ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

09 maggio, 2015

La Turandot di Chailly-Berio alla Scala

 

L’EXPO2015 ha regalato alla Scala un secondo SantAmbrogio (il 1° maggio persino il meteo si era allineato a dicembre!) e così ecco questa Turandot tutta nuova (almeno per il Piermarini) di cui ieri sera è andata in scena la terza delle otto rappresentazioni. (Qui la registrazione della prima).   

La (stagionata) novità di questa proposta consiste nel presentare - al posto di quello composto da Franco Alfano sotto la tutela di Toscanini, sempre criticato ma sempre eseguito in Scala (salvo alla… prima del ‘26!) - il finale di Luciano Berio, ormai vecchio anch'esso di 14 anni.

La mia (e non solo mia, direi) personale avversione alla pretesa di chiudere a tutti i costi l’opera secondo il libretto (e magari pure forzandolo, visto che lo stesso Puccini non si decideva a condividerne il finale) quando vi manca circa l’ultimo 10% di musica (di cui il compositore lasciò solo degli spizzichi e bocconi senza capo né coda) ho già manifestato nel post-scriptum di questo resoconto della penultima apparizione dell’opera in Scala, diretta da Gergiev, quindi qui mi limiterò ad integrare il concetto con qualche dettaglio in più.

Dirò subito che delle quattro versioni esistenti del finale posticcio-abusivo (rintracciabili in rete: 1. quella originale di Alfano; 2. quella tradizionalmente eseguita, e ulteriormente tagliata, come qui, di Alfano con i tagli chiesti da Toscanini ma con la chiusa del coro col Gloria sulle note di Vincerò; 3. quella di Berio; e 4. quella recente del cinese Hao Weiya – alle quali va aggiunta quella dell’americana Janet Maguire, mai eseguita) questa di Berio mi sembra perlomeno la più dignitosa, o la meno gratuita, anche grazie a qualche opportuno intervento sul libretto, a partire dall’espunzione del coro finale.

Insomma, a me pare che Alfano (imitato da Weiya molti anni dopo) tenda ad interpretare la scena finale come fosse quella del Siegfried: dove Brünnhilde inizialmente si nega al ragazzo, per poi cedere ai suoi focosi assalti e unirsi anche carnalmente a lui. Però in Wagner le premesse stanno agli antipodi rispetto alla Turandot! Brünnhilde ha apprezzato l’amore di Siegmund e Sieglinde fino al punto da perderci la… divinità; ha poi amato Siegfried fin dal suo concepimento; ha implorato Wotan di farla risvegliare dal Wälso; e ha subito manifestato la sua gioia nel riaprire gli occhi proprio su Siegfried. La sua iniziale ritrosia ad accoppiarsi con lui è tutta e solo freudiana: la paura - o meglio la tristezza, squisitamente femminile - legata alla prospettiva della perdita della verginità; non certo un pregiudizio idiota legato ad un fatto di cronaca nera di cui fu vittima un’ava nemmeno conosciuta. E alla fine è lei, liberamente e coscientemente, a concedersi al Wälso. Turandot invece è da sempre un pezzo di ghiaccio venefico; e tale rimane anche dopo aver assistito alla morte della povera Liù; il suo cedimento a Calaf è tutt’altro che spontaneo e convinto, anzi appare come conseguenza di un atto di molestia sessuale, per non chiamarlo di violenza carnale bella e buona!

Scena finale che Berio cerca invece di Tristan-izzare, seguendo un vago accenno lasciato da Puccini sui suoi confusi appunti. L’idea sarebbe anche supportata da una testimonianza indiretta (perché riferita da Leonardo Pinzauti) di Salvatore Orlando, cui il Maestro avrebbe suonato – occhio alla data – nel 1923 un finale dell’opera dal sapore tristaniano. Però risulta che Puccini – a settembre 1924, due mesi prima di morire – avesse suonato alcune idee del finale anche a Toscanini, che poi avallò quello tutt’altro che tristaniano di Alfano! (Insomma, ce n’è per tutti i gusti…)

Il programma di sala ci offre un interessante documento che finora era di non immediata accessibilità: si tratta dell’Appendice I del saggio di Marco Uvietta È l’ora della prova: un finale Puccini/Berio per Turandot, originariamente pubblicato nel 2002 in Studi Musicali. Questa Appendice riporta in dettaglio tutti gli interventi di Berio, che si caratterizzano per: tagli al testo e alle didascalie (corposi); aggiunte o modifiche al testo (minime); impiego di molti (23 su 30) degli schizzi lasciati da Puccini; utilizzo di frammenti musicali prelevati da altre parti dell’opera; inserimento di frammenti musicali alieni (Wagner, Mahler, Schönberg, oltre a Berio medesimo).

Il saggio di Uvietta presenta ed analizza i razionali che sono stati posti da Berio alla base della sua proposta. Lo scopo principale degli sforzi del completatore è di riuscire là dove l’Autore non aveva avuto modo (e/o tempo?) di arrivare: aggirare in sostanza lo scoglio insormontabile legato alla prosaica modalità di scongelamento della Principessa. Il cuore di tale tentativo è rappresentato proprio dall’Interludio orchestrale (dove compaiono anche le citazioni aliene) che Berio ha predisposto come colonna sonora alla scena dell’abbraccio di Calaf al corpo di (così la nuova didascalia!) Turandot. Orbene, mentre in Alfano quella scena passa alla velocità della luce, in Berio abbiamo ben 2’30” di musica (scusate la battuta sconcia: il tempo per una sveltina?) che dovrebbero evocare la trasformazione della Principessa da sbifida carogna in angelica creatura (!?) E per rendere la cosa plausibile, evitandole il successivo clamoroso voltafaccia, dopo che Calaf ha rivelato il suo nome, i versi di Turandot (So il tuo nome! Arbitra sono ormai del tuo destino! e fino a …la mia fronte ricinta di corona!) sono stati abilmente ma bellamente cassati.

Ma alla fine i nodi vengono al pettine: come diceva il calvissimo Ispettore Rock nel carosello della brillantina Linetti, togliendosi il cappello? Anch’io ho commesso un errore! Eh sì, anche Berio (e prima di lui Puccini, se davvero pensava al Tristan) ha preso una bella cantonata: come spiegare tristanianamente l’esternazione di Calaf (che permane nella versione beriana) È l’alba! E amor nasce col sole! ??? 

Insomma, come la si voglia prendere, siamo sempre lì, accanto a Puccini sul lettino dell’ospedale belga dove morirà: la personalità della protagonista, come emersa e consolidatasi fino a quel momento dell’opera (parole e musica) rende irrimediabilmente vano ogni tentativo di giustificarne la repentina conversione, e così anche Berio – del quale va incondizionatamente apprezzato lo spirito, oltre che il livello assoluto del contenuto musicale del suo completamento - purtroppo pretende l’impossibile, finendo con il contrabbandarci per Verklärung una volgare Vergewaltigung!  
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In questo allestimento è il regista Nikolaus Lehnhoff che cerca di far quadrare il cerchio del finale, naturalmente contravvenendo lo stesso libretto di Berio, che prevederebbe per i 150” dell’Interludio un altrettanto lungo abbraccio di Calaf a Turandot: invece il regista ci mostra la principessa, in preda a dubbi e angosce, vagare per il palcoscenico ritrovando prima il suo copricapo da spaventapasseri, poi il suo mantello piumato, quasi a voler con essi processare tutta la sua precedente esistenza, fino poi a raccogliere dalle mani di Calaf il pugnale con cui si è ammazzata Liù e minacciare di usarlo (contro lui o contro di sé? mistero)  per poi farlo cadere e gettarsi (ma senza eccessiva convinzione…) fra le braccia del Principe. Dopodiché, in assenza del trionfalistico coro finale, i due si allontanano insieme, ma in un’atmosfera strindberghiana (e al buio, altro che alba luminosa!) forse puniti e contriti entrambi per le loro (pur diverse) malefatte.

In sostanza: il regista cerca lodevolmente di assecondare al meglio la grande musica di Berio per restituire un minimo di plausibilità ad un finale che proprio non ne ha, e così il risultato – dal punto di vista del dramma - è comunque deludente, pur per ragioni opposte a quelle che rendono indigesto il completamento di Alfano.

Per il resto la regìa di Lehnhoff non disturba nessuno, dato che racconta la storia per filo e per segno, senza pretendere di aggiungervi (né togliervi) alcunché. Dalle scene di Raimund Bauer non c’è da rimanere a bocca aperta, anzi bisognerebbe suggerire allo scenografo di recarsi almeno una volta in loggione, per verificare ciò che della sua opera d’arte si vede di lassù: così sistemerebbe le cose in modo che di Turandot (Atto I) e dell’Imperatore (Atto II) si veda qualcosa di più delle… ciabatte! Belli i costumi della Andrea Schmidt-Futterer, con un calo di stile per la verità nei confronti dei tre poveri P(i-a-o)ng, scaduti a livello di… battistrada. Efficaci le luci di Duane Schuler e i movimenti coreografici di Denni Sayers.
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Va riconosciuta invece al prossimo Direttore Musicale scaligero la coerenza di approccio interpretativo dell’opera, anche rispetto al finale prescelto: pur senza stravolgerne le originarie caratteristiche, Chailly ci propone una Turandot dai tratti decisamente asciutti e scevra da compiacimenti a buon mercato. Un Puccini – e la cosa non è poi tanto campata in aria - allievo della seconda scuola di Vienna? Certo qualche decibel di troppo in un paio di occasioni ha messo a repentaglio i cantanti, ma in generale la sua è stata una concertazione pregevole.

La protagonista Nina Stemme tende pericolosamente a sforzare gli acuti, sfociando nell’urlo: però in tal modo riesce a farsi sempre sentire, anche sopra i fracassi dell’orchestra. Certo, Turandot non è Brünnhilde… e poi Berio non è Alfano, così la svedesina riesce, con molto mestiere, a farsi apprezzare.

Aleksandrs  Antonenko mostra voce discreta, non potentissima, con qualche vibrato sgradevole, arriva bene agli acuti e insomma fa il suo compitino con diligenza, senza destare grandi entusiasmi.

Brava come sempre Maria Agresta, che disegna una convincente Liù: a lei va la palma di migliore in campo (ma con quei concorrenti non le è stato difficile conquistarla).

Poco più che sufficiente il contributo di Alexander Tsymbalyuk, un Timur poco penetrante nel canto e poco efficace nel portamento scenico.

Dai tre… porcellini Michelin (smile!) luci ed ombre, con una menzione per Paolo Veccia, che almeno si fa sentire con facilità e non demerita con la sua casetta nell’Honan; i due tenori (Roberto Covatta e Blagoj Nakoski) fanno molto avanspettacolo e poco… canto!

L’Imperatore ha una parte circoscritta, ma Carlo Bosi ci si mette d’impegno per rendercela al meglio. Poco convincente invece il Mandarino di Gianluca Breda, che mi è parso un po’ in difficoltà (entrare a freddo non è sempre facile).

Azer Rza-Zadà (basta giochi di parole sul suo nome…) deve cantare due semicrome sul MI e una minima, tenuta, sul LA acuto (Tu-ran-dot): ce l’ha fatta! Certo le migliori qualità le ha mostrate il suo fisico statuario, di cui il pubblico può ammirare il lato… C!

Oneste le prestazioni delle due ancelle: Barbara Rita Lavanan e Kjersti Ødegård.

Sempre bravamente all’altezza il coro di Bruno Casoni, tanto nei grandi come nei piccoli.

Alla fine, successo pieno per uno spettacolo di livello decisamente superiore alla media scaligera. 

08 maggio, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 33


L’ultima sinfonia dispari di Mahler (e anche ultima completata) è affidata alla bacchetta di Junichi Hirokami, il giapponesino-mignon che torna sul podio dell’Auditorium dopo quasi quattro anni. Allora vi aveva interpretato – con onore, direi – la Decima di Mahler-Cooke.

Ma siamo sotto EXPO e quindi laVERDI presenta composizioni di Nicola Campogrande dedicate ai diversi Paesi presenti nella tanto sofferta e contestata kermesse milanese: il primo appuntamento è con Israele. L’intera raccolta conterrà 24 brani di pochi minuti che dovrebbero avere un canovaccio comune sul quale innestare di volta in volta l’Inno nazionale del Paese festeggiato e poi evocare processi agro-alimentari (!?) in omaggio al tema della manifestazione.

Così per questo primo appuntamento abbiamo ascoltato musica orecchiabile e intravisto quella specie di Moldava che è lo Hatikvah israeliano. Se c’erano israeliani in sala (fra pochi intimi, purtroppo) potranno dire se sono soddisfatti o pretendono il… rimborso (smile!) In ogni caso applausi a tutti, Autore compreso, presente in sala.
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Segue Mahler in versione di trascrittore di Bach: due spezzoni di Suite (2 e 3) che il compositore boemo arrangiò da par suo per orchestra, clavicembalo e organo. Qui si può udire questo collage, diretto da Riccardo Chailly.

Ecco, diciamo che è un Bach che invece della parrucca ha in capo un… Borsalino (smile!) cioè qualcosa che è già passato di moda. Per me, meglio la parrucca, dico la verità.
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La Nona è – secondo taluni – l’ultima vera sinfonia mai composta (con buona pace di Prokofiev e Shostakovich). Per altri addirittura l’ultima vera sinfonia sarebbe l’Ottava (non la Nona) di Beethoven! Infatti tutto è relativo e anche Giovanni Allevi potrebbe mettersi a comporre sinfonie, se è per quello. Però l’ultima di Mahler, essendo appunto la sua ultima, viene considerata alla stregua di un lascito testamentario, di un auto-epitaffio a futura memoria. E di solito alla fine si osserva uno, o anche due minuti di silenzio come per commemorare un illustre defunto.

Hirokami invece non vuol battere alcun record e dopo meno di 10 secondi dal morendo della triade di REb maggiore degli archi, abbassa le braccine e… morta lì (stra-smile!) Certo lui non è Abbado e i ragazzi de laVERDI non saranno (ancora?) i Wiener, però devo dire che l’emozione che si prova (perlomeno che io provo) ascoltando la perorazione dei 4 corni a battute 126-127 e poi la frase del violoncello a 155-156 del Finale è sempre più che sufficiente per farmi tornare a casa in sintonia con il mondo, e questo è quanto.

07 maggio, 2015

Torino di marzapane

 

Ieri sera al Regio di Torino – con diffusione su Radio3, ore 20 - si è aperto il ciclo delle recite di Hänsel und Gretel.

Dico subito che l’ascolto radiofonico mi ha fatto un’impressione abbastanza favorevole, che mi auguro sarà confermata più avanti da quello (più visione) dal vivo.
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Ai tempi della composizione dell’Opera (la prima fu data a Weimar sotto la bacchetta di Richard Strauss, sabato 23 dicembre 1893) il teatro musicale tedesco era ancora monopolizzato da Wagner (scomparso da 10 anni) e sembrava incapace di trovare nuove strade e nuovi alfieri: lo stesso Strauss, cercando di scimmiottare il suo grande omonimo, farà fiasco nel 1894 con Guntram e solo 10 anni più tardi aprirà la sua personale galleria con Salome; Siegfried, rampollo di tanto papà, si affaccerà sulla scena a fine secolo, ma rimarrà perennemente oscurato dall’ombra del genitore. In Italia il verismo stava invece spopolando (1890 Cavalleria, 1892 Pagliacci); Puccini si faceva largo (1893) con Manon proprio mentre Verdi aveva appena trionfato con il suo Falstaff.

Paradossalmente l’opera tedesca più importante di quel periodo (Werther) fu prodotta da un… francese e rappresentata per la prima volta a Vienna (16 febbraio 1892). Così ad Engelbert Humperdinck, maturato a Bayreuth dal 1881 sotto le ali di Wagner e imbevuto di Parsifal fino al midollo, venne l’idea di cimentarsi in un genere di nicchia (la fiaba musicale) e ciò fece la sua fortuna: fu praticamente l'unica sua opera (cosa bizzarra, per un autore che aveva fatto incetta di premi di composizione...) ma fu un enorme successo, quanto meno in patria.

Trovò addirittura in famiglia (la sorellina Adelheid, maritata Wette) la librettista dell’opera che lo renderà famoso, inizialmente in Germania, ma poi anche fuori dai suoi confini. Opera nata come estensione di un ciclo di 4 canzoncine per piccoli (Ein Kinderstubenweihfestspiel, una sacra rappresentazione per la camera dei bambini… chiara allusione all’attributo del Parsifal) composte appunto da Humperdinck nel 1890 su richiesta della sorella, autrice dei testi (dai Grimm) che poi le faceva cantare ai figlioletti nella notte di Natale.

Il soggetto è derivato dalla famosa favola, ma rispetto ad essa è abbastanza smagrito (c’è una sola uscita notturna dei piccoli) ed edulcorato nel carattere della madre, che qui è severa e un po’ nevrotica, ma non proprio crudele e snaturata come quella originale, disposta a sacrificare i figli per risolvere i problemi economici della famiglia.

Tranne quella del padre Peter, tutte le voci sono femminili, quindi di mezzosoprano o soprano. Le tessiture sono comode, raggiungendo al massimo il SI per la madre Gertrud (ms) e il SIb per la Strega (ms). Fa eccezione Gretel (s) che arriva ad un RE sovracuto.  Hänsel (ms) e i due Maghi (s) toccano il LA. Peter (br) non sale oltre il MI.

La consuetudine con Wagner ovviamente ha lasciato il segno e traspare qua e là abbastanza chiaramente; c’è anche un rudimentale impiego di Leit-Motive, in realtà motivi ricorrenti più che conduttori, quindi etichette e non concetti. I principali temi sono tanto semplici quanto accattivanti e quindi adatti al pubblico dei piccoli, ma apprezzabili anche dagli adulti, il che ha fatto la fortuna di quest’opera.
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Il Preludio orchestrale è costruito su almeno 4 motivi che torneranno nell’Opera. Apre con un corale in DO:

L’atmosfera, almeno alle mie orecchie, a partire dall’intervento degli archi, richiama quella del Preludio dell’Atto terzo dei Meistersinger (che poi si arricchirà di voci nel Wacht auf!): in effetti sa molto di corale luterano. Ne udiremo la melodia fra poco, poi riapparirà maestoso nel finale del secondo quadro (con gli Angeli custodi) e al termine dell'opera.

Poi udiamo nella tromba un tema scabroso (in MI) che evoca indubbiamente la Strega e le sue arti magiche (lo sentiremo nel terzo quadro, quando la Strega ci canterà le sue parole magiche):

Quindi, in MI maggiore, ecco il bellissimo tema che udiremo per la prima volta, accompagnando il Mago rugiadino, al risveglio dei ragazzi (inizio del terzo quadro):

Anche qui ci pare di respirare l’aria primaverile di… Norimberga! Il quarto motivo del Preludio anticipa quello che apparirà al momento della liberazione dei piccoli. Inizialmente in MI, per la sua forma più ampia torna al DO maggiore:


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La prima scena del Quadro I è ambientata nella povera casa di Peter e Gertrud, dove i due ragazzi sono intenti – beh, vagamente, ecco – ai lavoretti loro assegnati dalla mamma, fuori casa come il papà per procurarsi qualche soldo per tirare a campare. Cantano una canzoncina il cui testo (Wiegenlied, ninnananna) è preso direttamente da una delle raccolte di Arnim&Brentano, allegata nel 1808 al Wunderhorn (Kinderlieder): di esso vengono impiegate la prima e la terza strofa, con piccolissime varianti (ad esempio il primo verso da Eio popeio diventa Suse, liebe Suse). La melodia (FA maggiore) è proprio fanciullesca:

Dalla triste storiella del Lied (le oche senza scarpe perché al ciabattino manca la forma…) si passa a quella drammatica della vita reale (non c’è nulla da mangiare!) Il corale udito nel Preludio viene ora cantato da Gretel (Wenn die Not aufs Höchste steigt) per… sollevare il morale suo e del fratello. Il quale non sembra convinto e continua a lamentarsi, al che Gretel lo rincorre con una scopa per zittirlo. Si passa repentinamente a MIb e i due iniziano una specie di baruffa a suon di… scopate, chiusa da Gretel (mentre in orchestra pare di ascoltare il... trionfo di Alberich!) che ha un segreto da comunicare al fratello: stamattina una vicina di casa ha portato del latte e panna, col quale la mamma cucinerà il riso! I due non si trattengono dall’assaggiarlo, ma subito la giudiziosa Gretel lo sottrae alle grinfie del fratello, invitandolo a tornare al lavoro.

Ma invece si torna a FA maggiore e si passa da 6/8 a 2/4, perché Hänsel trascina la sorellina, anziché al lavoro, alla… danza! È questo il famoso Tanzliedchen, che copre il resto della prima scena, suddiviso in due parti, di cui la prima si struttura come A-B-C-B-C-A, tutti cantati da Gretel, mentre Hänsel si limita a ripetere i due C. È infatti Gretel a guidare la danza, su un motivo (A) che ricorda quello del precedente Lied:



Gli fa seguito il controsoggetto B (in RE minore), seguito poi dal motivo C, dal carattere impertinente, che sa di operetta:
Dopo il ritorno dei motivi B, C e A, ecco la seconda parte della danza dei due fratelli, strutturata come un Rondo, il cui ritornello è un altro motivo infantile:

che intercala le piroette dei due ragazzi, che in un crescendo di eccitazione finiscono a gambe all’aria, proprio mentre arriva la mamma.
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La seconda scena, relativamente breve, caratterizzata da nervoso cromatismo, è appunto occupata interamente da Gertrud. Dopo aver sgridato i ragazzini (e aver involontariamente distrutto il bricco con il latte e panna!) la donna caccia i figli a male parole, intimando loro di andare subito nel bosco a raccoglier fragole. Poi dà sfogo a tutta la sua amarezza - mentre il motivo di Suse, liebe Suse serpeggia qua e là, desolato e in modo minore - per la condizione di indigenza in cui si trova e infine cade addormentata. Di sicuro qui non siamo più in una fiaba, ma in uno scenario di realismo crudo e disperato.       
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La terza scena si apre con il ritorno del capofamiglia Peter, preceduto dal suo Rallalala

L’esclamazione sembrerebbe qualcosa di allegro, ma la tonalità di MI minore ci fa subito sapere che c’è qualcosa sotto, un po’ come nel canto del povero Rigoletto! E infatti nelle strofe della canzone che canta c’è proprio tutta la sua philosophie de la misère: i ricchi godono e mangiano, noi poveracci facciamo la fame. Allo stesso tempo veniamo a sapere che Peter è uno che non si tira indietro di fronte all’alcool, il che spiega benissimo il tenore del suo canto, un mix di allegria (l’accompagnamento in maggiore degli archi) e di tristezza. Il ritornello tornerà altre volte nel seguito, e alla fine verrà condiviso anche dalla moglie!

La prima parte della scena è dedicata alla lieta sorpresa che Peter fa alla moglie, che già gli aveva preannunciato il… salto della cena. Invece no, lui ha portato una gerla colma di ogni ben di dio e spiega come se lo è procurato: vendendo tutti i suoi prodotti (scope, spazzole e affini) in un vicino castello dove si teneva una gran festa! Si era passati a MIb e il ritornello torna adesso – anche in bocca a Gertrud - in modo maggiore, per festeggiare la vendita miracolosa.

Ma il clima di euforia dura poco, perché Peter, pur in preda ai fumi dell’alcool, si ricorda – solo ora! – dei ragazzi: dove sono? Il motivo del loro Suse, liebe Suse fa immediatamente capolino nei legni, mentre Gertrud sembrerebbe voler… sviare le indagini, cominciando a raccontare delle birichinate dei piccoli (e si risente nei bassi il motivo del loro Trallalala); poi tirando fuori la notizia del bricco col latte finito in pezzi. Peter non ne è certo contento, ma sembra subito tornargli l’allegria e insieme si mettono a ridere: del bricco ormai non se ne curano… ma insomma, i piccoli che fine han fatto? 

Quando finalmente Gertrud si decide a raccontare la verità (aver mandato i bambini da soli nel bosco di Ilsenstein) il marito trasalisce e le spiega in quale grave pericolo i figli si trovino: le streghe che popolano quel bosco, e una in particolare, la Knusperhexe (letteralmente la strega del morso, rosicchiante)! Sono il corno prima e i timpani poi ad anticipare ritmo e motivo delle streghe e della loro cavalcata, che sentiremo presto (qualcosa che ci ricorda… Fasolt&Fafner!):
Mentre la tonalità sale di un semitono, al MI, Peter afferra una scopa e descrive come le streghe cavalcano su essa volando di notte sul mondo. Qui ci pare di avvertire la cupa atmosfera del terzo movimento della Prima di Mahler, composta pochi anni addietro: chissà se si tratta di una deliberata reminiscenza... Poi prosegue, raccontando come una di esse, vecchia quanto la montagna, a mezzanotte se ne vada in giro a scegliere le sue vittime, bambini da attirare nella sua scricchiolante e rosicchiata casetta. Per poi cucinarli al forno e infine mangiarseli!

Questa descrizione è fatta con una specie di ballata in due strofe, che ha il ritmo della cavalcata, mentre la melodia esplora l’ottava di MI minore:

Nella seconda strofa (Ja, bei Tag) dove Peter descrive il trattamento che la strega riserva ai piccoli, è ancora il motivo (in minore) della loro Suse, liebe Suse a contrappuntare il racconto del padre!

Alla fine, moglie e marito si slanciano verso il bosco, in soccorso ai figli.
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Fra il primo e il secondo quadro Humperdinck ha inserito un Interludio (Hexenritt, la cavalcata delle streghe). Ha poco di cavalcata, per la verità (salvo le poche battute introduttive, che richiamano le Valchirie) e più di marcia, pesante, inizialmente in DO minore (dove torna l'ambientazione mahleriana) ma poi modulante a LAb maggiore, quindi FA maggiore e infine REb maggiore, dove i clarinetti, dopo una serie di folate ascendenti, innestano un motivo degradante che tornerà nel terzo quadro, proprio ad accompagnare l’arrivo della strega a cavalcioni sulla sua scopa:
Un grande e continuo crescendo, anche del volume del suono (vi si ode fra l’altro il crepitio delle castagnette) porta alla tonalità di FA maggiore, dove gli ottoni, con la tromba in evidenza, espongono un motivo calmo e solenne, quasi un corale (che ci ricorda la straussiana Tod und Verklärung, pure di pochi anni addietro) che conduce alla conclusione dell’Interludio, con un dolce recitativo del violoncello, seguito dalla viola.

Siamo nel bosco, all’imbrunire, e la prima scena del secondo quadro si apre sui due fratelli, ancora ignari del pericolo che stanno correndo. Gretel, che si è intrecciata una ghirlanda di rose, canta un tradizionale Kinderlied (su testo originale di August Heinrich Hoffmann von Fallersleben, 1843) Ein Männlein steht im Walde:

Humperdinck le fa cantare le due strofe musicate, ma non l’ultima, parlata, che contiene la soluzione dell’indovinello posto nelle prime due (l’omino che sta nel bosco è la rosa canina). Dopo che il flauto ha mirabilmente accompagnato l’ultima strofa, sono corni, oboe e clarinetto a suggellare la chiusa del Lied.

Hänsel ha invece riempito il canestro di fragole e ne va giustamente fiero, mettendolo in mano alla sorella - una vera regina del bosco! - ma contemporaneamente diffidandola dal… servirsene. L’atmosfera della foresta è evocata dall’orchestra (una specie di Waldweben di wagneriana memoria!): un cuculo si fa udire, modulando dal FA al SIb maggiore. E sulla similitudine del cuculo che mangia le uova, i due si mettono a piluccare le fragole. In men che non si dica, il cesto è svuotato! Gretel si dispera e il contrasto con l'innocente gaiezza di poco prima non potrebbe essere più stridente: là il diatonismo più naif, qui un cromatismo esasperato, che sfocia addirittura su un inciso che ci ricorda le sofferenze di Amfortas (Wir durften hier nichts so lange säumen) mentre la situazione precipita: l’oscurità incombe, il bosco sembra animarsi di mille sinistre presenze, non c’è più tempo per cercare altre fragole, ma soprattutto… Hänsel non ricorda la strada del ritorno a casa! La povera Gretel ha visioni spaventevoli (Mime dopo la partenza del Viandante!) si odono rumori sospetti, Hänsel prova a chiamare qualcuno, ma gli risponde solo un eco minaccioso. Si alza anche la nebbia, in cui Gretel crede di vedere minacciose fate che si avvicinano, dalle quali cerca di difendersi fra le braccia del fratello. Tutta questa parte della prima scena è accompagnata da una mirabile musica di carattere squisitamente romantico, ossianico, sul tipo della weberiana gola del lupo e con qualche tocco di Mendelssohn: tonalità minori continuamente cangianti che evocano la spaventevole potenza, ma anche la solenne bellezza della natura.

Ma ora la nebbia si dirada improvvisamente e compare un simpatico ometto con un sacco in spalla: Gretel impiega le parole del Lied cantato all’inizio della scena per chiedere al fratello: ma chi sarà quell’omino?
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Siamo alla seconda scena, e l’ometto si presenta: sono il Mago sabbiolino, e questa mia sabbia dorata, sparsa sui vostri occhi, vi farà addormentare sognando gli angioletti e cantando con loro.

Il bellissimo motivo, in RE maggiore, che accompagna questa esternazione (dann wachen auf die Sterne…) - e che diventerà addirittura grandioso nella Pantomima del sogno della terza scena – sembra prendere lo spunto da Beethoven, precisamente dal finale del Fidelio, laddove Don Fernando lascia a Leonore il privilegio di togliere le catene a Florestan (euch, edle Frau, allein…):


Adesso, sempre in RE maggiore, i fratellini cantano insieme il corale della sera (l’Abendsegen, che si era udito proprio all’inizio dell’opera) sul testo del Lied Abendgebet di Arnim&Brentano, invocando i 14 angeli custodi; chissà se Strauss, profondo conoscitore dell’opera, partì da qui per il terzetto finale del suo Rosenkavalier… Il corale è chiuso da una sequenza ascendente dei violini divisi, che ricorda assai, persino nella tonalità, Lohengrin
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Dal quale, oltre che ritornare a SIb maggiore, si passa al… Parsifal (!) di cui pare proprio di udire (magari un filino appesantito) l’incipit agapesco, mentre siamo entrati nella terza scena del secondo quadro, occupata interamente dalla Pantomima che evoca, modulando a MIb maggiore, il sogno dei due bambini, protetti dai loro 14 angeli! Classica musica da balletto d’opera, come da tradizione ottocentesca, essa è monopolizzata dal tema beethoveniano del Mago sabbiolino, qui davvero apertosi a grande solennità e ulteriormente modulante a MI maggiore e da qui, in un continuo crescendo, a FA maggiore, poi ancora a SIb, a DO, per assestarsi finalmente sul FA. Qui ricompare il corale della sera, che va a chiudere, con grandissima nobiltà nella quale spicca l’arpeggio della tromba, il secondo quadro.
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Il terzo quadro si apre con un segnale di corni e oboi che tradisce la sua origine da un Kinderlieder:


Si tratta di Backe, backe Kuchen (cuoci, cuoci torta) che introduce l’ambientazione della casa della Strega, con tanto di forno per cuocere i… bambini! La tonalità è SIb maggiore, con sfumature minori. Poco dopo una brusca modulazione ci porta a RE maggiore, dove udiamo il terzo tema esposto nel Preludio all’Opera, quello che tornerà fra poco all’arrivo del Mago rugiadino. Il quale – prima scena - si presenta appunto come il portatore del risveglio agli esseri viventi: è precisamente il contraltare del Mago sabbiolino, facilitatore del sonno; anche il suo incipit è simile a quello del collega, ma il suo canto poi si apre al motivo citato e lo percorre in tutta la sua ampiezza.   

Gretel è la prima a svegliarsi, mentre la tonalità torna a SIb e MIb; la bimba si domanda se ancora stia sognando. Qui il clarinetto espone un breve frammento che ci ricorda irresistibilmente qualcosa: l‘arrivo di Siegfried sulla roccia di Brünnhilde! Anche là era un mattino presto, Siegfried si domandava dove fosse capitato e il clarinetto gli (anzi, ci) dava la risposta: a casa di Brünnhilde. Gretel riprende il tema del Mago rugiadino e ammira la natura attorno a sé, poi – mentre si modula ancora a RE maggiore - sveglia il fratello con il suo Ti-re-li-re-li; lui risponde con Ki-ke-ri-ki e insieme, modulando più volte fino a LAb e con il ritorno del tema del Mago sabbiolino e poi della preghiera serale, si raccontano il sogno notturno, con gli angioletti protettori.
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Si apre qui senza soluzione di continuità la seconda scena, con i due bimbi che scoprono una meraviglia: la casetta di marzapane (o la casetta da rosicchiare)! E poco dopo appare in orchestra, in MI maggiore, il bellissimo tema che la caratterizza:


Tema di walzer sul quale i due fratellini cantano la loro meraviglia di fronte a tanto ben di dio, augurandosi che la Principessa del bosco, che sicuramente possiede quella casa, possa invitare anche loro ad un sontuoso banchetto! Per intanto, apparendo la casa deserta, i due si immaginano che ce l’abbiano messa gli angeli (qui la tonalità degrada da MI a MIb) e che sia tutta per loro. Così si fanno animo e cominciano a… sgranocchiarla.
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La terza scena – la più lunga, poiché contiene tutto il nucleo della fiaba, fino alla brutta fine della Strega - si apre immediatamente con la voce della Strega, in MIb, che si fa sentire dall’interno della casetta, lamentandone la… devastazione da parte degli intrusi. I due ragazzi (MI maggiore) si immaginano che si tratti del vento e riprendono a sgranocchiare pezzi di casetta, cantandone (in FA maggiore adesso) il motivo.

Torna il MIb su una nuova esternazione della Strega, che i fanciulli continuano a snobbare (si passa a MI) senza accorgersi che lei sta uscendo dalla casetta e si avvicina furtivamente! Sempre sul tema della casetta la Strega accalappia Hänsel, che invano cerca di divincolarsi. Gli hi-hi-hi-hi della Strega sembrano quelli di Mime quando sta per attentare alla vita di Siegfried… Ora lei si presenta, in SOL maggiore, su una variante del walzer della casetta: mi chiamo Rosina Leckermaul (letteralmente… bocca squisita) e i bambini mi piacciono tanto che… me li mangio!

Hänsel prova ancora a liberarsi, ma invano. Si torna a MI maggiore, sul quale la Strega fa pesanti apprezzamenti sulla buona cera di Gretel (!) e poi, modulando a LAb maggiore, fa ai ragazzi una proposta tanto ipocrita quanto apparentemente allettante:

Entrate in casa e potrete gustare tutte le leccornie che volete! Gretel è dubbiosa, le chiede che intenzioni abbia verso il fratello, e la Strega le spiega che lo vuole nutrire per bene, in modo che diventi anche lui paffutello… poi sussurra all’orecchio di Hänsel di avere in serbo una sorpresa per lui (!) Alla richiesta di spiegazioni, lei risponde con una frase criptica (sulla perdita di vista e udito) e così i due fratelli si convincono di essere in pericolo e cercano la fuga, ma invano: la Strega, ordinando Halt! in SIb, sta mettendo in atto un incantesimo, che li immobilizzerà. Sono parole magiche, come Hokuspokus, che la Strega pronuncia su una base di SOL minore (tema udito nel Preludio) che culminano in una sequenza rallentata di RE gravi, con i quali la Strega ficca Hänsel in una gabbia chiudendone la porta.

Il ritorno a SIb maggiore sottolinea una nuova, mielosa proposta della Strega a Gretel: aiutami a saziare tuo fratello di leccornie, in modo che diventi bello grassottello! La bimba è sempre più diffidente, ma il fratello le consiglia di assecondare la Strega: evidentemente sta meditando sul come liberarsene. Da parte sua la Strega ha un piano preciso: cominciare a… cibarsi di Gretel, che non ha bisogno di essere ingrassata. Così, dopo aver gettato del cibo al fratello (sul tema della casetta) si occupa della sorella, togliendole l’incantesimo che la bloccava (sul tema inverso di quello originario!) e ordinandole – modulando a MIb - di apparecchiare la tavola, mentre lei, passando accanto ad Hänsel, che crede addormentato, si occupa del forno, esternando il suo progetto… alimentare riguardo a Gretel, esternazione prontamente raccolta da Hänsel.

L’apertura del forno è sottolineata dall’orchestra in maniera davvero… infernale, con rintocchi dei timpani sulle folate di violini e viole e il crepitare del pizzicato degli archi bassi. La Strega ormai pregusta il pranzetto a base di… Gretel e già ha pianificato (ma Hänsel lo sa!) come infornarla: continuando la sua ballata, ora in SI maggiore, medita di chiederle di dare un’occhiata al marzapane che sta cuocendo nel forno, e così lei la spingerà all’interno!

Tale è la sua euforia, che monta su una scopa e sia fa un giretto attorno alla casa! Tutta l’orchestra, in SIb maggiore, esplode nel tema della cavalcata, che avevamo udito nell’interludio fra primo e secondo quadro, sul quale esprime tutta la sua ebbrezza:

Concluso il suo volo radente, torna ad occuparsi dei ragazzi: mentre la tromba ripete il segnale udito all’inizio dell’atto (Backe, backe, Kuchen) la Strega dà altro cibo a Hänsel e altro ancora ordina a Gretel di portargli. Poi, mentre si ripete quel motivo, pensa alla ragazzina e a come farla finire in forno. Ma non si accorge che Gretel ha imparato la sua magia e con questa ha liberato il fratello, che ora può nuovamente muoversi. 

La Strega apre il forno invitando Gretel a metterci la testa per verificare la cottura del marzapane. Gretel finge di non capire, finchè la Strega, spazientita, le mostra il gesto, infilando la testa nel forno. Gretel e il fratello, nel frattempo appostatosi con lei, la mandano direttamente all’inferno! Un’esplosione di gioia fa seguito all’impresa, mentre tutta l’orchestra, in SIb, accompagna le grida (Juch-hei) dei due fratelli con lo Knusperwalzer!

Che si placa trasfigurandosi nel tema della casetta di marzapane, esposto dalle viole, sempre in SIb. Ma dopo che l’entusiasmo è salito alle stelle, un improvviso boato, accompagnato dal tema della Strega, sottolinea, modulando repentinamente a LA maggiore, l’esplosione del forno, dal quale emergono bambini (antiche vittime) coperti di marzapane. L’atmosfera si dissolve, e i due fratelli si domandano da dove siano spuntati tutti quei bambini.
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Siamo ora alla quarta scena. La tonalità è virata a RE maggiore. I piccoli cantano la loro libertà ritrovata per sempre, su una specie di corale luterano:


Gretel si accorge che hanno gli occhi chiusi, loro chiedono di essere toccati per poterli riaprire, e Gretel li accontenta. Ma ancora non possono muoversi, ed è Hänsel a restituirgli la completa libertà pronunciando la frase magica.

Ora i bimbi intonano, in LA maggiore, il coro che si era udito al termine del preludio, poi torna in RE maggiore il motivo del Mago rugiadino, che certifica come un sogno sia divenuto realtà.
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La conclusione (ultima scena) vede l’arrivo dei genitori dei ragazzini: è il Ralla-la-la di Peter che si ode da lontano a preannunciarne il sopraggiungere. I figlioletti li accolgono con gioia, il tema dell’esultanza per la fine della Strega torna in DO maggiore, la Strega medesima viene estratta dal forno sotto forma di marzapane, e accolta dal tema della danza che i due fratelli avevano intonato nel primo quadro. 

Peter ancora deve tirare la morale della favola: le malefatte non pagano! Poi, nel FA maggiore che è la tonalità fondamentale dell’opera, è il corale della preghiera che chiude – con grande significato etico – questa favola… per adulti!

02 maggio, 2015

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 32


John Axelrod rimane ancorato al podio de laVERDI anche per la quarta delle sinfonie dispari di Mahler: l’ombrosa settima.

Sinfonia composta fra il 1904 e il 1905 quando Mahler era l’uomo più felice del mondo… ma eseguita per la prima volta a Praga nel 1908, dopo che tre disgrazie si erano abbattute sulla sua testa (Alma, peraltro… col senno di poi, le associò ai tre colpi di martellone che abbattono l’eroe-Mahler nel finale della coeva sesta): il licenziamento da Generalmusikdirektor della Hofoper, la morte da scarlattina della piccola Putzi e la diagnosi della sua (pur blanda) disfunzione cardiaca. Sostenere che questi accadimenti abbiano in qualche modo determinato significativi interventi sulla sinfonia già ultimata sarebbe fuori luogo, certo è che Mahler (come del resto faceva abitualmente) apportò all’opera diversi ritocchi in vista della prima, e altri ancora dopo le successive esecuzioni del 1909.

È la sinfonia ancor oggi meno compresa (e quindi anche poco eseguita) di Mahler: forse perché, dopo le notevoli innovazioni portate (in senso positivo) dalla quinta e (in senso involutivo) dalla sesta, qui sembra che il compositore senta quasi il bisogno di ritornare indietro, magari proprio alla quinta, ma in realtà anche alla sua terza e addirittura alla seconda. Di quest’ultima (come della quinta) mantiene quasi identica la macro-struttura: due movimenti estremi, fra loro labilmente collegati dal ritorno del tema principale, e tre movimenti intermedi (due andanti e uno scherzo) che paiono quasi fuori dal contesto (ed infatti le due Nachtmusik furono composte per prime nel 1904, assieme al completamento della sesta, un anno prima dei restanti tre movimenti).

Qui non ci sono voci umane, ma il programma interno richiama assai (oltre che la quinta) proprio la Auferstehung, magari vestendo l’abito borghese e tenendo un approccio laico: fatto sta che veniamo condotti su un percorso che potremmo chiamare dalle stalle alle stelle. In effetti si inizia quasi con un calvario (anche se non è proprio il mortorio della Totenfeier, nè lo spettrale richiamo della trombetta della quinta, ma poco ci manca): tutto il primo movimento lascia trasparire uno sforzo continuo per scalare impervie asperità, in cerca di qualche provvisorio altopiano dove respirare aria pulita. Il MI maggiore che lo chiude sembra un anticipo della serenità che verrà progressivamente avvicinata dalla seconda Nachtmusik e raggiunta nello smagliante DO del Rondo conclusivo.

Ecco poi la prima Nachtmusik, costellata da marce ora faticose, ora più scorrevoli, sempre oscillante fra maggiore e minore (come si sente la vicinanza di composizione con la sesta…) È un ambiente che richiama vagamente quello dei Berlioz-iani pellegrini dell’Harold, qui in più ci sono anche dei campanacci (come nella precedente sinfonia) pur se limitati a pochissime battute.

Segue il cupo scherzo, una specie di sgangherato walzerone da halloween, che rivaleggia in bizzarria con la predica di SantAntonio ai pesci della seconda (quello della quinta, diciamolo pure, è al confronto di livello nobile).

Una nuova Nachtmusik comincia ad introdurre un po’ di pace e serenità, anche se siamo più al Prater che al Musikverein, con tanto di chitarra e mandolino (meno pacchiani, peraltro, del martellone della sesta, trattandosi pur sempre di strumenti a corda).

Da ultimo arriva il Rondo, che contiene dentro di sè molto teatro (e non parlo dei Meistersinger, né della Vedova Allegra, che pure vi aleggiano chiaramente) e chiude la sinfonia, dopo un preoccupante ritorno del primo tema del movimento iniziale, in modo quasi esilarante, come a voler esorcizzare (proprio mentre quelli materiali si eran già fatti vivi) i fantasmi – tutti di natura estetica! - che Mahler si era inventato nella sesta.

Lascio infine alle parole di Ugo Duse il giudizio su quest’opera:  

È una grande sinfonia che vuoI essere sentita al di fuori completamente della linea di evoluzione delle altre. In tal senso essa è il punto di approdo della Sesta e nello stesso tempo ne è la critica più verosimile e spietata.

Non si rinnega il proprio mondo impunemente; chi è stato mandato sulla terra non tanto per comporre, ma per essere composto dalle voci di natura, perché in lui siano indimenticabili segnali di un'acustica rifiutatasi alla manipolazione musicale ma che, purificata, in essa s'inserisce come fondamento ontologico inalienabile; chi è stato mandato sulla terra per copiare la natura e ha preteso poi di soggettivare la musica sino a farla aderire al proprio corpo, al proprio esistenziale problema, in un gesto che sa di rivolta biblica; costui deve conoscere le vie dell'espiazione.

E l'espiazione deve assumere i caratteri altrettanto irrazionali della colpa. La Settima infatti non è una riconciliazione di Mahler col mondo del primigenio, col bosco sotto le stelle, coi fruscii della notte; è il bagno nella proiezione popolaresca della natura, la preghiera per rientrare in contatto diretto, immediato con essa. La Settima è un grande grido di dolore scaturito dalla necessaria illusione di riconquistare la perduta innocenza attraverso il ludibrio della più profonda depravazione.

Chi ha potuto lasciarsi deviare tra le luminose costellazioni della semplicità apollinea, fatte d'intricate, complesse, difficili virtù, per battere le vie del proprio dolore, della propria ira, del proprio sentimento assolutizzato, deve ora andare sino in fondo senza infingimenti, senza veli, senza mendicare scuse.

Questa è la Settima Sinfonia e sotto il profilo morale è opera d'arte quanto lo sono le Confessioni agostiniane. Sfugge al giudizio estetico perché grande è la sua moralità ma non avvertibile, o per lo meno difficile a provarsi. Bella e ripugnante a uno stesso tempo partecipa in qualche modo dell'estetismo morale, non moraleggiante, del Dorian Gray.
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Com’è andata ieri sera? Beh, la congiunzione astrale che ha condensato in una giornata come questo 1° maggio a Milano tanti accadimenti (economici, politici, di costume e di… scostume) forse non ha giovato alla miglior resa del concerto.

Axelrod, che mi era assai piaciuto nella Quinta, ieri mi è parso poco a suo agio con questa Settima che è obiettivamente difficile da rendere al meglio: temo che l’eccesso di decibel che ha dispensato (soprattutto nei movimenti esterni) abbia mascherato una certa insicurezza da parte sua; discreta peraltro la resa delle due musiche notturne. I ragazzi al solito hanno cercato di dare il meglio, in specie gli ottoni, impegnati allo stremo da Mahler. Purtroppo però proprio fra gli ottoni si è registrata una défaillance non da poco: il corno tenore, che ha un ruolo di grandissimo rilievo nel primo movimento, proprio scandendo la frase iniziale ha prodotto un suono piuttosto rauco e sgradevole, e poi alla battuta 33 ha chiaramente mancato la terzina di biscrome (arpeggio ascendente di RE maggiore) che è forse il passaggio più impegnativo per l’esecutore (in questo caso… esecutrice): si perdona ovviamente tutto, ma al momento il disappunto è stato grande.

Il pubblico (abbastanza scarso rispetto alla media, forse proprio causa ponte-expo-blackbloc) ha comunque apprezzato assai distribuendo applausi a tutti. Personalmente mi è rimasto un po’ di amaro in bocca: sono certo che domenica (un 3 maggio qualunque…) le cose andranno decisamente meglio.
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Proviamo a seguire la Sinfonia facendoci guidare da Claudio Abbado (a Lucerna, 2005).

Il primo movimento (Langsam, 4/4, SI e MI minore) è in forma sonata, come sempre piuttosto liberamente interpretata. Vi riconosciamo un’introduzione, con almeno tre motivi diversi, l’esposizione di tre temi, un grande sviluppo, la ripresa e la coda.

46” L’Introduzione è aperta sommessamente da archi e legni con figurazioni marziali in metro dattilo… esasperato (croma puntata + 2 biscrome) sulla triade di SI minore (SI-RE-FA#) arricchita però della sesta SOL#. Il primo motivo dell’Introduzione è costituito da diverse sezioni, esposte da diversi strumenti. A 55” Il corno tenore espone la prima:

A 1’06” oboi e clarinetti rispondono con la seconda, cui ancora fa seguito (1’19”) una terza nelle trombe e (1’30”) una quarta negli strumentini e poi (1’44”) una quinta, assai corposa, col corno tenore a contrappuntare l’intervento dei primi violini. È lo stesso corno tenore a chiudere questo primo disegno con l’incipit del tema.

Ora (2’20”) i legni presentano un secondo motivo dell’Introduzione:


Esso, rinforzato poi dagli archi, è importante da ricordare, poiché anticipa il terzo tema dell’Esposizione. Si arriva così ad un terzo motivo dell’Introduzione (2’41”) che è pure anticipatore del primo tema dell’Esposizione, che udremo tra breve. A 3’00” torna il corno tenore per esporre una variante in RE maggiore del primo motivo, completata (3’16”) dalle trombe. A 3’27” sono gli archi, poi i fiati, a riprendere la transizione che porta ad un crescendo (3’41”) che chiude l’Introduzione e senza soluzione di continuità porta alla successiva…

Esposizione, in Allegro risoluto, aperta (3’51”) da corni e violoncelli, con il primo tema, in MI minore:
Tema subito ripetuto (4’07”) e chiuso (4’14”) da un’impertinente irruzione della trombetta. A 4’21” compare una variante in SI maggiore del primo tema, esposta dai violini, seguita da un’altra (4’48”) in MI in fiati, viole e celli. Tutto ciò porta ad una cadenza che sposta la tonalità a DO maggiore, sulla quale viene esposto (5’14”) il secondo tema:
È una lunga melodia nei violini, che sale (6’02”) fino all’acutissimo FA#6, prima di essere bruscamente interrotta dall’incipit del primo tema (trombe, a 6’05”). Il terzo tema, come detto, è figlio del secondo dell’Introduzione, e lo si ode da 6’08”, con il compito di condurci rapidamente alla chiusura dell’Esposizione. 

A 6’26” ha infatti inizio il lungo e complesso Sviluppo, che si può suddividere in tre sezioni (o in due, a seconda di dove si posiziona l’inizio della Ripresa…) La prima sezione è occupata da una variante (inversione) del primo tema che poi ricompare (6’43”) nella sua originaria forma. A 6’53” ritroviamo la variante del primo tema che ne accompagna una del primo dell’Introduzione, chiuso dal corno tenore. Il secondo motivo dell’Esposizione si contrappunta poi (7’31”) rallentando i tempi (Moderato) ad una variante del primo, quindi ancora (7’54”) tornando al tempo Allegro, spezzoni del primo tema e del secondo dell’Introduzione portano a chiudere la prima sezione dello Sviluppo.

La cui seconda sezione, che si apre a 8’10”, è costituita da frammenti dei primi due temi dell’Introduzione e dell’Esposizione. A 8’45” ancora questi temi subiscono nuove trasformazioni, finchè (9’09”) non subentra improvvisamente una gran calma, con la tromba che ripete pianissimo, in SIb, il ritmo marziale dell’esordio e introduce una prima oasi di pace, dove (9’29”) si distingue un inciso nei flauti che tornerà successivamente:
Dopo due irruzioni dell’oboe, su frammenti del primo tema, la quiete viene rotta (9’51”) dal ritorno del primo tema nel corno inglese, contrappuntato da una sua variante nei violino solo. Ma gli oboi (10’21”) ci portano verso un’altra oasi di calma, introdotta (10’28”) da un’irruzione del clarinetto, poi da arpeggi delle trombe, e  quindi da apparizioni dell’inciso nei flauti, mentre i violini accompagnano in sordina e gli altri archi irrompono due volte con spezzoni del primo tema.

Si arriva quindi a 11’23”, dove ottoni e violoncelli con 4 battute di corale modulano a SI maggiore per introdurre un’incantevole visione (11’38”): sugli arabeschi delle due arpe e sul contrappunto dell’inciso dei flauti, ora esposto anche da oboi e corni, i violini con l’ottavino sviluppano ampiamente il secondo tema, contrappuntati dal primo e da quelli dell’Introduzione.

La progressione è davvero emozionante e culmina (12’51”) su un DO acuto nei violini, da cui si ricade per tre ottave e si arriva (13’04”) alla terza sezione dello Sviluppo (o ad una falsa-partenza della Ricapitolazione!): qui aizzati dai violoncelli (13’12”) il primo tema dell’Introduzione e i primi due dell’Esposizione vengono plasmati in una stupefacente sequenza, protagonisti tromboni e corno tenore:


La quale sfocia (14’13”) in una lancinante perorazione di violini e strumentini, basata sul secondo tema e poi sul primo dell’Introduzione:

A 14’27” ancora il corno tenore riprende spezzoni del primo tema dell’Introduzione, quindi i violini il secondo dell’Esposizione, portando in crescendo ad una cadenza che chiude definitivamente lo Sviluppo.

A 15’16” ecco la Ripresa, con il primo tema attaccato a lunghezza doppia (Maestoso) da corni e tromboni ma poi tornato a lunghezza normale, che porta prima ad una progressione (15’27”) con interventi di legni e archi bassi e infine sfocia (15’40”) in un Grandioso in Mi maggiore che tornerà (in DO) nel Finale della Sinfonia. Il tempo torna Allegro (16’01”) e torna anche il primo tema nella forma quasi originale, seguito (16’15”) dalla sua variante in SI maggiore. Poco dopo (16’49”) ancora il primo tema, ora in SOL minore, conduce alla riesposizione (17’06”) del secondo tema, in SOL maggiore, reiterato ancora (17’46”) e portato, con le ardite scalate, alla sua completezza fino a sfociare (18’14”) nel terzo tema, che conduce alla chiusura della Ripresa.

A 18’27” ha inizio la Coda, in tempo 3/2, dove il primo tema viene sbozzato da trombe e tromboni in un’orgia di suoni di archi e strumentini, dove appaiono anche frammenti del primo tema dell’Introduzione. A 19’00” si presenta nei violini la variante del primo tema, il quale (19’15”) torna in MI minore nei violini e poi nei tromboni.

A 19’50” si torna in tempo Allegro e 4/4 tagliato, con il primo tema in MI minore e la sua variante; un ultimo rallentamento (20’06”) fa prender fiato per il rush finale (20’12”) e la secca chiusura con la variante del primo tema, in MI maggiore. 
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La prima delle due Nachtmusiken si presenta come un Rondo, con la seguente macro-struttura: Introduzione-A-B-A-C-A-B-A-Coda, dove la sezione A è in forma marziale, B e C sono dei Trii (nel dettaglio vedremo come la struttura sia assai più articolata). La tonalità principale è DO, con continui passaggi da maggiore a minore (eredità chiara della Sesta, completata insieme ai due notturni della Settima) mentre i trii sono rispettivamente in LAb maggiore e nella relativa FA minore.

20’36” Il corno (di Alessio Allegrini) attacca il motivo dell’Introduzione, che anticipa il tema principale della sezione A. Gli risponde, con la sordina, come un eco lontano, il terzo corno e fra i due udiamo ancora un botta-e-risposta, chiuso dal primo sulla sopratonica RE; poi (21’06”) oboe e clarinetto entrano con melismi, sui quali il corno inglese ripete la frase iniziale; si uniscono altri due clarinetti e poi la frase introduttiva passa al fagotto; qui (21’31”) si aggiungono i flauti con trilli sulla dominante SOL, mentre è la tuba a reiterare due volte il motivo iniziale. L’atmosfera si fa sempre più incandescente e il tempo serrato, fino all’esplodere (21’47”) di due battute (dove il DO maggiore trascolora in minore) caratterizzate da velocissime discese dei fiati e poi degli archi bassi.

Ecco ora (21’51”) il primo corno (imitato dai violoncelli a distanza di una battuta) esporre il tema principale della sezione A, che ripercorre il motivo dell’Introduzione ma, invece di salire all’ottava, passa cromaticamente dalla dominante alla sesta per poi ricadere sulla tonica, dalla quale riparte per completare un lungo percorso melodico:

A 22’14” i primi violini rispondono con un controsoggetto che chiude la frase. A 22’42” ecco in contrabbassi e controfagotto-fagotti un nuovo e cupo motivo marziale, che Mahler si premura di segnare Non strascicando, ma che in effetti appare come un procedere faticoso e pesante; il timpano (22’57”) sembra voler richiamare all’ordine, ma ancora senza risultato, finchè un suo nuovo intervento (23’15”) porta alla riesposizione del tema principale, questa volta negli archi imitati dai legni bassi. Tema e controsoggetto vengono a completare la sezione A.

A 24’11” ecco il primo Trio (sezione B del Rondo) con il tema affidato ai violoncelli, che partendo dal precedente DO, preso come mediante, portano la tonalità a LAb maggiore:
Il tema è preso poi in carico dai violini e infine chiuso dagli strumentini. A 24’44” ne udiamo una variante che modula alla dominante MIb. A 25’09” in oboi e flauti abbiamo una transizione che rimodula a LAb e qui (25’19”) abbiamo un nuovo motivo, che si chiude a 25’50” sulla ricomparsa del corno che intona quello dell’Introduzione. Ora abbiamo una transizione, protagonisti corni, poi violoncelli, quindi i legni, che porta alla seconda ricorrenza della sezione A del Rondo (26’48”) protagonisti i corni e, nella seconda parte, i violini.

Si arriva poi al secondo Trio (sezione C del Rondo): siamo in FA minore e la sezione è costituita da due parti inframmezzate dal tronco finale dell’Introduzione. A 27’41” sono principalmente flauti e oboi ad esporne il motivo assai dimesso e piangente:

che sfocia (28’28”) nei trilli dei flauti già uditi nell’Introduzione e poi nella caduta DO maggiore-minore, qui solo negli archi, con il resto dell’orchestra a far riempitivo. Torna il motivo del trio (28’52”) che poi va progressivamente a spegnersi, frantumandosi in una serie di interventi isolati di diversi strumenti, fino (30’07”) agli squilli della tromba, dell’oboe e del clarinetto che i flauti riprendono per riportarci alla terza apparizione della sezione A del Rondo (30’21”). Ora però c’è una sorpresa: dopo l’esposizione della prima sezione del tema, eccone una del tutto nuova, in MIb maggiore (30’43”):

che si inserisce prima della seconda sezione, ripresa a 31’03” e riesposta completa in tutte le sue componenti.

A 31’59” ecco la seconda apparizione della sezione B del Rondo, sempre in LAb maggiore, sfociante (32’33”) sulla dominante MIb per poi tornare a LAb fino a spegnersi sulla mediante DO negli oboi. A 33’20” il corno torna a far sentire il suo richiamo iniziale: gli rispondono clarinetto e oboe, che aprono l’ultima apparizione della sezione A del Rondo (33’31”) non in DO ma in LAb, che però qui è incompleta, partendo dalla sezione mediana introdotta nella precedente apparizione.

A  34’24” riecco il richiamo del corno, che apre la conclusiva Coda, che mutua la prima parte dall’Introduzione, con i clarinetti in bella vista, per poi spegnersi con una discesa di terzine in pizzicato nei violini, due sordi colpi di piatti e tamtam e il SOL in armonici dei violoncelli.
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Lo Scherzo (3/4, RE minore) reca l’agogica Schattenhaft, letteralmente ombroso, ma anche, volendo, fantomatico. Ha una struttura apparentemente semplice (Scherzo-Scherzo-Trio-Scherzo-Scherzo) ma in realtà è (come tutto in Mahler) assai articolato.

La prima ricorrenza dello Scherzo presenta (35’57”) l’Introduzione, dove timpani e archi bassi in pizzicato, poi corni, clarinetti e flauti smozzicano i frammenti del ritmo di walzer. Il primo motivo (36’12”) è esposto dai primi violini:

 
Motivo che viene sviluppato ulteriormente (36’12”) da archi e legni, fino a sfociare – a 36’35”, contrappuntandolo – in un secondo tema, una specie di accorato lamento (non per nulla notato come klagend) del flauto:


Ecco poi (36’50”) un repentino passaggio a RE maggiore, dove udiamo un nuovo motivo, di una gaiezza un po’ equivoca, che chiude la prima esposizione:


Subito lo Scherzo viene riproposto (37’08”) a partire dall’Introduzione, seguita dal primo tema (37’22”) e dal suo sviluppo, quindi (37’42”) dal secondo in forma ridotta e poi (37’50”) dal terzo, che insieme al secondo viene sviluppato assai, portando (38’33”) ad una Coda-transizione verso il Trio.

Il quale è in RE maggiore e presenta (38’51”) negli oboi un primo tema:

seguito (39’01”) da un controsoggetto e ancora (39’24”) da un nuovo motivo che è parente di quello dell’Introduzione della Sinfonia.

Dopo che (39’50”) gli archi hanno esposto un lungo ostinato, culminato (39’57”) in un’enfatica perorazione, il Trio si chiude (40’01”) con un ultimo motivo, strettamente derivato dal primo:
Abbiamo ora (40’33”) una transizione in MIb minore, in cui udiamo diversi spezzoni di motivi già presentati, che ci porta con un secco colpo di timpano (40’49”) alla prima ripresa dello Scherzo, con Introduzione, primo tema nella viola solista (41’08”) e suo sviluppo, secondo tema (41’41”) e poi terzo (41’55”) che si contrappuntano.

L’ultima ripresa dello scherzo (42’35”) ha una struttura abbastanza anomala, comprendendo motivi provenienti dal Trio. Ha un’introduzione brevissima, seguita (42’40”) dal primo tema, poi da una variante del secondo che si accompagna all’ultimo tema del trio. Poi (43’01”) del Trio udiamo la seconda sezione del primo tema e quindi (43’20”) anche il secondo nel corno inglese. 

Una nuova comparsa (43’40”) nei violoncelli del terzo tema del Trio porta direttamente alla Coda, che chiude in modo davvero spettrale (colpo di timpano seguito da triade di RE maggiore in pizzicato nelle viole) questo grottesco movimento di sinfonia.
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La seconda Nachtmusik è una serenata (2/4, FA maggiore, Andante amoroso). Ha una struttura definibile come pseudo-forma-sonata: esposizione, sviluppo e ricapitolazione. Ma come ogni serenata che si rispetti ha un suo ritornello che ricompare di continuo a separare i diversi motivi che la compongono. Esso viene subito (44’39”) esposto dal violino solista ed è seguito da un motivo di accompagnamento nel clarinetto, che assumerà anche un ruolo tematico, e dagli accordi della chitarra:

Il corno espone (44’54”) il primo dei quattro temi principali della serenata; gli risponde (45’02”) l’oboe con un controsoggetto derivato dal motivo di accompagnamento:

 
Il primo tema viene subito (45’10”) reiterato dal corno e il ritornello (45’21”) del violino lo separa dal secondo tema, esposto (45’30”) dai violini:

e chiuso dall’oboe, col ritornello (45’44”) ora esposto dal violoncello solo. Altro ritorno nel corno (45’49”) del tema principale, ora arricchito nella parte conclusiva, con il ritornello (46’13”) che lo separa dall’esposizione, nei violini (46’22”) del terzo tema:


Un crescendo sonoro ci porta (46’56”) ad una nuova esposizione, questa volta nell’oboe, del primo tema, contrappuntato nei violini dal terzo. Segue una lunga transizione caratterizzata dal primo tema arricchito e variato.

A 47’35” possiamo collocare la chiusura dell’Esposizione e l’inizio dello Sviluppo, dove il primo tema viene, per così dire, sviscerato nei suoi dettagli, in un’atmosfera davvero rarefatta, dove chitarra e mandolino fanno sentire la loro presenza. Dopo una transizione a LA maggiore, si modula a LAb e a 48’40” ricompare il terzo tema nei violini, che lo sviluppano fino a 48’59” dove una sospensione della melodia prepara il ritorno del primo e poi del terzo tema che conducono ad un crescendo (49’10”) dove spezzoni dei due temi si contrappuntano energicamente (si noti l’intervento del corno) per poi tornare lentamente ad acquietarsi con una lunga cadenza in cui chitarra e mandolino ancora si distinguono. 

Si arriva quindi a 49’56”, dove possiamo identificare una specie di Trio, basato su un quarto tema, in SIb maggiore, inizialmente presentato dal violoncello solo:
Tema che viene arricchito nella melodia dal corno (50’09”) in contrappunto con i violoncelli. Un ulteriore sviluppo del tema è introdotto (50’38”) dagli archi, in MIb minore, con interventi del mandolino, poi (51’07”) torna, adesso in FA maggiore, il tema del Trio, che viene sviluppato in modo quasi eroico, con un culmine a 51’35” da cui si degrada verso un alleggerimento del suono, con l’intervento dell’arpa che porta a modulare prima a RE e poi (nell’oboe) a LA maggiore.

Con un brusco ritorno al FA (52’15”) i violini ripropongono il ritornello, ora in dimensioni allargate, segnalando l’inizio della Ricapitolazione. Ricompare quindi (52’25”) il tema principale nel corno, cui subentra il violino, poi ancora il corno il cui tema sfocia nel ritornello (variato). A 53’00” ecco il secondo tema, negli archi, quindi ancora (53’14”) il ritornello, nel violoncello. Torna il corno (53’19”) con il primo tema chiuso da un’ennesima ricomparsa, sotto mentite spoglie… del ritornello (53’43”).

A 53’51” riecco il terzo tema, che adesso viene sviluppato in modo drammatico, con un poderoso crescendo che ha culmine a 54’15”. Subito dopo (54’19”) ecco l’oboe esporre il tema principale, spalleggiato poi dal clarinetto e quindi dall’accompagnamento di flauto e violini. A 54’35” l’ultima comparsa del primo e del terzo tema, che si trasferiscono dai legni agli archi, poi ancora ai legni, con i corni a tenere bordone e la chitarra a ribadire i suoi accordi. 

A 55’12”, introdotta dal corno inglese, ecco la stupefacente Coda, con il clarinetto che chiude in modo davvero mirabile la serenata.  
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Il Rondo finale è un autentico rompicapo, tanto inafferrabile ne è la struttura: dove si può vedere un simulacro di forma-sonata, con una doppia esposizione, lo sviluppo e la ripresa; oppure una bizzarra forma di rondo (A-B-A’-A-C-A”-A-D-A’”-A””-A). Gli studiosi preferiscono quindi parlare di Durchführung (sviluppo) permanente o di applicazione del principio di variazione perpetua. I denigratori di Mahler vi trovano pretesti a josa per irridere al suo velleitarismo da strapazzo…

Un assolo di timpani, sulla triade di MI minore, lo apre (56’16”) subito imitato nel suo gesto – trilli compresi - dal pacchetto dei corni:


Ecco ora (56’27”) il tema principale, esposto dagli ottoni, in un’atmosfera da Meistersinger, con la trombetta in evidenza:

Subito dopo (56’42”) archi e ottoni espongono - accompagnati da velocissime volate di semicrome negli strumentini - altre varianti del tema, fino a quando, su un tempo Pesante,  non compare in orchestra (56’58”) un secondo motivo:

che poi viene sviluppato ulteriormente fino a culminare (57’40”) in un’esilarante cadenza, la stessa che chiuderà poi la Sinfonia, ma che adesso, dopo l’accordo di DO maggiore porta repentinamente, tramite sesta napoletana, a LAb.

Qui (57’55”) inizia la sezione B del Rondo e vi fa subito capolino negli oboi una simpatica conoscenza degli amanti dell’operetta: la Vedova allegra!

Sono i violoncelli (58’01”) a sviluppare poi il tema, seguiti (58’28”) dagli strumentini, che portano alla conclusione della sezione e alla tonalità di DO. Gli ottoni (58’44”) ripropongono una variante del tema principale, aprendo la sezione A’ del Rondo dove troviamo, anticipato dagli strumentini, un nuovo motivetto (59’23”) che conduce ad una transizione verso l’autentica sezione A, attaccata dagli ottoni (59’57”) che ripropongono il tema principale, seguito poi dalle altre sue varianti.

La sezione C del Rondo  ripropone in viole e celli (1h00’50”) il tema di… Lehar assai variato ed elaborato insieme ad altri motivi, fino all’approdo ad una nuova sezione A” (1h01’57”) che si presenta assai complessa ed articolata, con numerosi cambi di agogica e tonalità (LA maggiore) e richiami di diversi motivi già ascoltati.

Torna (1h04’17”) in DO maggiore la sezione A del Rondo che presenta varianti dei temi principali. Una modulazione a LA maggiore porta al completamento di questa sezione, che cede il passo, su un’ardita modulazione a SOLb maggiore (1h05’22”) alla sezione D del Rondo nella quale torna a farsi subito sentire la… Vedova, che si vede poi ripresa in tutte le… pose musicali.

Si arriva così (1h06’46”) ad una nuova sezione A”’ del Rondo, che inizia col tema principale in SIb maggiore per poi divagare assai, manipolando i diversi motivi e mutando spesso il tempo e la tonalità, infine riportata a DO.

Un’altra sezione (A””) del Rondo è aperta (1h08’58”) dal tema principale negli ottoni, in RE maggiore, ma poi ecco un’inaspettata irruzione (1h09’08”): ritorna infatti minaccioso, in RE minore nei corni, il primo tema del movimento iniziale, subito dopo ripreso in DO# minore e successivamente ancora (1h09’29”) in DO minore dai violini. Segue una transizione vin tempo scorrevole che porta ad un momento solenne (1h10’09”) con il tema del movimento iniziale suonato in REb maggiore dalle trombe, lieto presagio di ciò che avverrà fra poco.

Una transizione in cui spezzoni dei vari motivi vengono a contatto e spesso a scontro fra loro porta verso l’ultima sezione A del Rondo (1h11’12”) che vede ancora protagonista le trombe nell’apertura, poi tutta l’orchestra espone il tema principale con grande energia. Torna in tutta l’orchestra (Pesante) anche il secondo tema (1h11’41”) prima che i corni (1h11’52”) con campana in alto ripropongano una variante del tema principale, in contrappunto con le trombe. Ancora archi e legni accompagnano la tuba che dà il suo contributo al tema, prima dell’apoteosi conclusiva.

Che si raggiunge con la trasfigurazione, principalmente nei corni, del cupo tema iniziale della sinfonia da minore a maggiore (1h12’38”) che porta rapidamente alla chiusura – quasi uno sberleffo – di questa nobile mappazza.
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PS: chi vuole gustarla… con comodo, può chiedere aiuto a tale Otto Klemperer!