ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

24 novembre, 2018

laVerdi 18-19 - Concerto n°8


Uno dei tre Direttori Principali Ospiti de laVerdi, Patrick Fournillier, torna sul podio per proporci un programma dall’impaginazione classica: Ouverture, Concerto solistico e Sinfonia. Gli autori (e questo è meno usuale) sono Mozart e Gounod.

Si apre con l’Ouverture da Le nozze di Figaro, 4 minuti più o meno di effervescenza che l’Orchestra ci serve proprio come si stappa una bottiglia di spumante! Esecuzione davvero travolgente, che serve a mettere il pubblico nella migliore disposizione d’animo per seguire con interesse ciò che segue.
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Adesso sono due prime parti dell’Orchestra a guadagnare il proscenio, con relativi oneri ed onori, per porgerci il Concerto per flauto e arpa (K299), assente dalla programmazione dell’Orchestra da 20 anni!

I due sono il vercellese Nicolò Manachino, recente acquisto de laVerdi, dove ha preso il posto di Max Crepaldi, migrato un paio d’anni fa verso la Scala; ed Elena Piva, ormai storica arpeggiatrice in Auditorium (col fisico da modella che si ritrova, dobbiamo ringraziarla per aver preferito il tavolato del palcoscenico alle passerelle della moda...)

Concerto composto dal 22enne Teofilo a Parigi, su commissione del Duca di Guines, che era discreto flautista ed aveva una figlia che si dilettava con l’arpa. Ma non si pensi per questo che il lavoro sia alla portata di qualunque principiante! (Anche il Triplo di Beethoven fu composto in omaggio a nobili dilettanti, eppure è un monumento artistico...) 

I due moschettieri dell’orchestra si vanno valere - da incorniciare soprattutto l’Andantino centrale - ed ottengono un gran successo, ripagato con due applauditissimi bis. Apprezzabile la trascrizione del Claire de Lune di Debussy, dove all’arpa (che può, come il pianoforte, emettere contemporaneamente più suoni) è stato riservato un ruolo di primo piano, fin dalle primissime battute dove viene esposto, per terze, il mirabile tema.
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Infine ecco Gounod e la sua Sinfonia n°1 in RE maggiore, nei canonici quattro movimenti, che laVerdi esegue per la prima volta. Opera di un Gounod 36enne che a fronte dei riconoscimenti pubblici (vedi Prix de Rome, conseguito nel ‘39 a 21 anni!) ancora non aveva sfondato... cosa che gli riuscirà pochi anni dopo con il suo Faust.

Seguiamola dalla bacchetta del compianto sir Neville Marriner con la sua celebre orchestra londinese.
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Apre un Allegro molto in 4/4 alla breve, in forma-sonata, con due poderosi accordi (tonica e dominante) seguiti nei fiati da un inciso, una specie di motto che avrà importanza capitale nel seguito, ricomparendo, in forme diverse, lungo l’arco dell’intero movimento:
A 8” ecco l’esposizione, che presenta due temi francamente poco contrastanti (più Schubert che Beethoven...) Al primo, in RE maggiore, risponde a 15” un controsoggetto nella dominante LA maggiore, aperto dal motto udito poco prima. A 29” ritorna il tema in RE e poi, dopo il controsoggetto in LA, questa tonalità permane canonicamente per la transizione, iniziata dai clarinetti a 56”, verso il secondo tema (1’10”) di cui si ricorderà evidentemente l’allievo Bizet nella sua giovanile Sinfonia in DO, quasi coeva di questa del maestro. L’esposizione si chiude, dopo due schianti di LA e MI seguiti dal solito motto, a 1’42”, per essere ripetuta da-capo, fino a 3’15”.

Lo sviluppo inizia proprio riprendendo il motto e reiterandolo prolungatamente, fino a 3’36” dove riappare il secondo tema, nella sottodominante SOL, in maggiore, poi minore, sfociante (3’53”) nella relativa SIb maggiore (!) Ancora il motto (4’05”) introduce un lungo passaggio che riconduce al RE maggiore del primo tema.

É difficile individuare un momento preciso per l’inizio della ricapitolazione, ma lo possiamo proprio posizionare qui (4’37”) camuffato all’interno dello stesso sviluppo. Poi infatti, a 4’57”, ecco tornare la transizione al secondo tema (5’11”) accodatosi, come da sacri canoni, alla tonalità del primo. É lui a condurci verso la conclusione, con una coda (5’36”) che sfocia (6’24”) in una isolata riapparizione (anche qui Bizet scopiazzerà, nel finale della sua sinfonia) nei corni del motto, prima dei due prosaici schianti dominante-tonica.

Il secondo movimento, invece del tradizionale Andante (o addirittura Adagio) è un Allegretto moderato, 2/4 nella relativa RE minore. Il primo tema è un motivo saltellante, esposto dai soli archi, sfociante nella relativa FA maggiore, che viene subito ripreso anche dai legni. Poi, da 20”, viene ulteriormente sviluppato fino a raggiungere, con la sua cellula iniziale, un culmine (o climax, se si preferisce...) a 57”.

Da qui si diparte una breve transizione che porta, a 1’12”, alla presentazione, nell’oboe, del secondo tema, in SIb maggiore; motivo il cui incipit non può non ricordare quello, sempre in maggiore, della Scène aux champs di Berlioz, cui segue un controsoggetto (1’21”) prima della ripresa del tema, a 1’31”.  A 1’50” ecco un pretenzioso ma interessante passaggio fugato che porta, spegnendosi via via, alla conclusione sull’accordo di RE minore.

Ora abbiamo il canonico Scherzo (3/4, Non troppo presto) nella relativa seconda di RE maggiore, il FA maggiore. Qui siamo in realtà più al menuetto, con il suo incedere lezioso, che sfocia nella dominante DO (27”) dove abbiamo il da-capo, fino a 53”. Attacca quindi il secondo tema (o gruppo tematico) con una divagazione ardita a LAb maggiore e da qui, più canonicamente, a DO maggiore (1’03”) dove torna il motivo del primo tema, poi seguito da saltellanti salite e discese, per arrivare (1’29”) ad una sua riesposizione come dominante del FA di impianto, sulla quale tonalità si chiude (2’06”) lo Scherzo.

Marriner omette il da-capo del secondo gruppo tematico per passare direttamente al Trio, di struttura bipartita, nella sottodominante SIb maggiore. Stante il piglio blando dello Scherzo, viene a mancare qui lo stacco tipico fra le due sezioni del movimento. La prima parte è abbastanza breve, fino a 2’26”, dove viene ripetuta, fino a 2’47”. La seconda parte è più articolata, ma non si discosta dall’ambientazione dell’intero brano, e chiude a 3’29”, dove abbiamo la ripetizione. A 4’10” torna lo Scherzo, senza ripetizioni. Curiosamente, e significativamente, l’indicazione di ripresa reca la dicitura: D.C. il minuetto (!)

Il Finale in RE maggiore (Adagio, 4/4 - Allegro vivace, 4/4 alla breve) inizia con 20 battute lente, che hanno un sapore beethoveniano (qualcosa dell’Adagio della nona e poi - a 55” - dell’introduzione della prima). L’introduzione lenta in RE maggiore si chiude bruscamente (1’54”) con quattro battute di Allegro che portano (1’57”) all’esposizione del primo tema, un frizzante motivo negli archi che cade sulla dominante LA, subito ripreso (2’04”) con l’accompagnamento dei fiati. Il tema si chiude con due sospensioni, sulla sottodominante e poi sulla sesta abbassata (2’11” e 2’15”). Una breve transizione porta (2’24”) ad un motivo esposto da una baldanzosa fanfara di trombe, cui rispondono i corni, poi ripetuta (2’31”) con modulazione alla relativa SI minore. Lo sviluppo di questo motivo conduce a un’ulteriore modulazione sulla dominante LA (2’45”) che prepara l’arrivo del secondo tema.

Tema (3’01”) il cui incipit è una chiara citazione beethoveniana, dal Rondo del 3° Concerto per pianoforte, non a caso presentata dai clarinetti:


Il tema si sviluppa assai, fino a chiudere (3’54”) l’esposizione, ripetuta fino a 5’50”.

Lo sviluppo è aperto da due poderose esternazioni sulla sesta abbassata (SIb) sulla quale tonalità (6’00”) appare nei legni un nuovo motivo, che si ripresenta (6’19”) in DO maggiore. Ecco poi una transizione che porta (6’41”) al secondo tema, adesso approdato al FA maggiore da cui sale (6’47”) al SOL e poi su ancora (6’52”) al LA e infine (6’56”) al RE maggiore. Riecco (7’04”) la fanfara di trombe che chiude lo sviluppo.

A 7’21” ecco la ricapitolazione, aperta dal primo tema cui segue la fanfara (7’47”) e poi (8’18”) il secondo tema, ovviamente in RE maggiore. È ancora la fanfara di trombe ad aprire (9’04”) la spettacolare coda conclusiva.
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Fournillier, da buon francese, cerca di mettere tutto l’esprit de finesse possibile per promuovere al meglio quest’opera del suo illustre conterraneo. Del quale non lascia via proprio nulla, eseguendo meticolosamente tutti i ritornelli. E devo dire che il risultato sia stato largamente positivo. Potrei rimproverargli (haha...) un’eccessiva sostenutezza nell’Allegretto, ma è questione di gusti.

In definitiva, una proposta gradevole (mica si può sempre dare la Auferstehung o il Requiem verdiano...) che il pubblico non strabordante dell’Auditorium ha comunque mostrato di apprezzare assai, gratificando tutti di convinti applausi.

18 novembre, 2018

Il Beckett di Kurtág alla Scala


Ieri sera in un Piermarini poco frequentato fin dall'inizio è andata in scena la seconda di Fin de partie, Ia nuova (e prima...) opera di Kurtág György (l’ho scritto secondo l’usanza ungherese, prima il cognome e poi il nome) commissionata dal Teatro e che ha avuto una gestazione assai travagliata, con diversi rinvii da una stagione alla successiva, legati a seri problemi che hanno afflitto il 92enne compositore in questi ultimi anni.

L’atto unico, che riprende il dramma di Samuel Beckett del 1957, è strutturato su 14 parti (indicate nel libretto come numeri, proprio come era d’uso nell’800, trattandosi di teatro musicale). Kurtág ha impiegato una parte del testo originale francese di Beckett, cui ha poi premesso, a mo’ di Prologo, una poesia che lo scrittore irlandese scrisse quasi 20 anni dopo il dramma: Roundelay, che viene cantata da Nell, una dei quattro protagonisti dell’opera. In più, il compositore ha aggiunto poche parole (anche di diascalia) di suo.

Invece di ricordare qui la trama del dramma (in effetti più che di trama si dovrebbe parlare di cronaca di una giornata qualunque in una famiglia squinternata) mi limito a segnalare nella tabella sottostante le principali differenze (evidenziate in giallo) fra il testo originale di Beckett e quello che Kurtág ha derivato

tempo

Beckett

Kurtág

 

 

1. Prologo: Roundelay

 

32”

1’48”

Descrizione della scena e ingresso di Clov, servitore di Hamm.

Apertura tende delle finestre.

Scoprimento bidoni in cui abitano Nell e Nagg (senza gambe) e della

sedia a rotelle su cui dorme il padrone di casa Hamm (figlio di Nell e Nagg).

2. Pantomima di Clov: Ouverture

2’50”

Monologo di Clov, sull’imminente fine delle sue disgrazie.

3. Primo monologo di Clov 

3’43”

Monologo di Hamm, che vorrebbe farla finita, ma non ci riesce.

4. Primo monologo di Hamm

7’00”

10’30”

Dialogo Hamm-Clov (la bicicletta).

 Risveglio di Nagg che chiede la pappa.  Battibecco Hamm-Clov.

 

13’57

20’32”

21’16”

23’25”

23’53”

Dialogo Nagg-Nell, interrotto da Hamm.

Dialogo Nagg-Nell: ricordi del Lago di Como.

Nagg racconta la barzelletta dell’inglese e dei pantaloni.

Irritazione di Hamm, che ordina a Clov di gettare i bidoni con i genitori in mare.

Clov tasta il polso di Nell, che sembra morta.

5. Bidone

 

    Canzone Il mondo e i pantaloni

 

24’11”

25’08”

27’55”

29’46”

31’21”

32’35”

33’42”

34’22”

37’13”

38’15”

39’45”

40’36”

41’30”

43’05”

Dialogo Hamm-Clov (catetere, stimolanti e tranquillanti).

Giro del mondo di Hamm in carrozzella, spinto da Clov.

Clov esplora l’esterno.

Clov esplora il mare.

Hamm filosofeggia.

Clov ha una pulce nell’inguine e lo cosparge di insetticida.

Hamm propone un viaggio per mare, verso il Sud.

Hamm pronuncia la profezia per Clov.

Hamm ricorda il passato a Clov.

Hamm chiede il suo cane di pelouche.

Hamm chiede di mamma Pegg: morta, Clov non ha tempo per seppellirla.

Hamm chiede ia sbarra per spostarsi con la sedia.

Hamm racconta di un pazzo convinto di essere sopravvissuto alla fine del mondo.

Clov mostra ad Hamm una sveglia: la caricherà quando se ne andrà per sempre.

 

45’52”

47’15”

47’53”

 

55’15”

Racconto di Hamm. Nagg per ascoltarlo chiede un confetto.

Hamm vuol riprendere il racconto, ma ha mal di testa.

Hamm inizia il suo racconto senza capo nè coda:

l’incontro a Natale con un uomo che ha lasciato il bambino lontano e solo.

Preghiera, interrotta da Nagg che chiede il confetto

e da Clov che annuncia di aver trovato un topo in cucina.

6. Romanzo 

56’20”

Nagg rievoca i primi giorni di vita del figlio Hamm

e gli annuncia che arriverà il giorno in cui lui avrà ancora bisogno del padre.

7. Monologo di Nagg

58’48”

59’51”

1h02’53”

 

1h03’32”

1h04’30”

1h04’46”

1h06’17”

1h07’00”

Hamm rivuole il cane di pelouche, poi lo butta.

Hamm riprende la storia (il suo Romanzo).

Hamm chiede a Clov di controllare se sua madre Nell è morta: pare di sì.

E il padre? Pare di no, piange.

Hamm si fa portare da Clov sotto la finestra. Clov lo porta sotto quella a destra.

Hamm vuole andare verso l’altra, che dà sul mare.

Clov lo porta là e apre la finestra. Fuori è tutto calmo. Si richiude la finestra.

Hamm chiede a Clov di guardare nel bidone del padre: sta succhiando il biscotto.

Hamm chiede a Clov di dargli un bacio: Clov rifiuta, anche di toccarlo.

 

1h07’30”

Hamm filosofeggia su vita e morte (Anassimandro, ndr).

8. Penultimo monologo di Hamm

1h11’40”

Hamm stuzzica Clov sulla sua fedeltà. Gli chiede il calmante: è finito.

9. Dialogo di Hamm e di Clov 

1h12’25”

1h13’02”

1h14’10”

1h14’29”

1h16’40”

1h17’27”

Hamm chiede a Clov di guardare fuori, verso terra.

Clov guarda dall’altra finestra, verso il mare, pensa ad un diluvio, poi capisce.

Clov informa Hamm di cosa morì Pegg: di oscurità, perchè lui la lasciò senz’olio.

Scenetta della ricerca del cannocchiale, del cane di pelouche e della bara.

Clov guarda dalla finestra verso terra: c’è qualcuno là fuori.

È un bambino, che Clov vorrebbe sopprimere, dissuaso da Hamm.

 

1h18’22”

1h19’57”

Hamm dichiara la fine. Clov fa per andasene, ma Hamm gli chiede un saluto.

Clov gli canta una filastrocca fra l’erotico e lo scurrile.

10. “È finita, Clov” e Vaudeville di Clov

      Vaudeville

1h20’21”

1h21’13”

Clov filosofeggia su amore, amicizia e... sulla somma ipocrisia della società.

Poi, improvvisamente, tutto finisce e lui piangerà di gioia.

11. Ultimo monologo di Clov 

1h21’45”

Saluti e ringraziamenti reciproci fra Hamm e Clov, che esce di scena.

12. Transizione al finale 

1h22’25”

1h25’14”

Siamo al finale di partita. E del romanzo: tenere il bambino per la vecchiaia.

Hamm getta via tutto, si tiene solo il fazzoletto aperto davanti al volto.

13. Ultimo monologo di Hamm 

      Fine del Romanzo

1h27’07”

 

14. Epilogo


Chi vuole approfondire in corpore vili, può riferirsi a questo testo del dramma di Beckett nel quale ho inserito (evidenziate in verde) le titolazioni di Kurtág e (evidenziate in giallo, all’inizio e alla fine) le parti del testo originale tagliate dal compositore. Seguendo poi questa messinscena italiana (cui si riferiscono i minutaggi riportati in tabella) ci si può fare un’idea della portata di quei tagli.

Dal punto di vista puramente tecnico, dalla tabella si desume che Kurtág ha tagliato circa 39 minuti su 87, quasi il 45% della pièce recitata. Dato che l’opera dura circa 120 minuti, se ne deduce che il compositore ha preso poco più della metà dell’oggetto originale e quella, in compenso, l’ha resa due volte e mezza più gonfia: ergo mi pare chiaro che l’oggetto finale del musicista ben poco abbia a che vedere con quello originale dello scrittore. A cominciare dal ritmo dell’azione, che in Beckett è spedito, a volte forsennato, mentre in Kurtág diventa quanto mai lento e in certi momenti esasperante. Abbiamo insomma una dimostrazione sintetica ma lampante di quanto la presenza della musica possa stravolgere (nel bene magari, ma anche e forse soprattutto nel male) l’originale. Lo stesso regista, Pierre Audi, lo riconosce nelle sue note apparse sul programma di sala. 

E in realtà ciò che il compositore ha omesso è parte (per me) irrinunciabile del testo originale, il che grava irrimediabilmente come un macigno sulla qualità dell’opera di Kurtág. Si pensi ad esempio al giro del mondo in carrozzella, o ai ridicoli equivoci e sbadataggini di Clov, o al ruolo del cane di peluche, o alle scenette della sveglia e della pulce, o alle esplorazioni di mare e terra di Clov, tutti elementi di quel teatro dell’assurdo che nell’opera - sempre e pervicacemente seriosa - finiscono per scomparire. E in coerenza con il taglio cupo e nichilista che Kurtág dà al suo lavoro, anche l’orchestra ne viene influenzata: vi predominano gli strumenti gravi e i tempi sono quasi sempre sostenuti, se non proprio larghi

Viceversa Kurtág ha arricchito (!?) il testo con altri contributi (legati probabilmente alla musica) quali il riferimento (verosimilmente all’episodio dei due ebrei polacchi) ai Quadri di Musorgski all’interno della ballata di Poldy Bloom (n°5, a sua volta un saluto al venerato James Joyce dell’Ulysses); le esplicite indicazioni di Stollen e Abgesang nel Romanzo (n°6); il riferimento (shakespeariano?) nel n°7 a Prospero (vedi i suoi New messages del 2009); la battuta su Maria-Antonietta (pane-brioches) nel n°8; e infine l’omaggio a Baudelaire e la reminiscenza di Debussy all’interno dell’ultimo monologo di Hamm (n°13). 

In definitiva, una rivisitazione di Beckett che finisce per... smentirlo! 
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Anche se il compositore non è stato personalmente presente durante le ultime prove, si dice abbia però seguito da casa il procedere della preparazione; quindi c’è da pensare che ciò che vediamo e sentiamo sia abbastanza precisamente collimante con le sue intenzioni. In altre parole, questo è uno dei tipici casi in cui si può dare per scontato che Direttore e Regista non abbiano in alcun modo travisato la volontà dell’Autore (cosa che accade spesso e volentieri con le regìe di opere del passato).

Pierre Audi si prende, con lo scenografo Christof Hetzer, qualche libertà, come quella di mostrare la casa dall’esterno e non dall’interno e collocando quindi i personaggi all’aperto. La cosa fa pochi danni, stanti i... tagli di Kurtág, che guarda caso ha cassato le scene tassativamente da ambientarsi dentro la casa (le esplorazioni dalle due finestre di mare e terra di Clov, soprattutto). Resta però un piccolo, ma gratuito e del tutto strampalato particolare: nell’iniziale pantomima di Clov si vede il badante arrampicarsi sulla scaletta per guardare dalle due finestre, dal di fuori, l’interno della casetta (?!)

Per il resto Audi e i suoi collaboratori rispettano quasi alla lettera il testo di Beckett così come manipolato dal compositore.
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Quanto all’esecuzione musicale, Markus Stenz (tuttora impegnato qui anche sul fronte Elektra) si spera ci abbia portato all’orecchio i suoni che Kurtág ha immaginato prima di segnarli sui righi della partitura (se il compositore ha seguito la diretta della prima irradiata il 15 da Radio3 potrebbe aver commentato in prima persona... chissà). Dire invece se l’orchestra abbia suonato bene o male è cosa ardua: per default immagino abbia suonato bene, ecco. Vengo adesso agli interpreti.   

Frode Olsen (Hamm). Con una battutaccia, potrei dire che il suo nome è... onomatopeico, ma mi limiterò a bocciarlo senza appello (a meno che non abbia cantato così su ordine dell’Autore, il che mi farebbe perdere ogni stima per Kurtág, poichè il teatro d’opera non è un’osteria, che io sappia almeno).

Leigh Melrose (Clov). Un po’ meglio del suo padrone: la sua voce più da baritenore che da baritono secondo me giova assai a rendere bene il personaggio un po’ vanesio del badante di Hamm.   

Hilary Summers (Nell). Ha una parte - in omaggio al sesso - piuttosto lirica e la svolge con discreto profitto.

Leonardo Cortellazzi (Nagg). Essendo Nagg il padre di un basso, dovrebbe essere un basso profondo; invece Kurtág affida la parte ad un tenorino (il classico nonno starnazzante). E il nostro se la cava discretamente bene.

Va detto che la musica di Kurtág, pur non essendo improntata a puro (e insopportabile?) serialismo, è di digeribilità assai difficoltosa, il che mette a dura prova le capacità di assimilazione dell’ascoltatore: esodi di massa durante i tre cambi-scena testimoniano della ricezione negativa di gran parte del pubblico. E anche quello che è stoicamente rimasto al suo posto per più di due ore lo ha probabilmente fatto o perchè impossibilitato materialmente ad uscire (i posti di platea non sui corridoi) o perchè era già preparato in anticipo a fare il fioretto di sorbirsi l’amaro calice fino in fondo.

Pubblico che alla fine non ha fatto mancare i cosiddetti applausi di cortesia (forse anche di liberazione...) agli esecutori. E certo non avrebbe risparmiato applausi di stima all’Autore, fosse stato presente... però chi parla di capolavori, secondo il mio giudizio di melomane di media tacca, farebbe bene a moderare i termini, chè allora, se questo si definisce capolavoro, mi piacerebbe sapere quale termine dovremmo coniare per ridefinire anche solo Nabucco o Holländer, Barbiere o Bohème, tanto per dire, non parliamo poi di Otello o Tristan, Tell o Norma...