Jader
Bignamini
fa il suo esordio stagionale dirigendo un programma tutto
russo,
tardo e tardissimo-romantico, dalla struttura ultra-tradizionale: brano brillante
di apertura, celebre concerto solistico e sinfonia.
L’apertura è affidata alla trascinante Polacca
in SOL maggiore che introduce il terz’atto dell’Onegin,
con la fanfara delle trombe che richiama all’ordine e al silenzio i soliti
distratti e ritardatari. Musica da balletto, come altra (walzer, mazurka) che dà
un tocco di grand-opéra a queste scene
liriche, come Ciajkovski battezzò la sua opera più famosa. Bignamini la
propone con sobrietà, tempi nè troppo sostenuti, nè scriteriatamente veloci; e dinamiche
equilibrate. Chissà se in futuro lui, ormai lanciatissimo nel teatro, non provi a dirigere anche tutto
il resto che contorna questa polonaise
(!)
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Il
57enne armeno-americanizzato Sergei
Babayan si cimenta poi nel Concerto in SIb minore, di cui tutti
ricordano la maestosa introduzione
(che poi aspettano invano che ritorni...) e null’altro. Nikolai Rubinstein, originale dedicatario del Concerto, nonchè
maestro e superiore (al Conservatorio di Mosca) di Ciajkovski, lo stroncò senza
remissione al primo ascolto, salvo ricredersi anni dopo, di fronte al successo
planetario che l’opera conobbe a partire dalla prima americana interpretata dal sommo vonBülow.
Babayan
ce ne propone una lettura a forti tinte: non risparmia nulla nei momenti di grande
enfasi (quei bestiali passaggi di ottave, dove è quasi impossibile evitare
qualche... sbavatura) ma sa anche porgere con grande sensibilità i passi più
lirici e, diciamo pure, sdolcinati, del concerto. Mirabile al proposito l’Andantino semplice, dove solista ed
orchestra (citerò solo l’ispirato intervento del violoncello di Shirai-Grigolato) creano quell’atmosfera
sognante, rotta da un’ingenua canzoncina, che caratterizza questa oasi di
tranquillità incastonata fra i due ponderosi movimenti esterni.
Vibranti
applausi per il tarchiato Sergei (fisico da lottatore di greco-romana!) che
ricambia con un delicato bis (Scarlatti, direi... no, Bach!)
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La Terza
di Rachmaninov è una sinfonia un po’ sui-generis,
che i fanatici del russo ovviamente trattano come un capolavoro, e i detrattori
come velleitario residuo ciajkovskiano condito con salsa novecentesca.
È anche
un pezzo indubbiamente ostico, proprio per la sua (e non solo apparente)
frammentarietà; oltretutto laVerdi
lo ha suonato solo due volte in quasi 20 anni (2000 e 2010) ergo dev'essere un oggetto
quasi sconosciuto ai professori. Quindi il solo fatto che Bignamini lo abbia
tutto in testa e lo diriga a memoria è già un segnale della serietà e della
cura che il Maestro pone nel suo lavoro.
Dopo
aver doverosamente dato atto a lui di e ai ragazzi di aver profuso lodevolmente
tutto l’impegno possibile, devo però confessare che vivrei lo stesso benissimo
anche senza questa musica (tanto per chiarire quali emozioni mi susciti...)
In ogni
caso l’abnegazione di tutti è stata giustameente premiata con ripetute chiamate
e applausi mirati alle prime parti e
alle sezioni dell’Orchestra.