà riesumato come Direttore Musicale del Festival...) e due antologie, con il primo atto di Walküre e brani da altri drammi, affidate al redivivo Andris Nelsons.

Si parte quindi domenica 25 luglio alle ore 18 con... Daland (!) L’Olandese, rappresentato a Dresda nel 1843 e successivamente ritoccato (ma Bayreuth resta fedele all’originale, quindi senza intervalli... altrimenti l’ora di inizio sarebbe alle 16) è la quarta opera di Wagner e la più giovane ad essersi visto riconosciuto (non certo dall’Autore, ma dalla terribile Cosima) lo status di dramma rappresentabile nel tempio (per la prima volta nel 1901). Sull’ostracismo nei confronti delle giovanili Feen e Liebesverbot si può magari concordare: meno su quello riservato a Rienzi. Il quale sconta evidentemente il peccato di essere stato concepito come Grand Opera, un genere successivamente sconfessato dalle teorie rivoluzionarie di Wagner (che però nel frattempo aveva prodotto Tannhäuser e Lohengrin, due GrandOpera sotto mentite spoglie... ma ammessi di diritto ai palinsesti del Festspielhaus.) La tenutaria Kathy aveva in passato manifestato la volontà di accogliere anche Rienzi nel Pantheon di casa, ma non se n’è fatto più nulla.

Tornando a bomba, l’Olandese è alla 41esima presenza stagionale e al suo 11° allestimento. Domenica Radio3 ci sarà. L’emittente bavarese, oltre che i suoni, trasmette anche in streaming video (ammesso che non sia ristretto al solo suolo crucco...)

15 luglio, 2021

laVerdi chiude con Beethoven la stagione estiva

Ieri sera (replica oggi) laVerdi ha concluso la mini-stagione estiva (9 concerti) coincisa con la ripresa della presenza del pubblico. E lo ha fatto sontuosamente, con la Nona di Beethoven, un’esecuzione resa possibile dalla sede del concerto, il Teatro degli Arcimboldi, il cui smisurato palcoscenico può accogliere masse orchestrali e corali che - ancor oggi, causa regole anti-Covid - non potrebbero trovar posto su quello dell’Auditorium.

Purtroppo ogni medaglia ha il suo rovescio e così i suoni del coro (relegato sul lontanissimo fondo-caverna) impiegavano il doppio a raggiungere l’orecchio di uno spettatore seduto a metà platea rispetto a quelli dei quattro solisti (al proscenio). Lo stesso dicasi per i suoni degli ottoni rispetto a quelli di violini primi e celli. Insomma, una resa sonora precaria per definizione, come del resto era successo lo scorso autunno alla Scala in occasione di opere e concerti in presenza di pubblico. (Con lo streaming cambia tutto, chè se gli esecutori rispondono in sincrono agli attacchi del direttore - cosa resa possibile anche a grandi distanze, grazie alla fantastica velocità della luce! - poi ci pensano i microfoni messi davanti ad ogni singola postazione a catturare in contemporanea i suoni per trasmetterli all’ascoltatore remoto.)

Ma a parte queste inevitabili considerazioni devo dire che si è trattato di un’esecuzione più che apprezzabile. Sul podio quel Krzysztof Urbański che il 19 maggio aveva aperto questa stessa stagione. Il suo è un gesto che può dar l’impressione della forma-con-poca-sostanza (ma bisognerebbe chiedere agli esecutori che ne pensano): assai appariscente, con ampie aperture delle braccia e qualche attacco dato anche con... il piede sinistro. Tuttavia ha mostrato di padroneggiare questa inflazionata partitura, cominciando dall’averne memorizzato in testa ogni singola nota e facendo a meno del leggio.

Orchestra in forma, pur penalizzata nella resa complessiva dal... distanziamento. Una menzione particolare per il pacchetto degli archi bassi, guidati da Grigolato, per come ha affrontato il difficile recitativo all’inizio del Finale.

Bene anche le voci soliste: su tutte metterei il basso-baritono Oliver Zwarg, che ha oggettivamente la parte più impegnativa, dovendo introdurre l’An die Freude. Moritz Kallenberg non ha una voce da Heldentenor (che personalmente tendo a prediligere per questa parte) ma se l’è cavata dignitosamente. Le due voci femminili, Johanna Winkel e Bettina Ranch sono piuttosto leggere, ma viceversa adatte, sempre secondo me, alle rispettive parti. A dispetto della... kilometrica distanza dal pubblico, anche il coro di Dario Grandini ha confermato il suo valore.

Per tutti calorosi applausi in un Arcimboldi questa volta gremito (sempre relativamente alle condizioni imposte dalle regole Covid-iane).

Chiusa questa mini-stagione di ripresa di contatto diretto con il pubblico, laVerdi si divertirà ancora girando per Milano in agosto, per poi riprendere in pieno a settembre con il tradizionale Prologo-in-cielo (la Scala!) alla nuova stagione (ancora da annunciare).

08 luglio, 2021

laVerdi tutta spagnola

Dopo la maratona pedatoria di martedi, riecco la Spagna per il primo dei due appuntamenti de laVerdi agli Arcimboldi (l’Auditorium è in... riabilitazione) che vede un programma tutto iberico con il ritorno del 45enne direttore Manuel Coves, già ospite dell’Orchestra per un’altra spagnolata nel marzo 2019. Componente innovativa del concerto è lo spettacolo, costituito dalla presenza del grande Jesús Carmona, che illustra la musica della Carmen con la sua personalissima arte danzatoria.    

Si parte con la Sinfonía Sevillana di Joaquín Turina Pérez, composta nel 1920, quando il 38enne compositore, nativo di Siviglia, rientrato da anni in Spagna dopo una lunga permanenza a Parigi, era tornato a vivere a Madrid. É un brano in realtà vicino, come ispirazione, al poema sinfonico (un po’ un Respighi iberico, ecco) e per almeno due motivi: innanzitutto per l’esplicito riferimento alla città natale (ma in realtà anche alla capitale che lo ospitava); e poi perchè Turina vi introduce un elemento di natura per così dire letteraria: l’evocazione di una storia d’amore fra un sivigliano e una madrilena (ecco i riferimenti alle due città care al compositore) che nasce e si sviluppa a Siviglia e dintorni, fra gite in battello e feste popolari in sobborghi del capoluogo andaluso.

Naturalmente sono le forme e i ritmi musicali iberici (castigliani e andalusi in-primis) a farla da padrone nei tre movimenti in cui è suddivisa l’opera. Di cui possiamo apprezzare i contenuti seguendone (sulla traccia lasciata dall’Autore medesimo) l’esecuzione dell’Orchestra della Radiotelevisione spagnola con Enrique García Asensio sul podio.

N°1. Panorama. É un movimento in forma-sonata: Introduzione, Esposizione, Sviluppo,  Ricapitolazione e Coda.

24”. L’Introduzione si apre con 12 battute in Andante, 3/4, LA minore, dove l’Orchestra crea un’ambientazione languida (rotta dall’oboe a 45”). A 1’16” ecco apparire (4 battute in Allegretto, 2/4) la prima forma assai semplificata del motivo della madrilena, un caratteristico chotis. A 1’25” altre 4 battute di Andante in 3/4 chiudono l’Introduzione.

1’42”. L’Esposizione presenta, in Allegro molto moderato, 2/4, RE minore/maggiore, il primo tema andaluso, esposto dai flauti e poi sviluppato dall’orchestra. Ecco poi (2’10”, Più vivo, 6/8, RE maggiore) gli archi esporre il secondo tema (ritmo di Tanguillo) poi ampiamente sviluppato dall’orchestra (si noti a 2’20” l’intervento del clarinetto e a 2’48” quello dell’oboe solo) e chiuso da una battuta di pausa.

3’01”. Attacca con un accordo generale il corposo Sviluppo (Allegretto tranquillo, 2/4) dove i temi vengono rielaborati liberamente e con continui cambi di atmosfera: dopo un intervento dell’oboe (3’30”, RE minore) che sviluppa il primo tema, ecco a 4’02” un Allegro (RE maggiore, secondo tema); poi (4’15”) un nuovo motivo il SOL maggiore e quindi in FA maggiore; ancora a 4’42” Più vivo, 6/8 il secondo tema in DO maggiore; a 4’59” Allegretto quasi andantino, 6/8, FA minore; a 5’34” Lentamente, con l’intervento dei corni; e infine a 5’52” Allegretto è il violino solista a portare - con il motivo chotis - alla chiusura dello Sviluppo sul RE tenuto, che sfuma in un RE#.

6’05”. Siamo arrivati quindi alla Ricapitolazione dei temi. Ecco il primo (Allegro) in RE minore e poi (6’32”, Più vivo, 6/8) il secondo, in maggiore. A 6’49” il flauto introduce una modulazione del secondo tema a LA maggiore. Ancora, a 7’05” gli archi modulano fugacemente a DO maggiore, poi tornano a LA maggiore.

7’33”. Infine una Coda (Allegro) porta il movimento a spegnersi (7’57”, Andantino) per poi chiudere (8’05”) con un fortissimo accordo generale di LA maggiore.

N°2. Por el rio Guadalquivir. Il secondo movimento è in forma di Lied in 5 parti. Evoca un’escursione in battello dal centro di Siviglia verso sud, fino al sobborgo di Aznalfarache (che sarà teatro del terzo movimento). Vi matura l’idillio fra la madrilena e il sivigliano, in un’atmosfera di canti dei marinai e musiche che accompagnano balli di gente sulla riva del fiume.

8’28”. In tempo Andante, 6/8 il violino solista introduce l’atmosfera con due recitativi in FA minore inframmezzati dall’orchestra. Ora (9’27”) si passa a FA maggiore con l’esposizione da parte del corno inglese della prima sezione, una petenera sivigliana (è il protagonista maschile del poema). La nobile melodia viene poi accompagnata dal violino solista, vira momentaneamente a FA minore e poi è ripresa in FA maggiore (10’37”) dal corno inglese.

La seconda sezione inizia a 10’59” con l’affacciarsi (2/4) dell’impertinente anticipo del motivo femminile (la madrilena) che si materializza a 11’15” con un Allegretto in MI maggiore in oboi e violini, dove lo chotis si muta in falseta, assai più vivace. La sezione si ripete a 11’46”, con l’attacco sul REb e poi con il tema chotis (12’02”) in FA maggiore.

E sempre in FA maggiore (terza sezione, 12’29”) si riode nel corno inglese la petenera, ora con sottili variazioni e diversa orchestrazione, in cui spicca (13’10”) un nuovo intervento del violino solista.

Il quale chiude sul DO e a 13’32” (Vivo, 3/8) porta alla quarta sezione, dove si odono le note (DO maggiore) di seguidillas cantate e ballate sulla riva del fiume in una festa popolare. Un Andantino mosso in 6/8 (14’15”) simula il perdersi lontano dei suoni provenienti dalla riva e ci introduce alla quinta sezione del movimento.

Qui (14’35”) torna lo chotis madrileno (Andante) introdotto dai violoncelli divisi. L’idillio è ormai sbocciato completamente e a 15’03” il violino solo espone il motivo con dolce passione in FA maggiore e poi (15’24”, 2/4, dopo un fugace intervento dei flauti) lo chiude con un FA superacuto.     

N°3. Fiesta en San Juan de Aznalfarache. Il vaporetto da Siviglia, prima di proseguire verso il mare, il cui profumo già si sente nell’aria, ha fatto sosta in questo paesotto ai confini meridionali del capoluogo andaluso. E qui è ambientato l’ultimo movimento della Sinfonia, manco a dirlo in una gran festa dove si balla e si canta in continuazione: in qual miglior ambiente due novelli innamorati potrebbero augurarsi di arrivare per vivere il loro momento magico?

La struttura del brano è quella di una fantasia in tre parti. A 16’02” inizia la prima (Allegro vivo, 3/8, RE maggiore) al ritmo di sevillana, che prepara l’arrivo di un tanguillo (16’40”, Siempre vivo, 6/8) che poi (16’59”, 2/4) sviluppa un nuovo motivo, sempre in RE maggiore e ancora (17’19”, 6/8) in minore nell’oboe. Gli archi (Andante, 2/4) prendono un attimo di respiro, ma subito (18’02”, Vivo) torna il ritmo di sevillana, che prepara adesso una nuova comparsa dello chotis (18’34”, Andante) dapprima in SOL minore sfociante nella relativa SIb maggiore dove il tema si espande per essere poi chiuso dall’intervento finale del violino solista.

A 19’40” (Allegretto. Tempo di garrotín lento, FA minore) inizia la seconda parte: è un Garrotín-farruca introdotto da una fanfara e dove si distinguono tromba, fagotto e oboe, che introduce enfaticamente (21’00”, Andante) un nuovo idillio (chotis) in FA maggiore.

Eccoci alla terza parte (21’33”, Vivo, 6/8, RE maggiore): è il tanguillo che torna alla ribalta con interventi di trombe, oboe e clarinetto e poi (22’08”, 2/4) con il secondo motivo, che rallenta (22’18”, Meno vivo) per far posto (in SIb) a una delle varianti del primo tema comparsa nello sviluppo del primo movimento.

Infine, a 22’34”, Andante, ecco la Coda conclusiva, con i motivi dello chotis (grandioso) e della petenera a unirsi per una spettacolare conclusione in RE maggiore.
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É un brano poco conosciuto, ma che meriterebbe di essere eseguito più di frequente: credo che laVerdi fosse al primo incontro con quest’opera, e devo dire che l’ha subito digerita e assimilata alla perfezione, grazie a Manuel Coves che da nativo andaluso questa musica deve averla nel sangue. Sugli scudi i fiati (in particolare Paola Scotti al corno inglese) e il pacchetto dei celli, guidato da Mario Shirai Grigolato, oltre al violino di Dellingshausen.
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Ecco quindi Georges Bizet e le sue musiche dalla Carmen, un estratto delle due Suite sinfoniche approntate da Ernest Guiraud (il curatore della prima edizione dell’opera) dopo la prematura morte dell’Autore:

- Preludio Atto I (prima parte, in Allegro gioioso)

- Preludio Atto I (seconda parte, in Andante moderato)

- Entr’acte (3° - 4° atto, Aragonaise)

- La garde montante (1° atto)

- Habanera (1° atto)

- Entr’acte (2° - 3° atto)

- Marche des Contrabandiers (3° atto)

- Chanson du Toreador (2° atto)

- Les Dragons d’Alcala (Entr’acte 1° - 2° atto)

- Danse Bohème (2° atto)

Jesús Carmona entra sul proscenio con un ampio scialle che gli serve subito per interpretare la seconda parte del Preludio (tema del destino). Ai due lati alcuni grossi proiettori lo illuminano di taglio con luci di diversi colori (rosso, giallo, blu...) a seconda dell’atmosfera. Ovviamente indossa stivaletti zapatos, con i quali comincia a sottolineare i ritmi di flamenco.  

Strepitoso il suo assolo di zapateado (due minuti a orchestra muta, prima della conclusiva Danse bohème): un intero branco di cavalli scalpitanti non avrebbe potuto ottenere quell’effetto! E chiude quindi in bellezza con Les tringles des sistres tintaient, accolto da un uragano di applausi.

Così, come bis, ci viene riproposta l’Aragonaise.

Davvero una serata da incorniciare, che avrebbe meritato qualche spettatore in più nel catino dell’Arcimboldi. Ma questa sera si replica e gli assenti di ieri possono ancora rimediare.

01 luglio, 2021

laVerdi tutta viennese

L’ultimo appuntamento in Auditorium, prima che la sala venga sottoposta a maquillage, per esser pronta alla ripresa autunnale, vede un programma tutto viennese diretto da Claus Peter Flor: due opere accomunate dalla stessa tonalità di RE maggiore.

Invertendo l’ordine della locandina pubblicata, ecco dapprima la Pendola, nomignolo affibbiato alla Sinfonia 101 di Franz Joseph Haydn. L’avevamo ascoltata qui nel febbraio 2017, suonata dall’Orchestra Haydn di Trento-Bolzano e perciò rimando ad alcune mie note scritte in quell’occasione. 

Eccellente la prova dell’Orchestra, sapientemente guidata dal Direttore Musicale, in cui hanno spiccato il quartetto degli archi e il flauto di Nicolò Manachino, non per nulla chiamati da Flor per due volte a ricevere speciali applausi.
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É Mozart a chiudere il programma con il celebre Krönungskonzert K537, risuonato qui in precedenza nel marzo 2015 (interpretato e diretto da Olli Mustonen). Nell’occasione a proporcelo è il 44enne Andrea Bacchetti, ex-bambino prodigio oggi all’apice del successo.  

Il Concerto K537 è impropriamente detto dell’Incoronazione, dato che fu suonato da Mozart a Francoforte in occasione dell’ascesa di Leopoldo II a Imperatore (settembre 1790): ma in realtà a quel tempo il concerto aveva più di due anni di età ed era già stato eseguito dall’autore a Dresda. Peraltro nel manoscritto originale rimasero mancanti diversi righi della parte solistica (soprattutto della mano sinistra) il che ha poi comportato completamenti più o meno pertinenti eseguiti da altre mani.

È il penultimo concerto per pianoforte del Teofilo e presenta molte idee innovative, sia in fatto di libertà di interpretazione della forma-sonata nell’Allegro di apertura (un inusitato proliferare di temi e motivi) che in arditezze armoniche, come questa - e una immediatamente successiva, al limite della bizzarria - che troviamo nell’esposizione del secondo tema in LA maggiore: un inopinato abbassamento a minore che al primo ascolto induce a pensare ad un clamoroso errore del solista:  

Più tradizionale, per così dire, il Larghetto in LA maggiore, dove Mozart riprende una sua antica consuetudine: due gruppi tematici (AA’ e BB’) che si susseguono con lo schema A-B-A. Un vero gioiellino di grazia e serenità.

Si torna alle (mirabili!) complicazioni nel conclusivo Allegretto: un Rondò di struttura del tipo A-B+C-A-B+C-A: alle tre macro-ricorrenze del tema principale si interpongono due sezioni costituite in realtà da due temi ben distinti, B e C. La tonalità di base è RE maggiore, su cui verrà sempre esposto il tema principale A. Anche qui le arditezze tonali non mancano: Il tema B è inizialmente pure in RE; C inizia in LA minore in orchestra ed è ripreso in LA maggiore dal solista. Il ritorno di B è in SIb maggiore, poi SOL minore, quello di C in RE minore in orchestra, ripreso poi in RE maggiore dal solista.  

Andrea Bacchetti ha davvero cesellato questo gioiello, anche impreziosendolo (nel Larghetto in particolare) con la propria inventiva. Ben coadiuvato da un’orchestra dai colori eterei come si conviene a quest’opera.

Applausi e ovazioni per lui, che ci delizia con il suo amatissimo Bach: un Preludio e una Fuga dal secondo libro del Wohltemperierte Klavier: il Preludio del BWV870 in DO (qui da 23” a 2’56”) e la Fuga del BWV878 in MI (qui da 44’00” a 46’26”). 

24 giugno, 2021

laVerdi tutta in minore

Dopo quasi tre anni Kolja Blacher torna in Auditorium in entrambe le sue vesti: di solista al violino e di direttore. In programma - come da tradizione - un pezzo breve introduttivo, un concerto solistico e una sinfonia. Tre brani qui accomunati dal tono minore.

Si inizia con Valse triste di Jan Sibelius, componente delle musiche di scena (6 brani, pochi minuti) per un dramma di Arvid Järnefelt (cognato di Sibelius) intitolato ottimisticamente (Kuolema) alla morte! Lo spettro del marito deceduto si affaccia sulla camera da letto della moglie malata per portarsela via. É annunciato da una musica arcana che sveglia la donna, che si mette a danzare, insieme ad apparizioni che si manifestano via via per ballare con lei questo improbabile walzer a metà fra sogno e incubo. Dopo una pausa di... riposo, attacca una danza sfrenata che culmina nell’apparizione della Morte, che reclama il suo pegno.

Seguiamo l’esecuzione di Eduard vanBeinum al Concertgebouw: per me la più rispettosa dell’agogica prescritta. Si attacca in Lento con i soli archi e con i contrabbassi in pizzicato (suoneranno sempre così delle minime puntate e solo verso la fine prenderanno l’arco, per poche battute); la tonalità del motivo iniziale è cangiante da FA# minore (16”) attraverso il RE (29”) a SOL maggiore (40”); quindi ancora lo stesso motivo è presentato in SOL minore (44”) poi, via MIb, sfocia in LAb maggiore (1’09”). All’indicazione deciso (1’15”) ma senza che il tempo cambi, ecco farsi largo, in staccato negli archi, la tonalità di SOL maggiore, con violini e celli che insistono sulla dominante RE, e si muovono fra questa e la tonica superiore, chiudendo su essa dopo una languida digressione sulla scala minore.

Qui (2’04”) flauto (poi contrappuntato dal clarinetto) e violini primi espongono il delicato tema principale, subito ripetendosi:

Poi (2’26”) segue una salita sulla relativa MI minore, che dal SOL scende al FA (2’44”) per una pausa in corona puntata; da qui (2’52”) si va sul FA#, dove ritroviamo (2’58”) il passaggio udito all’inizio. Ma la frase è bruscamente interrotta (3’13”) dalla ripresa del tema principale nel flauto, cui ancora risponde il clarinetto (senza ripetizione) seguito dalla salita in MI minore.

Questa però adesso sfocia, sul primo vero cambio di tempo (Poco risoluto, 3’34”, contrabbassi finalmente con arco!) in un perentorio nuovo tema in SOL maggiore (salita da dominante a sopratonica e appoggio sulla tonica) sfociante in Mi minore:

Subito riproposto ma con successiva scalata (3’45”) per toni interi fino al MI e successiva discesa cromatica sulla mediante SI. Cui segue una nuova impennata sul SOL acuto (3’55”) e discesa cromatica sulla dominante RE.

Il tempo accelera ancora (4’02”, Più risoluto e mosso) e gli archi si esibiscono in accordi ribattuti di SOL minore; poi sempre più veloce (4’07”, Stretto) sugli arpeggi (sempre di SOL minore) degli archi bassi riascoltiamo, in note aumentate, il motivo iniziale, stavolta sul RE minore.

Si torna a Lento assai (4’23”) dove abbiamo ancora 4 battute di RE minore prima che 4 violini soli esalino, prendendo il testimone dal RE dei corni, un ultimo respiro (4’33”): SOL-FA#-SOL, minore.

In sostanza il brano ha un’agogica piuttosto semplice: apre in Lento e poi, a partire dal Poco risoluto, accelera continuamente fino a morire sul ritorno finale del Lento. Per il resto, solo variazioni minuscole e assai brevi.  

Chi comincia a derogare dalla lettera di Sibelius è Vladimir Ashkenazy con la Chamber Orchestra of Europe. Che comincia ad abbandonare il Lento già sulla scansione dei RE (1’28”) e poi decisamente accelera sul tema principale (2’17”). Parrebbe quasi che il russo abbia seguito le orme di Sergiu Celibidache, qui con la RAI Milano.

Per curiosità ascoltiamo invece cosa combina Ole Schmidt con la Royal Philharmonic: interpreta l’indicazione deciso (a 1’43”) come un Allegro subito, raddoppiando la velocità fin dalla scansione dei RE che precede l’entrata del tema principale. Torna poi bruscamente a Lento (2’38”) per la riproposta della frase iniziale, quindi altro colpo di reni (3’23”) sulla ripresa del tema principale; e da qui a rotta di collo fino al Lento dell’epilogo (4’25”).  

Alfred Scholz con la London Festival fa la media fra il Lento e il Poco risoluto e poi la applica da inizio a fine, in un improbabile e continuo Allegretto!

Infine ecco Herbie con i Berliner: addirittura Lentissimo! Poi però - e al momento opportuno! (4’38”) - si scatena in un’orgia parossistica...
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Blacher? Intanto va detta la cosa più importante: come ha già fatto in passato, qui lui presenta una versione del brano per soli archi. Ma non quella della primissima esecuzione, cui Sibelius aggiunse successivamente i tre fiati e i timpani... bensì una moderna, orchestrata dal violoncellista Georg Oyen. Che lascia un retrogusto un po’ amarognolo, poichè privarlo dei pur sporadici interventi dei fiati (flauto e clarinetto soprattutto) toglie al brano quel tocco decadente che è la sua principale caratteristica: e qui due campioni come Manachino e Ghiazza avrebbero davvero fatto la differenza!

Quanto ai tempi, Blacher - che ha suonato sulla sedia della spalla, facendo traslocare Santaniello su quella del concertino - ha sostanzialmente rispettato la lettera di Sibelius, solo anticipando di poco l’accelerazione al Poco risoluto.
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Mendelssohn è l’autore del Concerto per violino in cui si cimenta direttamente Blacher. Ma non è quello celeberrimo in MI minore (che ascoltammo proprio da lui nel marzo del 2018) ma il meno famoso (ed eseguito) in RE minore. Lo avevamo ascoltato qui nel lontanissimo dicembre del 2012 interpretato da Vadim Repim con l’Orchestre de la Suisse Romande.

Composto all’età di 12 anni, fa parte di quella produzione mendelssohn-iana orientata prevalentemente agli archi (vedi le 12 sinfonie): erano questi, oltre al pianoforte, gli strumenti che davano vita ai concerti in casa Mendelssohn. Così anche quest’opera vede il solista accompagnato esclusivamente da questa sezione dell’orchestra.

Anche qui, come Prima Sinfonia udita poco tempo fa, troviamo un Mendelssohn tutto pieno di furore adolescenziale, che si manifesta nei due Allegro esterni, mitigato dal languido Andante centrale. La struttura è simile a quella del futuro fratello (composto 22 anni più trdi) anche in dettagli come l’attacca che collega il secondo e il terzo tempo.

Blacher si fa sistemare due leggii: uno per sè come solista (e anche questo è un segno della scarsa dimestichezza con quest’opera) e uno, opposto al primo, per sè come direttore. Girandosi ora verso il pubblico (solista) ora verso l’orchestra (direttore). 

Apprezzabile la sua interpretazione (la tecnica certo non si discute) che però non rimuove da questo brano (se si esclude qualche squarcio nell’Andante) l’impressione di una certa freddezza, o di accademismo che guarda più al passato che al futuro.
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É Mozart a chiudere la serata con la stra-celebre K550. Il che consente anche alla sezione fiati dell’Orchestra di avere doverosamente la sua parte. Blacher dirige senza bacchetta e affronta questo capolavoro con gran cipiglio e tempi sempre ben serrati. E poi non ci fa mancare uno solo dei da-capo, inclusi quelli del movimento finale.

Per lui e i ragazzi un gran trionfo con gli ormai consueti applausi ritmati. Replica questa sera.

17 giugno, 2021

laVerdi fa altre serenate

Dopo la prima di Brahms eseguita poche settimane fa, ecco in Auditorium un programma di sole serenate. Per dirigerlo torna - dopo il concerto di Capodanno in streaming - il 27enne Thomas Guggeis, uno degli astri nascenti della direzione d’orchestra. Programma bifronte quanto alla presenza degli strumenti: prima parte quasi monopolizzata dai fiati e seconda per soli archi. (Così diventa più facile anche rispettare il limite al numero di esecutori sulla scena senza penalizzare troppo la resa sonora...)

Apre una serenata sui-generis, la Fanfare for the Common Man di Aaron Copland, composta nel 1942 per la Cincinnati Symphony. Destinata ad aprire i concerti in tempo di guerra (gli USA erano appena scesi in campo...) è poi diventata uno dei brani più eseguiti (e... saccheggiati) d’America: lo stesso Autore la auto-imprestò al finale della sua Terza Sinfonia.

Al Common Man (per noi l’Uomo qualunque?) il vice di Roosevelt (Henry Wallace) aveva dedicato nientemeno che il Secolo XX! Una glorificazione interessata: c’era da convincere il contribuente a pagare tasse sempre più salate, stante il crescente - e, per noi, benedetto! - impegno bellico del Paese. Ma più che l’onorificenza, alla bisogna servì l’introduzione del Sostituto d’Imposta (!) che fece schizzare le entrate federali da 3 a 20 miliardi di dollari in due anni.

La strumentazione è proprio bandistica: 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni e tuba; più timpani, grancassa e tam-tam. E sono le percussioni ad aprire e poi accompagnare la fanfara, con secchi rintocchi che ricordano vagamente... la marcia funebre di Sigfrido!

SIb e MIb sono le tonalità - tipicamente da banda - toccate nei 3 minuti (scarsi) del brano. Che chiude però su uno stentoreo RE.

Guggeis dispone gli 11 fiati a semicerchio; da sinistra: i 4 corni, poi le 3 trombe, quindi i 3 tromboni e, al proscenio a destra, la tuba. Le percussioni sono dislocate in funzione stereofonica: a sinistra, dietro i corni, il tamtam e la grancassa; a destra, dietro i tromboni, i timpani. Bellissime le sonorità uscite dalle 11 campane degli ottoni, che suscitano applausi calorosi, anche da parte di chi forse non si aspettava una durata così limitata del brano!
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Fiati in primo piano anche nel secondo brano in programma: la Seconda Serenata di Brahms, composta a ridosso della prima (1858-9) in quel di Detmold. Qui gli archi (privati del tutto dei due pacchetti di violini!) fanno da sottofondo, creando l’atmosfera calda ma anche un poco ombrosa del brano. Scelta confermata nel 1875 dall’abbandono delle due trombe (più due dei quattro corni) che l’Autore aveva messo in organico nella prima stesura.

Musica davvero allo stato puro, serena o contemplativa che sia: non per nulla elogiata dall’esteta Hanslick, che condannava ogni inflessione espressionista o sentimentale dell’arte musicale. Ascoltandola si può solo apprezzarne il rigore formale (Bach...) e la purezza dei temi, ma niente emozioni, sia chiaro! Vedremo tutto l’opposto in Ciajkovski...

Guggeis - che non ha mai preso la bacchetta in tutta la serata - ce la porge con grande discrezione, misurando il gesto, a volte ampio e disteso, altre secco e preciso, a seconda delle necessità imposte dalla partitura. E il pacchetto dei fiati mostra di essere una squadra di autentici... solisti! Ben coadiuvati dagli archi guidati per l’occasione dalla suadente viola di Miho Yamagishi.
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La chiusura del concerto vede quindi impegnate le sole stringhe (!) interpreti della Serenata per archi op. 48 che Ciajkovski compose nel 1880, durante uno dei suoi periodi di permanenza in Ukraina (già allora una dépendance della madre Russia) ospite di sorella e cognato nella grande tenuta di Kamenka.

Opera pervasa da serenità mista a malinconia, espressione pura di sentimenti ma anche di turbamenti profondi; in sintesi: tutto l’opposto rispetto all’asettico rigore di Brahms! A proposito si legge che il russo qui abbia mutuato molto da Mozart: mi permetto rispettosamente di osservare che è assai più mozartiana la Serenata di Brahms.    

La struttura è quasi di Sinfonia, con i classici 4 movimenti (qui un walzer rimpiazza lo Scherzo, ma ciò accadrà anche nella Quinta Sinfonia).

Il primo movimento - DO maggiore, 6/8 - presenta un’Introduzione in Andante non troppo, dove viene esposto un motivo che tornerà ciclicamente verso la fine dell’opera. Dopo quattro sue apparizioni e poche battute di riposo attacca l’Allegro moderato. Che è sostanzialmente bitematico (tonalità DO, con sfumature anche minori nella seconda frase, tema elegiaco; e SOL, motivo assai agitato in semicrome staccate) ma privo di sviluppo in quanto tale. Viene chiuso con un ritorno dell’Andante introduttivo, questa volta ridotto a 2 esposizioni del motivo.

Anche il secondo movimento rifugge da facili effetti, è un walzer in SOL maggiore assai lontano dai classici modelli da balletto, pur familiari al compositore. Un piccolissimo particolare lo testimonia, nella chiusura della frase iniziale:

A chiunque verrebbe spontaneo di sostituire le due semiminime evidenziate (SOL-SI) con una figurazione molto più... ammiccante: semiminima puntata + croma! Un secondo motivo impreziosisce il walzer, che chiude sommessamente con una gentile cadenza.

L’Elegia - Larghetto, 3/4 RE maggiore - è di certo (almeno a mio parere...) il punto più alto della composizione, con il suo nobile, struggente e cantabilissimo tema:

Così come il primo tempo, anche il finale (2/4, forma-sonata) è preceduto da un’Introduzione in Andante, che riprende il RE dell’Elegia come dominante di SOL maggiore, per preparare il terreno all’Allegro con spirito, Tema russo, canonicamente in DO maggiore, dal sapore frizzante. Un controsoggetto più cantabile segue in MIb maggiore nei violoncelli, poi i due temi sono sottoposti ad un robusto sviluppo, prima di tornare in sequenza (ma con il secondo ovviamente in DO) in sede di ricapitolazione.  

La coerenza dell’ispirazione complessiva è testimoniata dal ritorno ciclico, ad attaccare una curiosa Coda, del motivo dell’Introduzione alla Serenata; ecco il punto dove quel motivo si... trasforma in quello popolare del finale:

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Guggeis, oltre alla bacchetta, lascia a casa anche la partitura, che evidentemente ha tutta ben scolpita in mente: così non trascura nessuna delle mille sfumature del brano, dalla leggerezza del Valse alla crepuscolare Elegia. Insieme ai redivivi violini (capeggiati da Dellingshausen) In grande evidenza i violoncelli guidati dal veterano Mario Shirai Grigolato. Festa per tutti e applausi ritmati.