ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

28 luglio, 2016

A Bayreuth non è mai troppo tardi

 

Esordire a Bayreuth a 73 anni (quanti ne ha Haenchen, chiamato al penultimo momento a sostituire nel nuovo Parsifal il – forse troppo? – rampante Nelsons) è stato un record assai effimero, poichè battuto già dopo un giorno dal 77enne Janowski, chiamato a sostituire nel Ring oleoso (con un filino di preavviso in più) il decisamente troppo rampante Petrenko (reo di aver soffiato il posto - presso tali Berliner Philharmoniker - all’attuale fac-totum musicale del festival). Insomma, nell’era dei ggiovani a tutti i costi, è come se l’Inter, a sostituire il suscettibile Mancini, avesse chiamato ahò... Mazzone!

Però devo dire che, almeno all’ascolto radio, i due arzilli diversamente-giovani (che alcuni liquideranno sbrigativamente come dei batti-solfa) hanno tenuto bellamente a galla una barca che rischiava altrimenti di colare a picco. Questo per dire che, anche qui da noi, se per caso si dovesse rottamare – via referendum – il rampante Renzi, si potrebbe utilmente ripescare al suo posto, che so... Castagnetti (stra-smile!)

La RAI quest’anno ha deciso di tagliare (invece dei mega-stipendi ai dirigenti) il Ring del 50% e le prime di Bayreuth del 57%: si vede da lontano l’impronta inconfondibile del ggiovane rampante Campo dall’Orto, uno che ha capito al volo come va il mondo.  

Chi non vuol perdersi le restanti 4 prime può affidarsi ai simpatici amici di Radio Clasica, che per ora si sta eroicamente difendendo (pur con perdite... olandesi) dagli attacchi dei locali Campo de l’Huerto: quindi appuntamento il 29 per Siegfried, il 31 per Crepuscolo e il 1° per Tristan (sempre alle 16). Quanto all’Olandese del 30, sarà irradiato dai locali bavaresi.  

Alles was ist, endet.

25 luglio, 2016

Bayreuth dei poareti

 

Bayreuth ha aperto il suo annuale caravanserraglio con un nuovo Parsifal francamente modesto (almeno all’ascolto radiofonico, ma i testimoni oculari pare estendano l’attributo anche all’allestimento). Insomma: la montagna collina verde ha partorito il classico topolino (come non fossero bastati quelli di Neuenfels!)

Quasi avessero previsto il misero parto, anche i grandi di Germania (e colonie) non si sono fatti vivi, naturalmente con la scusa che l’Isis gli potesse fare qualche scherzetto, ad esempio convertendo in kamikaze qualche insospettabile fanciulla-fiore (pare in effetti che il regista ci abbia pensato, strasmile!)

Salvo la Pankratova, che ha sfoggiato le sue notevoli doti come Kundry, e il navigato Haenchen - che è il classico vecchio marpione a cui puoi chiedere di fiondarsi a Bayreuth per debuttarvi a 70 anni con 3 settimane di preavviso, e lui ti garantisce di evitare un fastidioso forfait, oltretutto tenendo tempi che pare fossero proprio quelli di Wagner-1882! – il resto del cast mi è parso proprio scombinato: a partire dal Parsifal Nemorino di Vogt, che le note le canta tutte e bene, ma come le canterebbe Bocelli, ecco. Per non parlare di Gurnemanz e Amfortas che si debbono essere per errore scambiati le parti: così il primo è stato cantato da un baritono e l’altro da un basso...

Certo, orchestra e coro sono inossidabili e su loro nulla da dire, ma insomma mi pare abbia fatto bene l’Angelona ad evitare i rischi.  
    

12 luglio, 2016

Kent Nagano in visita a Ravenna


Ieri al Ravenna Festival è ritornato uno dei Direttori più preparati in circolazione, il nippo-statunitense Kent Nagano, alla guida degli Hamburger (non si mangiano!) Philharmoniker, di cui è da poco il Direttore Musicale.

Con lui il 34enne pianista berlinese Martin Helmchen che si cimenta subito nel Quarto di Beethoven. Già anni fa, giovane di belle speranze, in una apparizione con laVERDI all’Auditorium (in Mozart) aveva destato una positiva impressione. E in questi anni dev’essere ulteriormente maturato, a giudicare dall’autorevolezza con la quale ha domato questo che è probabilmente il più ostico dei 5 concerti del genio di Bonn.

Affascinante il lirismo sfoggiato nell’iniziale Allegro moderato, ma grande anche la tecnica virtuosistica, culminata nella lunghissima e massacrante prima cadenza. L’Andante con moto è purtroppo risuonato in un ambiente sonoro funestato dal ronzio dei (pur necessari, dato il caldo infernale che incombe anche qui) condizionatori; poi il Rondo finale ha rimesso le cose a posto, e solista e orchestra hanno dialogato in modo oserei dire perfetto. Strameritati quindi gli applausi che il pubblico (abbastanza folto, anche se non tanto da riempire del tutto il PalaDeAndrè) ha tributato a tutti, e che Helmchen ha ricambiato con un bis.
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Intervallo all’aperto, girovagando dentro le cento colonne del labirintico Danteum che fronteggia l’ingresso del gran palazzone o passeggiando sotto le dieci poderose costole (di vascello) del Grande ferro R di Alberto Burri, poi si rientra per ascoltare l’enigmatica Sesta di Bruckner: rimasta a lungo (e non è che oggi ne sia totalmente uscita) in una specie di limbo, come schiacciata dalle sei (3-5 e 7-9) che la intrappolano a sandwich. È un Bruckner forse meno austero (costruttore di cattedrali barocche) e più sbarazzino (lui stesso apostrofò di birichina questa sua opera) che sembra voler andare dritto al punto, senza pedanteschi preamboli, nè ponderose pause. È in LA maggiore, come la celeberrima Settima del venerato Beethoven, l’apoteosi della danza, stando all’idolatrato Wagner che in quella tonalità aveva concepito il Lohengrin.

Qualche nota sulla Sinfonia, seguendola in un’esecuzione proprio di Nagano con i sinfonici berlinesi.
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Il tema principale del lavoro è costituito da una cellula di due battute in 4/4: nella prima troviamo due minime, nella seconda due terzine (3 su 2) di semiminime, di cui la prima inizia con una pausa. Questa cellula torna svariate volte nel corso dell’opera, ma in particolare assume tre peculiari forme, come evidenziato dalla figura sottostante:


Nella prima forma, esposta subito all’inizio (6”) dagli archi bassi, scende dalla dominante MI alla tonica LA, quindi percorre un ondeggiamento attorno alla tonica, che ha come estremi la settima e la sopratonica abbassate (SOL naturale e SIb): si crea così un tipico effetto napoletano, o da scala modale.

La seconda forma compare nella Coda del Majestoso iniziale. Qui (16’16”) le minime della prima battuta scendono dalla tonica LA alla dominante MI, dopodichè l’ondeggiamento avviene attorno alla dominante, fra la sottodominante (RE) e la sesta abbassata (FA naturale): anche qui un effetto napoletano, che nelle ultime battute del movimento (16’29”) sfuma attraverso la mutazione del FA naturale in FA# (sesta giusta) ristabilendo la piena tonalità di impianto.

La terza forma della cellula motivica compare precisamente (e ciclicamente) alla fine della sinfonia (56’13”) dove le minime della prima battuta tornano a scendere da dominante MI a tonica LA, ma poi l’ondeggiamento avviene attorno alla dominante (estremi la mediante DO# e la sesta FA#) quindi tutto in piena tonalità di LA maggiore.

Uno stupefacente impiego di questa cellula è quello che troviamo nella citata Coda del movimento iniziale (60 battute, da 309 a 369, da 14’02” a 16’36”): vi sono contenute non meno di 39 mutazioni di sfondo armonico, che attraversano tutte le 12 triadi della scala cromatica (una specie di super-serie dodecafonica!)

A proposito di temi ricorrenti, è il caso di segnalare quello con il quale l’oboe apre l’Adagio (17’16”). Questo motivo ricomparirà nel Finale, dapprima timidamente (46’36”) poi assai corposamente (da 47’01” a 47’53” e ancora fino a 48’54”) per infine condurre (da 53’58” a 55’17”) verso la coda conclusiva della Sinfonia. Se non nella melodia, di sicuro nel ritmo, la cellula di base è parente stretta del tema del Finale della Quarta di Schumann:

L’Adagio si segnala anche per la presenza di un tema di grande nobiltà (compare per la prima volta a 19’08”) che si sviluppa fino ad un bellissimo culmine (20’07”):

Lo Scherzo (in LA minore) è a sua volta impregnato dal ritmo del tema iniziale della Sinfonia, in particolare da quello della seconda battuta della cellula fondamentale (due terzine di cui la prima acefala). Ritmo che marca la chiusa della sezione principale, dapprima in MI maggiore (come sotto esemplificato, a 34’51”) e quindi in LA maggiore:


Non poteva mancare poi un omaggio a colui che Bruckner considerava poco meno che un dio: Richard Wagner. Ecco qui una citazione (dal Finale) tanto esplicita quanto impegnativa e... pericolosa (gli attirò strali e sbeffeggi da ogni parte, chissà come avrebbe reagito il web di oggi, con i suoi twit video virali!):

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É una Sinfonia che ha subito assai poche revisioni o ripensamenti (anche perchè Bruckner non la potè mai ascoltare per intero) ed è anche stata, come dire, lasciata in pace dai diversi allievi, sodali, reggiborse ed affini del compositore, che hanno invece lasciato le loro tracce (quasi sempre nefaste) sulle partiture delle sorelle maggiori. Quindi non mi sentirei di dire che questo sia un segno di debolezza, ecco. È invece curioso che Bruckner abbia composto questa sinfonia così serena, vitale, ottimistica, in un periodo assai triste e travagliato della sua esistenza: esattamente l’opposto di quanto accadrà a Mahler, che comporrà la sua tragica sesta nel periodo più felice della sua vita.

Nagano (che ha schierato le viole al proscenio) ha modo di mettere in mostra le eccellenti qualità della sua nuova Orchestra: poderosi gli archi bassi (contrabbassi tutti rigorosamente a 5 corde) nell’incipit della sinfonia e smaglianti gli ottoni che Bruckner impegna sempre allo spasimo. Ma perfetta anche la resa delle parti più leggere della sinfonia, dove l’Orchestra sfrutta al meglio la sua lunghissima esperienza nel repertorio cameristico.

Insomma, una bella serata di grande musica.

08 luglio, 2016

laVERDI 2016 – Concerto n°25


Per la prima volta nella sua ultraventennale storia, laVERDI ha eseguito quindi di Hector Berlioz gli Episodi della vita di un artista, vale a dire il dittico formato dalla Sinfonia fantastica e da Lélio.

Organico al completo (anche il coro di Erina Gambarini) sotto la direzione di Claus Peter Flor. A recitare la parte di Lélio Marco Foschi, mentre Bernard Berchtold (tenore) e Thomas Tatzl (baritono) hanno cantato nei tre brani del melologo che prevedono parti di voci soliste. Carlotta Lusa e Vittorio Rabagliati erano impegnati al pianoforte.

Sala purtroppo semideserta: chissà, dei due match franco-tedeschi forse molti hanno preferito quello Deschamps-Löw in TV a quello Berlioz-Flor in Auditorium... E devo dire che anche qui mi pare abbia prevalso nettamente il francese!

La Fantastica è stata aggredita da Flor quasi con protervia, con dinamiche esagerate: cosa non è diventato il walzerino, nella seconda sezione! Timpani fracassa-timpani alla fine della scena campestre, dove in partitura ci sono solo dei pianissimo e qualche piano e sforzato per evocare lontani rumori di tuono. Le campane del finale, che devono suonare sì forte, ma stare fuori scena, quindi udirsi in lontananza, qui sono piazzate proprio al proscenio! Insomma, un’esecuzione che calcisticamente definirei... gioco pesante, ecco.

Meglio, per fortuna, il Lélio. Orchestra visibile (per ragioni comprensibili) ma che ha suonato a luci quasi spente (con le lampadine sui leggii) e con gli orchestrali in blusa nera al posto del frac per meglio... scomparire. Pianoforte e tenore nascosti da un paravento. Il baritono arriva, in frac, al proscenio, il che è invece incomprensibile.

Lodevole, come sempre in questi casi, la proiezione sui due schermi dei testi francese e italiano. Toschi recita nella nostra lingua (traduzione di Valentina Romani, stando al programma di sala) e forse per questo il testo dei monologhi di Lélio non viene proiettato: errore, poichè molte delle parole dell’attore purtroppo sfuggono, causa l’amplificazione non proprio adeguata.

I sei brani musicali sono eseguiti e cantati in modo più che degno e riscattano gli eccessi della Sinfonia. E alla fine ci sono applausi e ovazioni per tutti. Anche per Flor, che così ha modo di digerire lo 0-2 di Marsiglia! 

(Adesso la stagione principale va in pausa – non laVERDI – e si riprende alla Scala in settembre).

06 luglio, 2016

Parsifal ritrova un tutore


A Bayreuth hanno reclutato in fretta e furia il sostituto di Andris Nelsons per il prossimo Parsifal: si tratta di Hartmut Haenchen, debuttante nella torrida cantina della Festspielhaus. 

Forse per dare importanza alla nomina, il sito del Festival pubblica un suo curriculum kilometrico. Sarà, personalmente l’ho udito dal vivo una sola volta, alla Scala: fu un Holländer francamente mediocre. 
Il 25 c.m. (sia pure per radio) potremo giudicare.

05 luglio, 2016

laVERDI 2016 – arriva Lélio


Claus Peter Flor si appresta a tornare sul podio dell’Auditorium per dirigervi l’ultimo concerto della stagione principale prima della pausa estiva (si riprenderà il 15 settembre, 4 giorni dopo la consueta visita alla Scala; ma laVERDI, lo sappiamo, non va mai in vacanza, nemmeno in agosto e così chi resta in città ha a disposizione la stagione estiva per non sentirsi solo).

In programma una vera e propria primizia: il dittico berlioz-iano esattamente come lo immaginò (in due tempi...) il compositore: alla ormai inflazionata (e lasciata sempre più sola) Symphonie Fantastique seguirà il melologo-monodramma Lélio, ou Le retour à la vie, che nelle intenzioni dell’autore doveva rimettere un po’ le cose a posto dopo gli incubi esistenziali, freudiani e romanticoidi delle forche e dei sabba.

Si sa che la Fantastique era stata in qualche modo ispirata dall’infatuazione di Berlioz per l’attrice Harriet Smithson (da lui vista recitare Shakespeare in teatro nel 1827): l’oppio, che pare Berlioz non si facesse mancare, aveva fatto il resto, scatenando, accanto alla celebre Idée fixe, le visioni apocalittiche degli ultimi due movimenti della sinfonia, completata nel 1830 ed eseguita domenica 5 dicembre di quell’anno. Ancora il Lélio era ben di là da venire, e con lui l’idea stessa di creare un postludio da appendere all’esecuzione della sinfonia.

Ignorato dall’attrice irlandese e applicando la vecchia regola del chiodo-scaccia-chiodo il nostro si fidanzò con tale Marie-Félicité Denise Moke, pianista belga che però, mentre lui era nella città eterna (1832, avendo finalmente vinto il Prix de Rome) pensò bene di sposare Camille Pleyel (rampollo del famoso Ignace). Preso da raptus omicida, Berlioz ripartì in fretta e furia da Roma verso la Francia, non prima di essersi procurato abiti femminili, due pistole e fiale di stricnina: per farci che? Introdursi con l’inganno in casa Moke e semplicemente farci secchi la ex-fidanzata e i di lei genitori, prima di spararsi o (a scelta) avvelenarsi a sua volta.

Per sua (e nostra?) fortuna, arrivato a Nizza già aveva cambiato idea e fatto una conversione a U, tornando a Roma e componendovi, appunto, il Retour. Ritorno alla vita, tramite la musica (più Goethe e Shakespeare, tanto per gradire...) ma anche ritorno all’inafferrabile Harriet, che domenica 9 dicembre 1832 assisteva alla prima del dittico e meno di un anno dopo (giovedi 3 ottobre 1833) diventava sua moglie (e mal gliene incolse!) Cosa abbia spinto Berlioz alla decisione di fare del Lélio un’appendice, una chiosa della Fantastique, da eseguirsi inderogabilmente in coda alla sinfonia lo saprà solo lui, noi sappiamo che abbastanza presto questa prassi venne abbandonata, e non senza ragione.   

Intanto: la struttura del melologo e le risorse impiegate sono piuttosto velleitarie; allora, ci troviamo: la voce recitante che sta (quasi) sempre al proscenio; grande orchestra, coro e cantanti che stanno dietro un sipario, quindi udibili ma invisibili, fino al pezzo forte (la Tempesta); un tenore (meglio due!) e un baritono solisti; un pianista, che viene raddoppiato per la Tempesta (dove si suona a-quattro-mani). Insomma, un oggetto ibrido e multiforme accompagnato da ampia prodigalità di mezzi, che d’altronde era caratteristica della grandeur parigina dell’epoca (nel 1846 la Symphonie funèbre et triomphale fu suonata all’Hippodrome da non meno di 1800 esecutori!)

L’impianto dell’opera prevede un susseguirsi abbastanza regolare di (7) interventi parlati (del recitante) intercalati ad altrettanti brani musicali di diversa fattura. In sostanza Lèlio(-Hector) introduce argomenti e concetti che poi la musica si incarica di commentare e/o sviscerare. Qui una mia modesta edizione del testo originale con traduzione italiana (del Taverna).

La musica, salvo riempitivi e aggiustamenti, altro non è che una riproposizione di brani (piuttosto eterogenei, va detto) presi da opere composte da Berlioz nei 5 anni precedenti, come si desume dal sottostante specchietto:

Lélio
derivazione
1. Le pêcheur (da Goethe)
    (+ Idée fixe)
Le pêcheur (da Goethe, 1827)
(dalla Symphonie Fantastique, 1830)
2. Chœur des ombres

Cléopâtre (1829)
   5. Grands Pharaons, nobles lagides
3. Chanson de brigands
Chanson des pirates (? 1829)
4. Chant de bonheur
La mort d’Orphée (1827)
   Ô seul bien qui me reste
5. La harpe éolienne, souvenirs
  
La mort d’Orphée (1827)
   Finale 
6. Fantaisie sur la Tempête de Shakespeare
Ouverture de la Tempête (1830)
(7. Idée fixe)
(dalla Symphonie Fantastique, 1830)

In pratica il concetto che si vuol esprimere è che il ritorno alla vita si giustifica con la volontà di non disperdere un patrimonio già acquisito ed anzi di arricchirlo in futuro con opere ancor più impegnative: è proprio ciò che Lélio prefigura nel suo secondo intervento, e infine nel settimo, commentando l’esecuzione della Tempesta.

Per carità, i brani che Berlioz copia-e-incolla nel Lélio sono musica apprezzabile, ma tutt’altro che capolavori: e averli impacchettati insieme a sproloqui di carattere filosofico-esistenziale non ne innalza di certo il livello artistico-estetico. E i due sporadici ritorni dell’Idée fixe (all’inizio e alla fine del melologo) non bastano di certo a creare una qualsivoglia continuità con la Sinfonia, anzi finiscono per cambiarle (a posteriori!) i connotati, trasformandola in un lungo prologo ad un epilogo autobiografico, propriamente extramusicale, roba da chiodi! Ecco perchè – giustamente, a mio modesto avviso – il tempo ha reso giustizia alla Sinfonia (grande musica!) e messo in soffitta il Lélio (mediocre patchwork).  
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Fra i Direttori che più si sono interessati al dittico è Riccardo Muti, che ha eseguito numerose volte e con diverse formazioni il Lélio, sempre però con Gerard Depardieu. Sfidando i fulmini della RMMusic ripropongo qui la registrazione del 2008 a Ravenna con l’Orchestra Cherubini (rinforzata dall’Orchestra Giovanile Italiana) il coro dell’Opera di Vienna, il tenore Mario Zeffiri, il baritono Franck Ferrari, i pianisti Polo Restani, Laura Pasqualetti e Gioia Giusti, pubblicata a suo tempo da Repubblica all’interno di una collana di otto lezioni del maeschtro, trasmessa da RAI5 pochi mesi fa.

Il monologo introduttivo ci presenta un Lélio che si stupisce di essere ancora vivo, dopo le sbornie di oppio e le tentazioni suicide che hanno accompagnato le vicende più recenti della sua esistenza. Il primo ricordo è per una ballata (Il Pescatore) che il suo amico Horatio aveva mutuato da Goethe e che lui aveva musicato 5 anni addietro per pianoforte. E così Horatio la canta, accompagnato da quel solo strumento e Lélio commenta ciascuna delle quattro strofe della ballata; al termine della seconda, ecco che nei primi violini fa capolino, fugacemente, l’Idée fixe, questa specie di sirena che continuamente lo perseguita, ma che forse (siamo al secondo intervento della voce) lo sta invitando a vivere, per la musica e l’amicizia...

E altri agenti lo spingono a vivere: Shakespeare, che con l’Hamlet lo ha soggiogato; e Thomas Moore, che ha completato con le sue musiche l’opera del genio di Stratford. E così nella mente di Lélio riaffiora un’altra musica, con un lugubre e minaccioso coro di morte: è la ripresa dell’invocazione di Cleopatra ai Faraoni, così come musicata da Berlioz nel 1829.     

Qui abbiamo il terzo intervento di Lélio che, prendendo spunto dalle critiche e denigrazioni cui era stato fatto oggetto Shakespeare, se la prende con l’establishment musicale del suo tempo (pare... Wagner ante-litteram!) e con i pedanti parrucconi che ignorano l’innovazione o che addirittura si permettono di correggere grandi capolavori in nome di un sedicente gusto estetico. (Qui è abbastanza scoperto il riferimento a tale François-Joseph Fétis, il musicista e critico belga che pure aveva sostenuto il giovane Berlioz, ma che si era anche permesso – anatema! – di ritoccare partiture di Beethoven.) Così Lélio vorrebbe lasciare questo ambiente di furfanti mascherati per aggiungersi ai briganti veri e autentici del napoletano o della Calabria! E qui Lélio esce momentaneamente di scena e vi ritorna subito con cappello da brigante, carabina, pistole e cartuccera... mentre l’orchestra, il baritono e il coro intonano la Chanson des brigands, presa da un’analoga e perduta Chanson des pirates del 1829. Truce e orripilante, il testo parla di gentaglia che brinderà – con le donne conquistate - nei teschi dei loro uomini ammazzati!

A questo punto sopraggiunge in Lélio un senso di serenità e di speranza: getta le armi e si abbandona ad ascoltare... se stesso (il tenore) che canta un inno di felicità, mutuato da La mort d’Orphée del 1827. Cui segue però l’immagine di lui che vaga in cerca dell’amata e sogna di addormentarsi fra le sue braccia, cullato dal suono dell’arpa, e così di morire. E segue quindi un brano breve ma straordinario (sempre da La mort d’Orphée, là in LAb, qui in LA naturale) protagonisti arpa e clarinetto, sul rabbrividente tremolo degli archi.

Ma no, bisogna vivere! E allora Lélio ripensa alla musica, e ad un soggetto che da sempre lo ha affascinato: la Tempesta. Esce di scena e il sipario si alza su orchestra (con pianoforte a 4 mani) e coro. Lélio rientra e dà gli ultimi consigli a orchestrali e coro, che quindi attaccano il lungo brano preso di peso dalla composizione del 1830. Al termine Lélio si complimenta con i suoi musicisti: ora potranno anche suonare cose più serie di questa bazzecola!

L’orchestra e il coro cominciano ad andarsene, il sipario si abbassa e Lélio resta solo al proscenio. Si ode da dietro un violino che accenna ancora all’Idée fixe. Lélio, come colpito al cuore, mormora: Ancora, ancora... e per sempre.
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Berlioz operò una revisione dell’opera nel 1855, allorquando essa venne diretta a Weimar da Liszt e pubblicata da Breitkopf: oltre al titolo (Lélio, nome abbastanza desueto, probabilmente mutuato dal teatro settecentesco: Lélio était petit et grêle; sa beauté ne consistait pas dans les traits, mais dans la noblesse du front, dans la grâce irrésistible des attitudes, dans l'abandon de la démarche, dans l'expression fière et mélancolique de la physionomie - George Sand, La Marquise) e all’attibuto monodramma (invece di melologo) vi aggiunse anche una dedica al figlio avuto da Harriet. Con l’occasione ritarò anche i risvolti autobiografici delle due componenti dell’opera (Idée fixe inclusa) concentrandoli esclusivamente e gratuitamente sulla medesima Harriet, ormai defunta e quindi impossibilitata a smentirlo: anche questo è un segnale di estrema debolezza di tutta l’idea portante del dittico.
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Vedremo come laVERDI, Flor e compagnia sapranno farci digerire la pillola.

04 luglio, 2016

Mirandolina abbandonata in Laguna


Ieri pomeriggio la Fenice - teatro ahinoi vergognosamente semideserto - ha ospitato la seconda recita della Mirandolina di Bohuslav Martinů. Che non sarà popolare come Traviata o Bohème o Carmen, ma che meriterebbe più... considerazione, ecco.

Oltretutto lo spettacolo è quanto di più gradevole e godibile si possa offrire, grazie alla spumeggiante musica del ceco, che John Axelrod valorizza al meglio - sfruttando al massimo la gran forma dell’Orchestra veneziana - e alla scanzonata messinscena di Gianmaria Aliverta, che attualizza simpaticamente la commedia goldoniana, trasferendola ai nostri giorni.  

Ecco quindi che la locanda di Mirandolina diventa una spa, dove necessariamente si sta più nudi che vestiti. Così c’è modo di ammirare i vellosi petti dei nobili che popolano saune e bagni e le curve delle due zoccole sedicenti nobili che prorompono da (peraltro castigati) bikini. Anche la tavola della suite del Cavaliere si trasforma quindi in una jacuzzi colma di schiuma, dalla quale emerge magicamente, alla fine della terza scena dell’atto secondo, il Marchese per sorprendere il tête-à-tête fra locandiera e Ripafratta.

Questi sono solo due degli aspetti frizzanti della regìa, che si avvale di semplicissime scene di Massimo Checchetto (la solita pedana girevole che ci presenta alternativamente un paio di scarni ambienti: vestibolo di piscina-sauna, camera del cavaliere o lavanderia-stireria di Mirandolina) e degli improbabili costumi – quando non sono semplicemente accappatoi e salviettoni - di Carlos Tieppo. Completa il tutto l’efficace impianto di luci di Fabio Barettin.

Silvia Frigato è una frizzante Mirandolina: la parte non è impervia, ma richiede sensibilità interpretativa che il soprano (specialista di barocco, quindi appropriata per un’opera che si rifà al classicismo) ha mostrato di possedere in dosi abbondanti, caratterizzando di volta in volta l’impertinenza, la maliziosità e la fredda determinazione che animano il personaggio della locandiera.

Omar Montanari è un ottimo Ripafratta, voce penetrante e mai sguaiata, convincente nel ricreare il percorso... evolutivo della personalità del nemico delle donne che finisce per diventarne schiavo. I due altri nobili (qui trasformati in una coppia di tamarri e sfigati) sono Marcello Nardis (Albafiorita) e Bruno Taddia (Forlimpopoli): il tenore fa sfoggio di voce squillante e grande (e... grossa!) presenza scenica; il basso sfoggia felice aderenza al personaggio di nobile decaduto quanto presuntuoso.

Completano la parte maschile del cast il bravissimo Leonardo Cortellazzi (Fabrizio) e Christian Collia (che fa onestamente il suo dovere nella parte oggettivamente limitata del Servitore del Ripafratta). Da ultimo le due comiche, Giulia Della Peruta (Ortensia) e Laura Verrecchia (Dejanira): scelta azzeccatissima di chi ha messo insieme il cast. Per le voci? Forse, ma di sicuro per... le curve (!)

I rari nantes che (s)popolavano la sala si son comunque fatti sentire con prolungati applausi e ripetute chiamate per tutti i protagonisti.
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P.S. Prima dell'inizio dello spettacolo è stato osservato un doveroso minuto di raccoglimento, in memoria delle vittime di Dacca.

02 luglio, 2016

Parsifal torna orfano


La novità di Bayreuth-2016 (edizione 105 del Festival wagneriano, la prima della nuova gestione Kathi-faso-tuto-mi) è la nuova (10ma nella storia) produzione di Parsifal, che aprirà la kermesse il 25 p.v. Questa la locandina come appare ancor oggi sul sito del Festival:


Come si vede, manca il Kapellmeister (Musikalische Leitung, in gergo) !!! 

Povero Parsifal, un orfanello abbandonato anche dal suo ultimo tutore (Andris Nelsons).

30 giugno, 2016

Mirandolina ceca a casa sua


La veneziana Fenice metterà in scena fra poco la più famosa commedia del più veneziano dei letterati, ma la musica e pure il libretto sono di un... ceco! Ecco in sintesi la Mirandolina di Bohuslav Martinů, composta nel 1954 e andata per la prima volta in scena domenica 17 maggio del 1959 (poco più di 3 mesi prima della scomparsa dell’autore, a Liestal) al Teatro Nazionale di Praga, con testo tradotto in lingua ceca da Rudolf Vonásek (un tenore che cantò anche la parte del Conte, nel secondo cast) e con aggiunta di balletti. Qui la locandina della recita del 2 giugno:


Il soggetto per certi versi richiama quello del Fritz, che la Fenice ha ospitato poche settimane addietro, trattando di un uomo che si proclama inossidabile alle tentazioni dell’amore e finisce per cadere come una pera cotta ai piedi di una donna. E inoltre sono simili la durata (circa 100 minuti) e la struttura (suddivisione in tre atti) così come la collocazione di un Intermezzo strumentale in apertura del terz’atto. Le somiglianze però finiscono qui, chè 15 lustri non sono passati invano e la musica di Martinů, per quanto saldamente ancorata al diatonismo, contiene elementi di innovazione (di stampo neoclassico) che ne sottolineano la modernità.

Per costruire il suo libretto, Martinů – aiutato dall’Aniante (Antonino Rapisarda) - prese come base il testo de La locandiera di Goldoni (1751) intervenendoci poi prevalentemente per sottrazione. Così ritroviamo nell’opera intere frasi prese di peso dalla commedia originale, parola per parola. Lo schema che segue mostra sinteticamente la struttura del lavoro di Goldoni e del libretto di Martinů. Vi si possono notare le differenze più macroscopiche (scene omesse e varianti apportate) accanto a quelle puramente formali (Goldoni seguiva più pedissequamente la regola dei cambi di scena ad ogni diversa composizione della presenza di personaggi, Martinů ha invece accorpato parecchio). Da notare anche che il compositore ha ignorato il personaggio del Servitore del Conte, invero insignificante: con ciò però rompendo la perfetta e quasi esoterica simmetria numerica goldoniana (9 personaggi: 3 uomini della nobiltà, 3 donne borghesi e 3 servitori). Ha anche ripristinato la corretta dizione di Forlimpopoli, che Goldoni (non si sa quanto involontariamente, peraltro) aveva storpiato in Forlipopoli.


Goldoni
Martinů
ATTO I
Scena I: Marchese, Conte
Il Marchese e il Conte vantano le rispettive prerogative: l’uno il lignaggio di lunga data e l’autorevolezza, l’altro i quattrini.
Scena II: Marchese, Conte, Fabrizio
Il Conte spiega a Fabrizio la differenza che lo separa dal Marchese, dandogli uno zecchino, cosa che il Marchese si guarda bene dal fare.
Scena III: Marchese, Conte
segue Scena II: Marchese, Conte
Ancora schermaglie fra Marchese e Conte a proposito del denaro e della nobiltà.
Scena IV: Marchese, Conte, Cavaliere 
Scena III: Marchese, Conte, Cavaliere 
Marchese e Conte spiegano le ragioni per cui amano Mirandolina al Cavaliere, il quale afferma di non voler saperne assolutamente di donne.
Scena V: Marchese, Conte, Cavaliere, Mirandolina
Scena IV: Marchese, Conte, Cavaliere, Mirandolina
Il Marchese vorrebbe invitare Mirandolina in camera sua, mentre il Conte pubblicamente le fa omaggio di un paio di orecchini. Il Cavaliere pretende biancheria migliore e se ne va.
Scena VI: Marchese, Conte, Mirandolina
segue Scena IV: Marchese, Conte, Mirandolina
Mirandolina si lamenta delle maniere del Cavaliere, e il Marchese e il Conte le promettono di aiutarla a liberarsi di lui.
Scena VII: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio
Scena V: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio
Fabrizio annuncia al Conte l’arrivo di un gioielliere. Il Conte va ad incontrarlo: vuol acquistare un nuovo gioiello per farne dono a Mirandolina.
Scena VIII: Marchese, Mirandolina
segue Scena V: Marchese, Mirandolina
Il Marchese mostra finalmente di invidiare il Conte per i suoi denari: fosse in lui, assicura Mirandolina che la sposerebbe!
Scena IX: Mirandolina sola
Scena VI: Mirandolina sola
Monologo di Mirandolina, ch disprezza tutti gli uomini che fanno i cascamorti con lei, ma non sopporta che il Cavaliere la ignori. Così decide di farlo innamorare!
Scena X: Mirandolina, Fabrizio
Scena VII: Mirandolina, Fabrizio
Mirandolina avverte Fabrizio che andrà lei personalmente a recare la biancheria al Cavaliere. A lui che le chiede di ricordare l’avvertimento del padre (di sposarlo) risponde che ci penserà quando verrà il momento opportuno. Per ora lo tiene sulla corda. Fabrizio resta interdetto.
Mirandolina avverte Fabrizio che andrà lei personalmente a recare la biancheria al Cavaliere. Per ora lo tiene sulla corda. Fabrizio resta interdetto.
Scena XI: Cavaliere, Servitore
omessa
Il Servitore recapita al Cavaliere una lettera da Siena: è morto tale Conte Manna e la figlia eredita una fortuna. Tutti vorrebbero che fosse lui a sposarla. Il Cavaliere straccia la lettera: a lui non interessa il denaro se vi è legato un vincolo matrimoniale.
Scena XII: Cavaliere, Marchese
omessa
Il Marchese fa visita al Cavaliere, sparlando del Conte. Il Cavaliere gli rimprovera il suo innamoramento per una borghese, ma improvvisamente il Marchese gli accenna ad un problema...
Scena XIII: Cavaliere, Marchese, Servitore
omessa
Il Servitore reca una cioccolata. Il Cavaliere ne ordina una seconda per il Marchese. Appreso che è finita, offre la sua all’ospite, che la beve senza complimenti e poi gli rivela finalmente il suo problema: è completamente al verde e gli chiede in prestito venti zecchini! Il Cavaliere gli mostra una sua borsa, che contiene poco più di uno zecchino e il Marchese si accontenta di quello.

Scena XIV: Cavaliere solo
omessa
Il Cavaliere si rallegra di aver perso solamente uno zecchino: è più che altro dispiaciuto per aver rinunciato alla cioccolata!
Scena XV: Cavaliere, Mirandolina
Scena VIII: Cavaliere, Mirandolina
Mirandolina reca la biancheria al Cavaliere, che sulle prime la tratta scorbuticamente. Ma lei comincia ad interessarlo mostrandosi premurosa e condividendo la di lui diffidenza verso le donne che fanno le civette e criticando gli uomini che fanno i cascamorto. É sicura di aver fatto colpo su di lui e si ripromette di farlo capitolare.
Mirandolina reca la biancheria al Cavaliere, che sulle prime la tratta scorbuticamente. Ma lei comincia ad interessarlo mostrandosi premurosa e condividendo la di lui diffidenza verso le donne che fanno le civette e criticando gli uomini che fanno i cascamorto.
Scena XVI: Cavaliere solo
Scena IX: Cavaliere solo
Il Cavaliere ribadisce a se stesso la sua regola di vita. Però, sorpreso della sua stessa crescente ammirazione per Mirandolina, si ripromette di starne il più possibile alla larga.

ATTO II
Scena XVII: Ortensia, Dejanira, Fabrizio
Scena I: Ortensia, Dejanira, Fabrizio
Fabrizio accoglie nella locanda Ortensia e Dejanira, credendole due dame.
Scena XVIII: Ortensia, Dejanira
omessa
Le due donne si rivelano per ciò che sono: due commedianti, che si fingono dame. Verranno raggiunte a giorni dai rispettivi uomini, che arrivano da Pisa in barca.
Scena XIX: Ortensia, Dejanira, Fabrizio
segue Scena I: Ortensia, Dejanira, Fabrizio
Fabrizio accerta le (false) generalità delle due: Baronessa Ortensia del Poggio (da Palermo) e Contessa Dejanira del Sole (da Roma).
Scena XX: Ortensia, Dejanira, Mirandolina
segue Scena I: Ortensia, Dejanira, Mirandolina
Mirandolina sospetta subito che le due non siano delle nobili e poco dopo loro finiscono per ammetterlo apertamente.
Scena XXI: Ortensia, Dejanira, Mirandolina, Marchese
segue Scena I: Ortensia, Dejanira, Mirandolina, Marchese
Il Marchese arriva mostrando un fazzoletto nuovo, facendolo apprezzare alle due dame e poi a Mirandolina, alla quale lo regala. Mirandolina prima rifiuta, poi accetta dietro le insistenze del nobiluomo.
Scena XXII: Ortensia, Dejanira, Mirandolina, Marchese, Conte
segue Scena I: Ortensia, Dejanira, Mirandolina, Marchese, Conte
Arriva il Conte che regala a Mirandolina un gioiello per fare da pendant con gli orecchini. Lei rifiuta, ma poi lo accetta, facendo ingelosire ulteriormente il povero Marchese, che perde anche l’invito a cena delle due dame, che se ne vanno con il Conte.
Scena XXIII: Mirandolina sola
omessa
Monologo di Mirandolina, che non si fa corrompere dalle ricchezze del Conte e dalla protezione del Marchese. Lei adesso si è impegnata (per puro puntiglio e non perchè veramente interessata a lui) a far cadere nella sua rete il Cavaliere e, visto che lui non le ha subito chiuso la porta in faccia, nutre buone speranze di poter riuscire nell’impresa.
ATTO II
Scena I: Cavaliere, Servitore, Fabrizio
Scena II: Cavaliere, Servitore, Fabrizio
Fabrizio ha recato la zuppa e il Servitore invita il Cavaliere a tavola: Mirandolina lo ha espressamente fatto servire per primo. Il Cavaliere è sempre più colpito dalle attenzioni della locandiera (anche il Servitore mostra ammirazione per lei) ma è deciso a partire per Livorno per sfuggire alle tentazioni.
Scena II: Cavaliere, Servitore
segue Scena II: Cavaliere, Servitore
Un nuovo manicaretto manda in estasi il Cavaliere, che ricomincia ad apprezzare le qualità di Mirandolina e chiede al Servitore di portare i suoi complimenti alla locandiera.
Scena III: Cavaliere, Servitore
segue Scena II: Cavaliere, Servitore
Il Servitore torna con i ringraziamenti di Mirandolina, che sta preparando un nuovo intingolo. Il Cavaliere è sempre più colpito dalle qualità della donna, ma vuol resistere e andarsene al più presto. Poi si informa su Marchese e Conte, del quale non manca di criticare l’atteggiamento sempre disponibile verso le donne, non ultime Ortensia e Dejanira.
Il Cavaliere è sempre più colpito dalle qualità della donna, in particolare dalla sua sincerità.
Scena IV: Cavaliere, Servitore, Mirandolina
Scena III: Cavaliere, Servitore, Mirandolina
Mirandolina arriva e serve personalmente un nuovo squisito manicaretto al Cavaliere, che ne rimane soggiogato. Fra i due ha luogo uno scambio di complimenti che viene suggellato da un brindisi a base di Borgogna.
Scena V: Cavaliere, Mirandolina, Marchese
Scena IV: Cavaliere, Mirandolina, Marchese
Il Marchese fa irruzione nella stanza dove il Cavaliere sta brindando con Mirandolina. Lei spiega la cosa con un piccolo malore. Il Marchese chiede di assaggiare il vino per valutarlo.
Il Marchese fa irruzione nella stanza dove il Cavaliere sta brindando con Mirandolina. Il Marchese chiede di assaggiare il vino per valutarlo.
Scena VI: Cavaliere, Mirandolina, Marchese, Servitore
segue Scena IV: Cavaliere, Mirandolina, Marchese
Dopo aver mangiato e apprezzato il manicaretto di Mirandolina, il Marchese disprezza il vino di Borgogna e offre a lei e al Cavaliere del vino di Cipro. Il Cavaliere mostra di apprezzarlo (mentendo) mentre Mirandolina lo definisce apertamente disgustoso, dando una lezione di sincerità al cavaliere. Il Marchese manda il Servitore con tre bicchierini del suo vino dal Conte (che sta pranzando con le due dame). Poi chiede al Cavaliere se ha visto il fazzoletto che ha regalato a Mirandolina, che dichiara di amare perdutamente.
Dopo aver mangiato e apprezzato il manicaretto di Mirandolina, il Marchese chiede al Cavaliere se ha visto il fazzoletto che ha regalato alla locandiera, quindi assaggia il vino di Borgogna e dichiara di amare perdutamente Mirandolina.
Scena VII: Cavaliere, Mirandolina, Marchese, Servitore
omessa
Il Conte ha ricambiato il favore del Marchese (vino di Cipro) con vino delle Canarie. Il Marchese lo disprezza, ma se ne va via portandosi dietro la bottiglia.
Scena VIII: Cavaliere, Mirandolina, Servitore
segue Scena IV: Cavaliere, Mirandolina, Servitore
Dopo avere canzonato il Marchese, il Cavaliere invita Mirandolina ad un ultimo brindisi, che lei accompagna cantando una curiosa ed ammiccante filastrocca: Viva Bacco, viva Amore.
Dopo avere canzonato il Marchese, il Cavaliere invita Mirandolina ad un ultimo brindisi, che lei accompagna cantando una curiosa ed ammiccante filastrocca: Viva Bacco, viva Amore. Filastrocca ripetuta subito a due voci.
Scena IX: Cavaliere, Servitore
Scena V: Cavaliere, Servitore
Il Cavaliere si sente in trappola e per l’ultima volta decide di fuggirsene a Livorno.
Scena X: Conte, Ortensia, Dejanira
omessa
Il Conte confida alle due (finte) dame di essere innamorato di Mirandolina e poi esprime i suoi giudizi sul Marchese e sul Cavaliere. A proposito di quest’ultimo, chiede alle due comiche di provare a farlo innamorare.
Scena XI: Conte, Ortensia, Dejanira, Servitore2
omessa
Il Conte manda il suo Servitore a chiamare il Cavaliere, dopo aver promesso alle dame di procurare i regali che il Marchese ovviamente non può fare.
Scena XII: Conte, Cavaliere, Ortensia, Dejanira
omessa
Il Cavaliere arriva e il Conte gli presenta le due (finte) dame, che cominciano a fargli domande vaghe, mentre lui è impaziente di andarsene via, a Livorno. Il Conte li lascia soli.
Scena XIII: Cavaliere, Ortensia, Dejanira
omessa
Ortensia e Dejanira cercano di stuzzicare il Cavaliere che - finchè le crede dame - vorrebbe andarsene al più presto. Quando però gli rivelano di essere commedianti, allora si distende, non avendo nulla da temere da donne come quelle. Così le tratta con il loro stesso linguaggio e quelle se ne vanno scornate.
Scena XIV: Cavaliere, Servitore
segue Scena V: Cavaliere, Servitore
Il Cavaliere si compiace di aver licenziato le due commedianti, ma continua a sospirare per Mirandolina. Il Servitore avverte il Cavaliere che nella sua camera è arrivato il Marchese, che il Cavaliere vuole evitare a tutti i costi. Così chiede al Servitore di preparare i bagagli. Però nel suo animo si manifesta un vivo contrasto.
Il Cavaliere chiede al Servitore di fargli preparare il conto, avendo deciso di partire subito. Però nel suo animo si manifesta un vivo contrasto.
Scena XV: Cavaliere, Fabrizio
omessa
Fabrizio comunica al Cavaliere che Mirandolina gli porterà il conto, ma non in camera, dove c’è il Marchese. Fabrizio non perde occasione per dileggiare il nobile: Mirandolina non sarà mai sua.
Scena XVI: Cavaliere solo
segue Scena V: Cavaliere solo
Il Cavaliere vede Mirandolina arrivare con il conto e si prepara a reggere l’ultimo assalto.
Scena XVII: Cavaliere, Mirandolina
Scena VI: Cavaliere, Mirandolina
Mirandolina arriva con il conto e con le lacrime agli occhi, mostrando dolore per l’improvvisa partenza del Cavaliere. Infine finge uno svenimento, al che il Cavaliere riconosce di essere innamorato pazzo di lei. Va a prendere dell’acqua per farla rinvenire e si ripromette di rimanere.
Scena XVIII: Cavaliere, Mirandolina, Servitore
segue Scena VI: Cavaliere, Mirandolina, Servitore
Il Servitore arriva con i bagagli, ma il Cavaliere lo manda al diavolo, poi si china su Mirandolina per farla rinvenire.
Scena XIX: Cavaliere, Mirandolina, Marchese, Conte
segue Scena VI: Cavaliere, Mirandolina, Marchese, Conte, Ortensia, Dejanira
Arrivano il Marchese e il Conte che si prendono gioco del Cavaliere, che se ne va via furioso, rompendo il vaso dell’acqua ai piedi del Marchese. Mirandolina gongola per la vittoria conseguita.
Arrivano il Marchese e il Conte (con Ortensia e Dejanira) che si prendono gioco del Cavaliere, che se ne va via furioso rompendo il vaso dell’acqua ai piedi del Marchese. Mirandolina gongola per la vittoria conseguita e ripete il brindisi di Bacco.
ATTO III
Scena I: Mirandolina, Fabrizio
Scena I: Mirandolina, Fabrizio, Servitore
Mirandolina stira la biancheria e chiede a Fabrizio il ferro caldo. Lui si lamenta di come viene trattato, teme che lei lo ignori, puntando a sposare un nobile. Lei gli dà risposte ambigue.
Scena II: Mirandolina, Servitore
segue Scena I: Mirandolina, Servitore
Il Servitore del Cavaliere porta a Mirandolina una boccetta d’oro zecchino con dell’elisir di melissa. Lei chiede come mai il Cavaliere non glielo abbia dato al momento del suo svenimento. Il Servitore le confida che boccetta e contenuto sono stati appena acquistati. Mirandolina rifiuta il dono, poi, sulle insistenze del Servitore, ne beve un sorso e restituisce la boccetta.
Il Servitore del Cavaliere porta a Mirandolina una boccetta d’oro zecchino con dell’elisir di melissa. Mirandolina rifiuta il dono, nonostante le insistenze del Servitore, e restituisce la boccetta.
Scena III: Mirandolina, Fabrizio
segue Scena I: Mirandolina, Fabrizio
Fabrizio torna col ferro caldo. Ha incontrato il Servitore del Cavaliere dal quale ha saputo del regalo. Mirandolina gli confessa di averlo rifiutato, poi rispedisce Fabrizio a prendere un altro ferro caldo.
Scena IV: Mirandolina, Cavaliere
Scena II: Mirandolina, Cavaliere
Il Cavaliere si presenta rammaricandosi del rifiuto di Mirandolina ad accettare la boccetta d’oro. Lei lo stuzzica, incolpandolo di aver provocato il suo svenimento facendole bere troppo vino. Lui la invita ancora nella sua camera, ma lei rifiuta sdegnosamente. Lui ancora insiste perchè lei accetti la boccetta, visto che aveva accettato regali dal Marchese e dal Conte. Lei continua a martoriarlo, rinfacciandogli il suo disinteresse per le donne. Lui confessa di essere stato colpito dalla sua bellezza e gentilezza e insiste con la boccetta. Allora lei la prende e la getta nel cesto della biancheria.
Scena V: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
segue Scena II: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
Fabrizio torna col ferro caldo. Mirandolina lo tratta con dolcezza, per far ulteriormente ingelosire il Cavaliere.
Scena VI: Mirandolina, Cavaliere
segue Scena II: Mirandolina, Cavaliere
Il Cavaliere insinua che Mirandolina sia innamorata di Fabrizio. Lei risponde che mai si abbasserebbe a sposare un uomo di umili origini. Lui le dice che sarebbe degna di un Re, suscitando l’ironia di lei. Così il Cavaliere cede del tutto, e le confessa di amarla perdutamente, e d’esser sul punto di svenire. Allora lei gli getta la boccetta con lo spirito! Lui cerca di avvicinarla e lei lo scotta con il ferro, poi chiama Fabrizio. Il Cavaliere dà in escandescenze, ma lei lo lascia con un palmo di naso.
Scena VII: Cavaliere solo
segue Scena II: Cavaliere solo
Il Cavaliere maledice il momento in cui è caduto in trappola: ormai sa di non avere più scampo.
Scena VIII: Cavaliere, Marchese
omessa
Il Marchese rimprovera il Cavaliere per il lancio del vaso, che gli ha sporcato i calzoni. Il Cavaliere si scusa, poi il Marchese lo stuzzica insinuando che lui – a parole ostile al gentil sesso - si sia innamorato di Mirandolina. Il Cavaliere se ne va adirato.
Scena IX: Marchese solo
omessa
Il Marchese è certo che il Cavaliere sia innamorato di Mirandolina. Poi pensa a come smacchiare i calzoni. Vede la boccetta d’oro (che pensa essere similoro) ne annusa il contenuto e lo assaggia.
Scena X: Marchese, Dejanira
omessa
Arriva Dejanira e si offre di smacchiare i calzoni del Marchese, poi vede la boccetta e il Marchese finisce per regalargliela. Lei va dalla sua amica.
Scena XI: Marchese, Servitore
omessa
Arriva il Servitore del Cavaliere, in cerca della boccetta, d’oro puro. Il Marchese nega di averla vista.
Scena XII: Marchese, Conte
Scena III: Marchese, Conte, Ortensia, Dejanira
Il Marchese si dispera per aver regalato oro puro credendolo falso. Arriva il Conte che confida al Marchese che il Cavaliere è innamorato di Mirandolina. Il Marchese è certo che Mirandolina non corrisponda quell’amore, ma il Conte gli ricorda tutti gli indizi che rendono la cosa plausibile: i servizi speciali che la locandiera riserva al Cavaliere, che l’ha ospitata al suo tavolo. E lui le ha regalato una boccetta d’oro! Il Marchese approfitta per chiedere ed ottenere dal Conte del denaro in prestito. Il Conte ha deciso di abbandonare la locanda e convince il Marchese a far lo stesso. Poi gli rivela che le commedianti (che il Marchese ancora considerava delle nobili) se ne sono pure andate. Il Marchese decide di inseguirle, per recuperare la boccetta d’oro.
Arriva il Conte con Ortensia e Dejanira. Confidano al Marchese che il Cavaliere è innamorato di Mirandolina. Il Marchese è certo che Mirandolina non corrisponda quell’amore, ma il Conte gli ricorda tutti gli indizi che rendono la cosa plausibile: i servizi speciali che la locandiera riserva al Cavaliere, che l’ha ospitata al suo tavolo. Tutti insieme decidono di abbandonare la locanda.
Scena XIII: Mirandolina sola
Scena IV: Mirandolina sola
Mirandolina è preoccupata per le conseguenze del suo adescamento del Cavaliere: teme che lui possa combinare qualche guaio. Decide allora di risolvere tutti i problemi sposando Fabrizio.
Scena XIV: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
segue Scena IV: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
Il Cavaliere bussa alla porta (chiusa) e Mirandolina prende tempo, mandandolo in camera sua e promettendogli di raggiungerlo là. Poi chiama Fabrizio e gli confessa di essere sorpresa dalle attenzioni del Cavaliere e di aver deciso di sposarsi. Fabrizio le ricorda l’ammonimento di suo padre (a sposare lui).
Scena XV: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
Scena V: Mirandolina, Cavaliere, Fabrizio
Il Cavaliere è tornato e bussa insistentemente alla porta. Mirandolina chiede aiuto a Fabrizio per difendersi da quell’assatanato, poi se ne va. Fabrizio a sua volta chiede aiuto.
Scena XVI: Cavaliere, Fabrizio, Marchese, Conte
segue Scena V: Cavaliere, Fabrizio, Marchese, Conte
Il Marchese e il Conte entrano da un’altra porta e domandano a Fabrizio di che si tratta. Il Cavaliere continua a bussare e il Conte chiede che gli si apra. Il Cavaliere entra imbestialito, in cerca di Mirandolina, accusata di non aver obbedito ad una sua richiesta. Fabrizio spiega a tutti che si trattava di un invito in camera! Viene subito cacciato via dai tre.
Il Marchese e il Conte entrano da un’altra porta e domandano a Fabrizio di che si tratta. Il Cavaliere continua a bussare e il Conte chiede che gli si apra. Il Cavaliere entra imbestialito, in cerca di Mirandolina. Fabrizio viene subito cacciato via dai tre.
Scena XVII: Cavaliere, Marchese, Conte
segue Scena V: Cavaliere, Marchese, Conte
Il Conte si prende gioco del Cavaliere, rinfacciandogli la sua incoerenza, tra il disprezzo per le donne e l’innamoramento per Mirandolina. In più, il Conte si dichiara offeso: la locandiera è innamorata di lui e il Cavaliere è reo di aver tentato di sottrargliela. Il Cavaliere nega tutto e pretende soddisfazione per l’offesa. Prende la spada del Marchese, che non esce dal fodero, poi ne esce solo uno spezzone. Il Cavaliere e il Conte stanno ormai per iniziare un duello.
Scena XVIII: Cavaliere, Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio
Scena VI: Cavaliere, Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio, Ortensia, Dejanira
Arrivano Mirandolina e Fabrizio per fermare il duello. Il Conte ripete l’accusa al Cavaliere di essere innamorato della locandiera. Il Cavaliere nega recisamente, ma mostra grande imbarazzo e nervosismo. Mirandolina, per metterlo in difficoltà, confessa di aver tentato di adescarlo, ma senza risultato. Il Cavaliere, frastornato, le chiede se tutte le sue lacrime e svenimenti fossero fasulli, mostrando a tutti di averci creduto. Mirandolina gli fa notare che così lui sembra davvero innamorato. Lui nega ancora, ma la locandiera prepara la prova del fuoco: chi è innamorato è anche geloso e lei dimostrerà che il Cavaliere geloso non è, poichè nulla obietterà apprendendo che lei intende sposare Fabrizio, come le aveva consigliato suo padre. Il Conte e il Marchese le offrono la loro protezione e una dote, che lei rifiuta. Il Cavaliere, al sommo dello scorno, la maledice e se ne va definitivamente.
Arrivano Mirandolina e Fabrizio, con Ortensia e Dejanira, per fermare il duello. Il Conte, il Marchese e Fabrizio ripetono l’accusa al Cavaliere di essere innamorato della locandiera. Il Cavaliere nega recisamente e Mirandolina, per metterlo in difficoltà, confessa di aver tentato di adescarlo, ma senza risultato. Poi annuncia a tutti che lei intende sposare Fabrizio. Il Cavaliere, al sommo dello scorno, la maledice e se ne va definitivamente.
Scena XIX: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio
segue Scena VI: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio, Ortensia, Dejanira
Il Conte e il Marchese hanno la conferma che il Cavaliere è davvero innamorato. Mirandolina si augura che non torni più e chiede a Fabrizio di dargli la sua mano. Lui recalcitra, temendo di restar vittima degli adescamenti di una donna insincera. Lei cerca di rassicurarlo: con il Cavaliere ha solo scherzato e da sposata saprà bene cosa fare.
Tutti hanno la conferma che il Cavaliere è davvero innamorato. Mirandolina chiede a Fabrizio di dargli la sua mano. Lui recalcitra, lei cerca di rassicurarlo: con il Cavaliere ha solo scherzato e da sposata saprà bene cosa fare.
Scena XX: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio, Servitore
segue Scena VI: Marchese, Conte, Mirandolina, Fabrizio, Ortensia, Dejanira
Il Servitore del Cavaliere viene ad annunciare la loro partenza. Mirandolina si sente sollevata: ha corso in bel rischio! Il Conte e il Marchese ancora offrono la loro protezione, che lei rifiuta garbatamente, ma con fermezza. Poi si rivolge a Fabrizio, che ancora resta dubbioso, ma infine cede, dietro le promesse di amore e fedeltà della locandiera. Al Marchese e al Conte che ancora le fanno complimenti (il Marchese le consegna anche la boccetta d’oro) Mirandolina chiede un ultimo favore: cambiare locanda! Poi li accommiata con la morale della favola: traete una lezione da ciò che avete vissuto qui e ricordatevi della locandiera.
Fabrizio finalmente ha ceduto, e tutti si rallegrano con i novelli sposi. Infine Mirandolina espone la morale della favola: traete una lezione da ciò che avete vissuto qui e ricordatevi della locandiera. Un evviva! generale al suo indirizzo chiude l’opera.

Come si vede, pur avendo mantenuto la strutturazione in tre atti, Martinů ha introdotto alcune varianti e sforbiciate al testo originale di Goldoni, cassando alcune scene evidentemente ritenute troppo eccentriche rispetto al cuore della commedia da musicare.

Una modifica abbastanza rilevante riguarda l’anticipo della fine del primo atto, che chiude con il monologo del Cavaliere, il che comporta lo spostamento all’inizio del secondo dell’arrivo e della presentazione delle due finte dame. In questo primo atto Martinů sopprime (comprensibilmente) la scena della lettera da Siena, che non farebbe che ribadire le attitudini già note del Cavaliere verso il gentil sesso; ed anche l’episodio della cioccolata, relativo alle richieste di denaro che il Marchese avanza al Cavaliere (sappiamo già che il Marchese è in bolletta). Per la stessa ragione verrà ignorata - Atto III, Scena XII (III nell’opera) – la richiesta di denaro che il Marchese avanza al Conte. Evidentemente allo scopo di irrobustire ulteriormente la personalità di Mirandolina, Martinů elimina il particolare relativo al consiglio datole dal padre di sposare Fabrizio: così alla fine la sua decisione (non condizionata da alcunchè) acquista maggior peso e importanza.

Nel second’atto Martinů depenna (cosa questa opinabile, ma forse spiegabile col fatto che la protagonista aveva appena cantato il lungo monologo del prim’atto) il secondo monologo di Mirandolina (che in Goldoni chiude il primo atto) nel quale la locandiera manifesta la sua indifferenza per Marchese e Conte e proclama invece la sua programmatica intenzione di vincere le resistenze del Cavaliere. Cassata (a ragione) la manfrina dei vini: quello di Cipro offerto dal Marchese e quello delle Canarie ricambiato dal Conte (non fa che ri-sottolineare la tirchieria del primo e la larghezza di mezzi del secondo). Inoltre vengono espunte le scene che trattano delle trame che il Conte e le due finte dame mettono in atto, senza successo, per far innamorare il Cavaliere. Anche questa è una scelta opinabile (ci priva di un lato interessante della personalità del Cavaliere, che mostra di non temere, anzi di divertirsi a dileggiare donne... leggere) dettata probabilmente dalla necessità di concisione che condizionava il compositore.

Nel terzo atto vengono comprensibilmente omesse o smagrite le scene relative alle vicissitudini della boccetta d’oro del Cavaliere (il suo ritrovamento da parte del Marchese in cerca di... smacchiatori e ciò che ne consegue). In compenso Martinů richiama in servizio le due finte dame, probabilmente solo per far da riempitivo nei passaggi d’insieme del finale dell’opera.

Tirate le somme, è un libretto assai agile e godibile, che conserva in larga parte le qualità letterarie ma soprattutto anche morali (così Goldoni nella prefazione alla commedia) del testo originale.
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Poche sono, purtroppo, le incisioni disponibili dell’opera: la prima – pubblicata su youtube - è presa da un’esecuzione dal vivo, diretta da Riccardo Frizza (ad essa faccio riferimento nel seguito). Ecco poi un paio di recenti riprese.

Martinů si orienta verso una specie di Singspiel (dove peraltro i parlati puri sono assai ridotti) e su tecnica Durchkomponieren, dove quindi i temi ricorrenti (non si può certo parlare di Leit-Motive) si contano col lanternino. Il più evidente di questi è quello (pare quasi Rimski, Capriccio spagnolo...) che apre l’opera (5”) in DO maggiore evocando la prosopopea e la vanagloria dei nobili, restando poi in sottofondo nelle prime scene; quindi ne udiamo una citazione (16’43”) all’inizio del monologo di Mirandolina, dopo che il Marchese ha dichiarato che sarebbe pronto a sposarla. Il motivo torna ancora, anche variato, come nell’atto II, scena V (1h00’52”) quando il Cavaliere sembra deciso ad andarsene; quindi (1h38’56”) fa una fugace apparizione (atto III, scena VI) quando Mirandolina chiede pubblicamente la mano di Fabrizio. Infine (1h42’30”) fa un’ultima comparsa subito prima del travolgente finale.

Un altro motivo che si potrebbe riferire alla propensione di Mirandolina per il suo Fabrizio compare una prima volta nella scena VI del prim’atto (23’46”) quando la locandiera fa al suo cameriere una nemmeno troppo criptica dichiarazione; poi lo riudiamo (1h08’35”) nel bel mezzo...  dell’Intermezzo che apre il terz’atto; quindi ancora (1h12’40”) nella scena iniziale del medesimo atto III, dove Fabrizio insinua che Mirandolina miri a conquistare un nobile; e subito dopo (1h15’22”) ad accompagnare le parole di Fabrizio (Cara Mirandolina); infine (1h39’18”) nella successiva scena VI, allorquando Mirandolina chiede la mano di Fabrizio proprio coram-populo. Tutte le apparizioni sono sempre ed invariabilmente nella tonalità di FA maggiore, che con il DO e il SIb ha la prevalenza in questa partitura. Altro motivo che ricorre nel terzo atto è anticipato (1h08’11”) nell’Intermezzo che lo apre; il motivo torna poi (1h13’02” e 1h14’47”) durante la scena I (Mirandolina-Fabrizio) e poi ancora (da 1h16’00”) nella scena II a sottolineare le pene del Cavaliere, ormai cotto e stracotto della locandiera, come testimonia (1h21’31”) lo schianto del motivo, letteralmente sfigurato, dopo che lui le ha confessato la sua scottatura al cuore.

Essendo per principio banditi i tradizionali numeri chiusi, l’unico spazio lasciato ad un prolungato intervento solistico è il monologo di Mirandolina (atto I, scena VI, 16’34”). Un altro, minuscolo brano con caratteristiche tradizionali è il brindisi di Mirandolina (58’57”) subito ripreso dal Cavaliere e poi ripetuto dalla stessa Mirandolina in chiusura dell’atto II. Troviamo nell’opera anche duetti, terzetti e concertati, ma nessuno di essi ha struttura e caratteristiche tradizionali.

Più che motivi che caratterizzino specificamente i singoli personaggi, Martinů sembra privilegiare la pittura delle atmosfere delle scenette che si susseguono con grande rapidità. Prevalentemente i tempi sono spediti, come si addice del resto ad una commedia brillante (pur densa di significati psico-sociologici).

Martinů fa sfoggio della sua felice inventiva in alcuni brani puramente strumentali, come l’Interludio (25’14”) che separa le scene VII e VIII dell’atto I (fine del dialogo di Mirandolina con Fabrizio e visita della locandiera al Cavaliere per consegnargli la biancheria, dove lei gli dice: ad un altro non la darei... !!!) che accompagna l’agitazione della donna che si prepara alla conquista del Cavaliere e poi le maniere adulanti e ammiccanti che lei impiegherà per raggiungere l’obiettivo. Mirabile anche la breve introduzione (45’38”) alla scena II dell’atto II (il Cavaliere che ormai ha la testa occupata da Mirandolina) che presenta (46’26”) un autentico love-theme. Ma il pezzo strumentale più corposo – e famoso – è l’Intermezzo che apre l’atto III (1h07’00”) un saltarello spiritoso (dove sembrano far capolino DeFalla e Rossini) che evoca l’eccitazione di Mirandolina, ormai certa di aver messo nel sacco il Cavaliere - ma ci ricorda anche il motivo della sua simpatia per Fabrizio - e che contrasta assai con l’atmosfera della scena I, caratterizzata dal ritorno della protagonista con i piedi per terra. Più avanti (dopo la scena II) ecco un breve e nervoso intermezzo (1h23’29”) che ben sottolinea la crescente agitazione che ha invaso corpo e anima del Cavaliere, che si è appena apertamente dichiarato a Mirandolina. Prima della scena IV ancora un brano strumentale (1h27’41”) con un bell'intervento delle trombe, che introduce efficacemente lo stato d’animo preoccupato di Mirandolina, che teme di essere andata troppo in là con la finzione nei confronti del Cavaliere, ed ora comincia a pensare seriamente alla soluzione-Fabrizio.

Quanto alle voci, la parte di Mirandolina è di sicuro la più ardua: non tanto in ragione della tessitura (che tocca al massimo e proprio episodicamente il SIb, alla fine del monologo – la bella natura) ma per la quantità (la presenza quasi costante in scena) e la qualità (le mille diverse sfumature del carattere della locandiera) dell’impegno che richiede. 

Infine, la scrittura orchestrale, pur nella relativa parsimonia dei mezzi impiegati, è davvero lussureggiante e contribuisce a mantenere sempre alta la tensione lungo i tre atti dell’opera. 
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Prossimamente qualche nota dopo esperienza dal vivo.