Tradotto:
libertà di pensiero.
07 dicembre, 2014
06 dicembre, 2014
La Lady sovietica a Bologna, per pochi intimi
Ieri sera è
andata in scena al Comunale bolognese
la seconda (delle sei) della Lady Macbeth di Dimitri Shostakovich. Purtroppo in un teatro semi-deserto, e
andatosi ulteriormente a desertificare durante i due intervalli. Che dire? Perle ai porci… oppure Shostakovich come Renzi?
Spettacolo
davvero eccellente quello della compagnia del Teatro Helikon di Mosca, arrivata qui con due cast che si
alterneranno regolarmente fino alla conclusiva del 10, accompagnati da
Orchestra e Coro del Comunale.
Il regista Dimitrij Bertman coglie in pieno lo
spirito dell’opera, sia a livello della personalità dei protagonisti (Katerina
in primis, una donna che non chiede altro che di essere amata) che a quello
della denuncia sociale di una società dominata dall’avidità e dallo
sfruttamento (dello schiavo e della donna). L’ambientazione è moderna, ma una
volta tanto ciò non nuoce per nulla all’efficacia e alla coerenza del racconto.
La scena (di Igor'
Neznyj) ha un fondo fisso, costituito da un labirinto di
condotte d’acqua: richiamo all’attività degli Izmailov, proprietari di un
mulino (con annessa diga e condotte forzate) ma anche alla condizione materiale
e psicologica di Katerina, ulteriormente sottolineata da una serie di gabbie
metalliche in cui la donna è spesso costretta a muoversi. Gabbie che bene
servono nel terz’atto ad ospitare gli invitati alla festa di matrimonio e
soprattutto nell’ultimo a rinchiudervi i carcerati destinati alla Siberia.
La fedeltà al
libretto è pressoché totale, se si escludono alcune libertà che il regista si
prende, come quella di far scardinare a Sergei la porta della camera di
Katerina in occasione del loro primo incontro carnale, oppure di far tornare
Zinovy accompagnato da due zoccole, o ancora di far ricomparire nel quarto
atto, solo per camminare in lungo e in largo nella prigione, i… cadaveri dei
due Izmailov. L’unica pecca (secondo me) da addebitare al regista è la comparsa
(da sotto le gonne di Katerina, durante l’ultima sua drammatica esternazione
del lago nero) di un bambolotto
simboleggiante evidentemente un figlio: riferimento chiaro, quanto improprio,
al contenuto del racconto di Leskov,
ma del tutto incomprensibile qui… a meno di non considerarlo una sconfessione
del programma etico e femminista di
Shostakovich e un dar ragione alle pretese della società (zarista ma non solo)
di ridurre la donna a puro strumento di riproduzione. La scena finale del tuffo
in acqua di Katerina e Sonetka è sempre problematica da rendere con efficacia:
anche qui niente tuffi, ma un altro sport: il tiro alla fune! Evabbè, scusato.
Ieri il ruolo
di Katerina toccava a Svetlana
Sozdateleva, che per me è stata assolutamente perfetta: innanzitutto
vocalmente, perché interpretare una parte così senza cadere nel volgare
(musicalmente parlando: urla e schiamazzi) è davvero difficile, e invece lei ha
sempre mantenuto un perfetto controllo dell’emissione. Così come eccellente è
stata la sua immedesimazione nella psicologia del personaggio.
Buono anche il
Sergei di Vadim Zaplechny, che forse
non è riuscito sempre ad imporre la sua voce (ad esempio nella scena delle
molestie ad Aksynia).
Dei due
Izmailov il vecchio Boris (80 anni!) sembrava più giovane del 50enne figlio (!)
Comunque il padre (Dmitrij Skorikov) ha
mostrato autorevolezza sia nel canto che nel portamento superiore a quelle del
figlio (Dmitrij Ponomarev) il che
tutto sommato quadra con testo e musica!
Maja Barkovskaja
impersonava la cuoca Aksynia: efficace nella voce; forse troppo, come dire…
arrendevole nella scena delle molestie (l’avvocato dei molestatori avrebbe buon
gioco a farli assolvere!)
Eccellente il
capo dei poliziotti (Alexandr
Miminoshvili) che ha anche messo in mostra doti di showman durante il trascinante
quanto satirico balletto del
terz’atto alla stazione di polizia.
Stanislav Shvets
impersonava il prete e il vecchio carcerato (nel finale): come prete mi è parso
poco… brillo, ecco! Efficace la sua accorata cantilena sulla strada verso la
Siberia.
Personalmente
non ho troppo apprezzato il contadino cencioso (e ubriaco) di Mikhail Serishev, che nel terz’atto
canta una vera e propria aria: a
parte che il regista gli ha messo in mano un microfono da balera, è la sua voce
ad essermi parsa inadeguata alla sarcastica drammaticità del ruolo.
Stesso
discorso per la Sonetka di Ksenia
Vjaznikova, poco efficace vocalmente, quanto… gnocca fisicamente (!)
Sorvolo sui
comprimari, non certo per biasimo, ma per non scrivere ovvietà.
Invece un
bravo all’Orchestra del Comunale e
soprattutto al Coro di Andrea Faidutti,
perfettamente all’altezza sia della parte vocale che di quella mimica.
Vladimir Ponkin è il
concertatore dello spettacolo: mi è parso cercare l’enfasi in tutti i sensi:
nei grandi momenti d’insieme (gli interludi, ad esempio) dove ha cavato suono e
fracassi strepitosi da un’orchestra che aveva sì e no un terzo dell’organico
previsto da Shostakovich (!) e tenendo tempi fin troppo sostenuti in altri
momenti (esempio la scena finale del terz’atto). In ogni caso, una direzione
encomiabile e segno di grande dimestichezza con questa ostica partitura.
Ecco, a parte
le poltrone e i palchi vuoti… una serata da incorniciare.
05 dicembre, 2014
Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 12
È ancora il
rampante Jader Bignamini a salire sul
podio dell’Auditorium per dirigere un concerto… operistico (ormai lui si sta dando sempre di più al teatro!) affiancato al
proscenio dall’albionica-cangura (e ora anche un po’ italiana, quindi assai
meno… snella di una cangura, smile!) Jessica Pratt.
Concerto
anticipato rispetto al calendario per dar modo al Direttore di volare a Mosca,
dove l’8 dicembre dirigerà il Requiem verdiano.
L’impaginazione
prevede un alternarsi regolare di una Sinfonia e di un’Aria (o poco più) da
opere di: Rossini, Bellini, Meyerbeer, Verdi e Donizetti. Le arie sono
ovviamente depurate delle parti che prevederebbero interventi di cori o altri
personaggi.
L’Orchestra
si conferma in stato di grazia e in perfetta simbiosi con il suo Direttore,
sciorinando esecuzioni impeccabili delle cinque Sinfonie. Strepitoso il
pacchetto dei 5 violoncelli, guidato da Tobia
Scarpolini, nell’apertura del Tell, dove si è poi messa in luce Paola Scotti nell’impervio passaggio del
corno inglese; da incorniciare anche l’attacco dei primi violini della Luisa
Miller, un pianissimo davvero
emozionante. Ma benissimo anche Norma,
Africaine e Roberto Devereux.
La Pratt,
che si è presentata in un lungo (e
largo, smile!) nero, ha iniziato con
Amenaide in Come dolce all’alma mia
dal Tancredi:
sarà stato l’attacco a freddo, fatto sta che i virtuosismi (Voglia il ciel) non sono stati proprio
impeccabili. Poi molto meglio invece la Elvira dei Puritani, chiusa dal
primo di una serie di MIb acuti che sfoggerà nella serata. Convincente anche
come Marguerite in Les Huguenots (Oh beau
pays de la Touraine) a dispetto di una falsa ripartenza su
A ce mot tout s’anime, che poi si fa
perdonare schioccando il RE acuto conclusivo.
Dopo l’intervallo la Pratt si è ripresentata
con un abito più chiaro e assai meno dotato di… ehm, balconatura, per Verdi e Donizetti. Discreto, ma non entusiasmante,
il suo Caro nome dal Rigoletto;
eccellente invece la Lucia (Il dolce suono; Ardon gl'incensi; Spargi d'amaro pianto) chiusa da un lungo e pulito MIb acuto. Qui
Massimiliano Crepaldi l’accompagna splendidamente con il suo flauto, meritandosi
da Bignamini una chiamata al proscenio.
Un primo bis vede la Jessicona scatenarsi come
Cunegonda nel bollente Glitter and be gay dal
Candide
di Bernstein, anche questo infarcito di MIb, in cui accenna anche la scenetta
dei gioielli con l’impacciatissimo Bignamini. Poi ripete il MIb di Donizetti.
Pubblico – tutt’altro che oceanico – in delirio.
04 dicembre, 2014
Fidelio: arrivano i nostri?
Leonora (rapida
trae dal petto una piccola pistola e la punta contro Pizarro)
Ancora una parola, e sei morto!
(Si
sente la tromba dalla torre.)
Leonora (getta le braccia al collo di Florestano)
Ah, tu sei salvo, gran Dio!
Florestano
Ah, son salvo, gran Dio!
Pizarro (stordito)
Ah, il ministro! Inferno e morte!
Rocco (stordito)
Oh che avviene? giusto Dio!
(Si sente più forte la tromba. Pausa.)
___
Questo è il classico Höhepunkt
dell’opera: mentre Leonora punta la sua pistola al petto del sanguinario
giacobino, ecco che arrivano i nostri! salutati ovviamente - non si potrebbe
immaginare altro – dallo squillo di una trombetta:


Che si ripete poco dopo, con più forza ancora. Come si vede, Beethoven già
duecento (o poco più) anni fa aveva inventato lo stereotipo dei più
spettacolari (e pure beceri) film del Far-West.
Quello che ad un ascoltatore distratto potrebbe sfuggire è che però gli
squilli in questione non provengono dallo strumento del trombettiere che accompagna la carica dei nostri, ma da quello di un tirapiedi del cattivone Pizarro! Il quale tirapiedi era stato incaricato dal
capo di avvertirlo in quel modo non appena avesse visto il corteggio del
Ministro (i nostri, appunto) arrivare
lungo la strada da Siviglia. E in effetti le circostanze non sono precisamente
quelle dell’arrivo di gran carriera di un manipolo di cavallerizzi in una nuvola di polvere: è una delle
massime autorità politiche che viene al penitenziario – comodamente in carrozza e con tanto
di scorta - per farvi un’ispezione sul trattamento dei detenuti.
Se poi guardiamo il motivo da vicino, in effetti scopriamo che non ha né
un carattere guerresco, né solenne o
pomposo: ha piuttosto un che di sbilenco, di irregolare, specie nelle ultime battute, dove il trombettiere sembra quasi incespicare
sulle note per raggiungere in qualche modo la tonica SIb. Insomma, un segnale
suonato da qualcuno che probabilmente se la sta facendo sotto!
Questa mirabile forma del richiamo fu messa a punto da Beethoven in
occasione della seconda edizione dell’opera (1806, in due atti, come quella
definitiva) che vide anche la nascita della famosissima Ouverture Leonore 3, all’interno della quale il
segnale della tromba in SIb viene anticipato (sempre proposto per due volte).
(Sappiamo che invece l’Ouverture Fidelio,
dell'ultima versione del 1814, non contiene rimandi a temi dell’opera.)
Nella prima versione del Fidelio (1805, in tre atti) il richiamo della
trombetta è abbastanza diverso, tutto sommato più regolare e quasi
virtuosistico, quindi esteticamente e drammaturgicamente poco appropriato alla
particolare circostanza (ce lo vediamo il trombettiere spaventato dall’arrivo
del Ministro che si mette a fare arpeggi degni di un concerto di Hummel?)
Inoltre il motivo è leggermente diverso nella sua apparizione nel terz’atto,
rispetto a quella nell’Ouverture (la Leonore
2) come si può notare qui:


Nell’Ouverture
è in MIb, cade sulla dominante già a battuta 2 e chiude sulla tonica, mentre
nell’opera è in SIb (come nelle versioni successive) ma arpeggia diversamente sulla
triade e poi chiude sulla mediante.
___
E a
proposito di Ouverture, sappiamo che molti Direttori amano recuperare la
splendida Leonore 3 infilandola da qualche parte dentro l’opera. Le cronache fanno
risalire questa moda all’incirca al 1850: quando si cominciò ad eseguirla come ouverture
al secondo atto. Colà la posizionò anche Mahler nelle sue prime direzioni di Fidelio
(Praga 1886 e Lipsia 1887). Poi però, a partire da Amburgo (1891) le cambiò di posto,
poiché la sua debordante e ottimistica potenza contrastava troppo con la successiva buia scena
di Florestan incarcerato, e così cominciò ad eseguirla prima della scena finale
(con la quale si raccorda benissimo, sia come tonalità che come atmosfera) e con
questa scelta ha fatto molti proseliti fino ai giorni nostri. Personalmente
troverei la cosa del tutto inopportuna, non certo dal punto di vista musicale
(è una cosa straordinaria) ma da quello drammaturgico: 15 minuti di sosta fra
le ultime due scene, che Beethoven aveva tribolato come un matto per giustapporre
senza soluzione di continuità, sono davvero troppi, e in più rovinano proprio il
mirabile intervento della tromba, riproponendocene gli squilli dopo pochi
minuti e distruggendone così tutta la tensione drammatica.
Barenboim non farà questa forzatura,
ma in compenso ne combinerà un’altra, come a voler lasciare la sua pisciatina sui muri della Scala, nel suo
ultimo SantAmbrogio come Direttore Musicale: invece dell’Ouverture Fidelio
eseguirà la Leonore 2! Un suo
bisognino (smile!) abituale, avendolo
già fatto in un’incisione su CD e in un’apparizione di anni fa ai PROMS.
Naturalmente ciò dovrebbe portarsi dietro automaticamente anche l’inversione
dei primi due numeri: dopo il DO
maggiore dell’Ouverture, che con i suoi schianti finali resta inchiodato nell’orecchio
dell’ascoltatore, subito il DO minore dell’aria
di Marzelline, invece del lontanissimo LA maggiore del duetto Marzelline-Jaquino, che parte (coerentemente, in Beethoven!)
con la dominante MI con cui chiude l’Ouverture Fidelio. Così è nel CD con Domingo e così fu ai PROMS. Ma se leggiamo il libretto della Scala, che pure è ripubblicato per l’occasione, tanto
che cita la presenza della Leonore 2 al posto dell’Ouverture giusta, scopriamo che il numero di
apertura dovrebbe essere il duetto (?!?) e così pare sia stato eseguito alla generale.
Insomma: un guazzabuglio indecoroso (qui arrivano i… mostri!) Dico: se uno oggi vuol divertirsi a inventare tutti gli intrugli possibili e immaginabili con la musica del Fidelio, lo può fare a suo piacimento, e senza scomodare Barenboim e la Scala, semplicemente col suo computer di casa: che senso ha metter su queste arlecchinate per un SantAmbrogio?
Insomma: un guazzabuglio indecoroso (qui arrivano i… mostri!) Dico: se uno oggi vuol divertirsi a inventare tutti gli intrugli possibili e immaginabili con la musica del Fidelio, lo può fare a suo piacimento, e senza scomodare Barenboim e la Scala, semplicemente col suo computer di casa: che senso ha metter su queste arlecchinate per un SantAmbrogio?
03 dicembre, 2014
Una Lady sovietica è attesa a Bologna (3c)
Atto III,
scena VI
Pur essendo
passato – come si scoprirà tra non molto - pochissimo tempo dall’omicidio di
Zinovy, Katerina e Sergei già hanno organizzato il loro matrimonio; e il
fatidico giorno è arrivato.
1h40’40” Sono gli archi bassi ad aprire la scena con un motivo cupo e angosciato
(4/4 Andante) ripreso con maggior
concitazione dai primi violini: ci preannunciano di sicuro qualcosa di poco
piacevole.


1h41’02” Sergei vede Katerina inquieta proprio il giorno delle nozze; lei si aggira
davanti alla cantina in cui è sepolto Zinovy, afflitta da rimorsi e sensi di
colpa; l’amante cerca di tranquillizzarla e lei accetta di avviarsi verso la
chiesa per la cerimonia. Ma sulle sue ultime parole apparentemente serene (1h42’26”)
il clarinetto basso e il controfagotto esalano un motivo che ricorda
immancabilmente Boris (!)
1h42’41” Ecco ora l’improvviso attacco, in Allegro,
dei legni (ottavino, flauti, oboi e fagotti) annunciare l’irruzione sulla scena
del contadino cencioso, invitato alla festa e già completamente ubriaco. Il suo
canto, una vera e propria aria (ma ricca dei caratteristici hic! dello sbronzo) è
accompagnato dal fagotto e dal clarinetto in MIb, poi ancora dall’ottavino,
infine dai legni, dagli archi, poi dal resto dell’orchestra. Si aggira nel
cortile, dapprima quasi vantandosi del suo vizio dell’alcol, comune ad amici e
parenti, poi manifestando la volontà di bere per tutta la vita: bere e cantare,
almeno finchè c’è vodka. Ma perché (1h44’10”) la vodka adesso non c’è? Perché
lui è povero in canna, ma a qualcuno è andata meglio: Sergei era un poveraccio
come lui, ma adesso nella vodka ci nuota! Perché la padrona ha scelto Sergei e
non lui? Che ha pur tutti gli attributi a posto! Ah, bisogna bere, e la cantina
è proprio qui (1h44’57”): chissà perché la padrona ci si aggira spesso? Ci saranno
di certo buone provviste, proviamo a guardarci, chissà quanto vino ci si
ritrova!
1h45’23” L’ubriacone forza il catenaccio della cantina, apre ed entra, per subito
uscirne (1h45’36”) tappandosi il naso, disgustato dall’insopportabile
puzza! Si domanda cosa possa essere, quindi (1h45’59”) decide di
tornare dentro e vi scopre il cadavere di Zinovy (1h46’07”) scappando
quindi fuori inorridito. Senza soluzione di continuità attacca qui un nuovo
interludio.
Interludio IV
1h46’25” Riprende le ultime due battute della scena precedente (inizianti con
anapesti: doppia semicroma + semiminima) e poi prosegue per 52 battute in Allegretto (4/4).


Un’autentica
orgia sonora – cui partecipano ben 28
ottoni aggiuntivi alla già ipertrofica orchestra - che mirabilmente evoca
l’agitazione che pervade l’animo dell’ubriaco, in cui coesistono orrore,
terrore ma anche, forse, macabra soddisfazione ed esultanza per una possibile sua
rivincita sui due amanti: Sergei, che gli ha soffiato la padrona, e Katerina,
che gli ha preferito Sergei! Un brano che ricorda persino colonne sonore di musical di Broadway, mentre ci par di
vedere il poveraccio che corre quasi ballando, oltre che barcollando, verso la
stazione di polizia!
Scena VII
13” Siamo alla stazione di polizia, dove troviamo il Sergente e una ventina di
agenti. Benchè stiano oziando, tutti lamentano le dure condizioni di vita ed
anche (come già prima l’ubriacone) la scarsità di pecunia. L’introduzione in Allegretto poco moderato presenta un
motivo dal piglio marziale (pur essendo in 3/4):


È una
specie di segnale che precede le tre successive esternazioni del Sergente. La
prima delle quali (25”) contiene addirittura l’apologia del corpo ai tempi
dell’antico Egitto! Poi (53”) su un tempo ternario (3/8, Più mosso) insieme ai suoi sottoposti
(che gli fanno eco pappagallescamente con una battuta di ritardo) il capo lamenta
la miseria dei salari, a fronte delle improbe fatiche. Infine tira una specie
di massima (1’12”): se ci si vuol
guadagnare la vita, si deve nuotare in acque sporche! I militari la ripetono in
coro.
Torna ora (1’32”, sull'Allegretto poco moderato)
il motivo dell’introduzione per aprire la seconda lamentazione dei militari,
che è una ripetizione - sottilmente variata nell’accompagnamento - della
prima. Ecco quindi (1’44”) il Sergente che la
introduce, con poetici (!) riferimenti a luna, sole e stelle, e poi (2’11”, Più mosso)
ripete la lamentazione sui bassi salari, sempre spappagallato dai suoi. Ribadisce
quindi la massima sull’acqua sporca (2’30”) subito ripetuta dai militari.
Una terza
comparsa (2’49”) questa volta in Allegro poco moderato, del motivo dell’introduzione prelude ad una terza
lamentazione (3’00”, Più mosso) - diversa anche nel canto dalle prime due - del
Sergente, che adesso tira in ballo la lotta ai nichilisti, quindi riecco la lagna
sui salari (3’27”) ripresa ancora col solito ritardo dai militari. Infine (3’45”)
l’ultima comparsa della massima dell’acqua sporca, prima nel Sergente e poi nei
sottoposti.
4’04” Uno squillo di trombetta chiuso da un perentorio colpo di timpano (come un
pugno picchiato sul tavolo) introduce, in tempo Allegro, il Sergente che adesso se la prende con gli Izmailov
perché non hanno invitato i poliziotti alla festa di matrimonio, e medita di
fargliela pagare, trovando una scusa qualsiasi, sempre spalleggiato servilmente
dai suoi.
4’39” Ma arriva all’improvviso un agente che ha fermato un insegnante, sospetto
socialista! Gli schianti (a sezioni alternate) dell’orchestra, seguiti da
veloci volate di strumentini e archi alti, accompagnano i militari che si
alzano di scatto e si mettono in agitazione. L’agente (4’46”) accusa di ateismo
l’arrestato, che timidamente nega, poi accenna a una storia di rane, e
l’insegnante (4’57”) espone, su una religiosa melodia, la sua teoria
sull’anima dei batraci. Viene ovviamente portato in gattabuia (5’26”).
5’36” In tempo Moderato, il Sergente ricomincia… da capo, con la storia dei corpi di polizia, ma
subito pensa agli Izmailov e si chiede come poter andare alla festa senza un
invito, ma ecco sopraggiungere (6’10”) l’ubriacone per denunciare la
scoperta del cadavere.
6’36” I poliziotti non credono alle loro orecchie:
un’esplosione in Allegro
dell’orchestra su incisi in anapesto e uno stentoreo quanto prosaico DO#-RE-MI, con il quale il Sergente
accoglie questo vero e proprio regalo della provvidenza, accompagnano
l’agitazione di tutti e subito (6’43”) sul tempo che ancora accelera
a Presto, ecco i frenetici
preparativi per la spedizione in casa Izmailov, diretti dal Sergente, cui
rispondono sempre come pappagalli i suoi uomini, felici non tanto per il lavoro
che li aspetta, ma per la prospettiva di approfittarne e godersi anche loro la
festa dagli Izmailov! Il clarinetto piccolo e l’ottavino spiccano su tutta
l’orchestra a scandire il trambusto generale.
Interludio V
7’22” Anche qui, senza soluzione di continuità rispetto alla scena precedente,
attacca un nuovo Interludio, sempre in tempo Presto, che copre l’intervallo scenico necessario allo spostamento
dell’azione sul luogo del ritrovamento del cadavere. È in forma di rondò
(A-B-A-C-A-D-A) dove il ritornello A è affidato a trombe e timpani:


In particolare,
l’incipit (semiminima puntata + 3 crome) (una specie di fermi tutti! espresso in musica) tornerà a farsi sentire verso la fine
della scena successiva, allorquando la polizia farà il suo ingresso a casa Izmailov.
La prima strofa musicale (B) del rondò (7’34”) è in Allegretto, poi Moderato, e scimmiotta il passo di marcia del plotoncino dei
poliziotti. Il ritornello (7’52”, Presto) è assai breve, solo 4 battute, per lasciare spazio (7’52”)
ad una nuova strofa C, in Moderato:
siamo tornati alla marcia dei poliziotti, qui però accompagnata
dall’impertinenza del clarinetto piccolo, poi da un paio di glissando dei tromboni, che la dicono
lunga sulla reale determinazione e serietà istituzionale di quella specie di
armata-brancaleone!
A 8’37”
torna il ritornello (sempre in Presto)
questa volta un po’ più lungo, affidato nell’incipit ai soli timpani e poi
sviluppato dagli archi che portano, passando per un primo rallentamento a Moderato, all’esposizione (8’58”)
della terza strofa (D) del rondò, in tempo Adagio.
È un motivo puntato, languidamente triste, che sembra anticipare ciò che
accadrà tra poco in casa Izmailov: la fine di un amore!
Adesso i primi
violini (9’35”) ci riportano in Allegro
con veloci semicrome su scale ascendenti, e da qui al nuovo Presto (9’43”) dove la tromba
sola ripropone per l’ultima volta il ritornello A. Si chiude (9’48”)
con un generale schianto e poi con un secco colpo di timpano: è la Polizia che
bussa al portone della proprietà Izmailov!
Scena VIII
9’55” Siamo nel pieno – anzi verso la fine – della festa di matrimonio. Per
evocarne la (fasulla) solennità gli archi, tutti con sordina, intonano in Allegro non troppo nientemeno che una fuga, il cui incipit ricorda, storpiato,
persino il Sanctus del Requiem verdiano!


Entrano i
violini primi, salendo dal SI al DO dell’ottava superiore; poi a battuta 4 i
secondi (a distanza di un tritono,
sul FA#); a battuta 10 le viole (ancora sul DO); a 13 i violoncelli (sul SOL) e
a 17 i contrabbassi (ancora con i celli, sul DO). Insomma: sacro e profano,
diavolo ed acquasanta sono qui mescolati proprio a dovere!
A battuta 22 (10’41”)
ecco entrare il coro, sempre con un fugato:
prima i contralti, poi i soprani, quindi i bassi e infine i tenori, che
riprendono il motivo dell’iniziale fuga degli archi. A 11’25” gli invitati
festeggiano gli sposi, e il sacerdote è il più prodigo di incitamenti al bacio! I due sposi lo accontentano più
volte, poi Katerina invita tutti a servirsi ancora, Adesso il tempo cala a Meno mosso, e il religioso (12’02”)
si abbandona ad un panegirico per Katerina, chiedendo retoricamente e
reiteratamente (con squilli di corni che richiamano l’attenzione degli astanti)
cosa ci sia di più bello del sole in cielo… Per poi dare la scontatissima
risposta (14’13”): ma è Katerina! E allora un altro bacio! Viva Katerina,
ripete il coro, più bella del sole in cielo! Bacio!
14’59” Ma gli invitati sono ormai brilli e cascano dal
sonno, pur continuando a lodare, con un motivo di purissima indole russa, la
bellezza di Katerina, che però si è accorta (15’21”) che il catenaccio
della porta della cantina è stato forzato. Il tempo si fa Allegro molto, per sottolineare l’agitazione che si sta
impadronendo della donna, e che contagia anche Sergei, che pure cerca di non
perder la testa. Il religioso ancora ripete la domanda su cosa c’è più bello
del sole, gli invitati ripetono gli evviva, Katerina ripete l’invito a far come
fossero a casa loro. Un loro ultimo complimento (15’57”) riporta il tempo
ad Andante, poiché ormai si stanno
addormentando, come il religioso che espone per l’ultima volta la sua domanda
retorica e qualcuno ancora grida: bacio!
16’22” Ma adesso la situazione precipita per davvero, e il tempo torna Allegro vivo. Katerina, agitatissima, vuol affrettare a
tutti i costi la fuga; Sergei ancora è perplesso, non vorrebbe abbandonare
proprietà e affari (!) Ma la donna, accompagnata dall’agitarsi del clarinetto
basso, lo convince che non c‘è più un
minuto da perdere e lo invita (16’47”) a prendere del denaro per
scappare. Ora c’è una pausa di sospensione (il tempo, per 9 battute, diviene Largo) e sono il fagotto e poi il clarinetto basso a sottolineare
l’impazienza di Katerina, cui i secondi devono sembrare ore, nell’attesa che
Sergei ritorni.
17’19” Ecco Sergei, ma contemporaneamente il tempo è tornato Allegretto e legni e archi bassi, con timpano e cassa, scandiscono
un marziale incedere di passi, subito reso palese e inequivocabile da tromboni
e tube, che ripropongono il motivo del ritornello che caratterizzava il
precedente Interludio: la marcia dei poliziotti verso casa Izmailov! Il motivo
viene reiterato in un continuo crescendo del volume del suono, legato
all’entrata successiva di altri strumenti, compresa (17’42”) la banda di 28
ottoni, mentre Katerina e Sergei si sentono ormai in trappola, senza alcuna via
d’uscita.
18’01” Ecco la Polizia annunciarsi perentoriamente, seguita da due ripetizioni del
suo motivo, qui davvero spaventevoli, chiuse da un tremendo quanto dissonante
accordo generale!
18’15” Mentre il tempo muta in Allegro,
il Sergente saluta enfaticamente, e Katerina ricambia il saluto (un tono
preciso più in alto!) cercando di ostentare calma. Sulle impertinenti
evoluzioni del clarinetto in MIb, il Sergente rimprovera bonariamente Katerina
per il mancato invito alla festa di nozze, poi subito si fa serio ed annuncia
di essere lì perché messo a conoscenza di un… affaruccio, ecco. Katerina (18’55”)
crolla immediatamente e dopo aver abbracciato Sergei ed avergli chiesto
perdono, si consegna alle guardie. Mentre la donna viene legata, Sergei (19’18”)
cerca di fuggire, ma viene subito bloccato dagli agenti, nonostante tutti i
suoi sforzi e le urla di Katerina.
19’44” Sul tempo di Allegretto inizia
ora la coda dell’atto, con gli agenti che tronfiamente si vantano della
brillante operazione e la povera Katerina che ancora chiede disperatamente
perdono al suo Sergei. Ma la musica (in sole 8 battute!) qui ci racconta anche
qualcos’altro: perché è, se possibile incarognita, quella che aveva
accompagnato la corsa dell’ubriacone verso la stazione di Polizia!
___
Atto IV, scena
IX
20’03” In tempo Adagio
sono i timpani ad aprire in modo davvero drammatico la scena conclusiva
dell’opera: FA-DO e rullo, DO-FA-DO e rullo, poi un tremendo accordo di FA
minore (poggiato sulla dominante DO) di tutta l’orchestra, ribadito subito dopo
salendo alla sesta (RE) alla
sensibile (MI) e arrivando infine a poggiare sulla tonica: lo stesso che si
udirà al calare del sipario. Trombe e tromboni intonano un pesante motivo che
degrada inesorabilmente, proprio come l’esistenza dei personaggi del dramma.
Il motivo è ripreso in parte dal
fagotto, poi 8 rintocchi di DO del timpano e un accordo di FA minore nei legni,
morendo, ci portano su una scena a
dir poco desolata e desolante. Ci troviamo nel dormitorio di un carcere, dove i
forzati in viaggio verso la Siberia passano una delle mille notti del loro
calvario. Uno di essi canta – accompagnato da pochi strumenti (clarinetto
basso, fagotti, archi nel grave) la loro sorte disperata (un futuro di
sofferenza e vessazioni) con due interventi (strofe di 8 versi) a cui risponde
il coro (con supporto orchestrale più corposo) ripetendo la seconda parte di
ciascuna delle due strofe.
21’00” Nella prima esternazione, il vecchio forzato lamenta la lunghezza delle verste (1 versta = poco più di 1 KM) da
percorrere sotto il sole a picco… ma ora è sera e il sole è calato dietro
l’orizzonte della steppa. Poi (21’54”) impreca al cammino che porta
in Siberia, segnato da lamenti, sangue e cadaveri. A 22’32” il coro riprende
le sue ultime parole, con un canto di tipica matrice russa, che a 22’52”
raggiunge un apice di drammaticità, sul richiamo al sangue e alla morte.
23’23” Ecco la seconda esternazione del vecchio deportato, che già prefigura gli
strazi della nuova tappa che li aspetta l’indomani. E impreca (23’57”)
verso le steppe sconfinate, le giornate interminabili e le guardie disumane. A 24’42”
il coro riprende nuovamente le sue ultime parole, ora però con totale
rassegnazione, sottolineata dalla smagrita tessitura orchestrale: corni ed
archi con sordine e arpa. Il che annuncia (25’36”) il sonno che si impadronisce
di (quasi) tutti. Due guizzi del clarinetto basso, sui regolari rintocchi del
timpano, ci avvertono appunto che non tutti stanno dormendo. Il tempo passa a Poco più mosso e adesso sono le viole ad
animarsi: è Katerina (26’33”) che si alza e si dirige
verso la guardia, offrendogli 20 copechi perché la lasci passare. La guardia (26’50”)
non perde occasione per fustigarne i costumi, ma il denaro lo convince a lasciarla
passare.
27’25” Katerina va da Sergei, piena di passione: finalmente può stare un po’ con
lui! La sua invocazione all’amato sale (dal FA minore del grigio scenario
circostante) al FA# maggiore (si è scordata persino il mal di gambe!):


Poi torna
al FA minore evocando la disperazione che la coglie quando non può stare con
lui; ma riprende poi il FA# maggiore per le nuove invocazioni del nome
dell’amato. Il quale però (28’16”) mentre il tempo muta in Allegretto, per tutta risposta le
rinfaccia i suoi peccati, coprendola di accuse, per averlo trascinato in questa
storia. Katerina (28’44”) è colpita a morte da questo atteggiamento dell’amato,
ma ancora cerca di riconquistarlo chiedendogli perdono! Ma l’uomo è
inflessibile, arriva ad offenderla atrocemente (sei la donna di un mercante!) e
infine (29’01”) la scaccia in modo brutale.
29’21” Al lamento del corno inglese, sul sommesso agitarsi
della grancassa, in tempo Adagio,
spetta di accogliere Katerina, tornata al suo giaciglio. Dove (29’40”)
adesso esterna la sua amarezza per la piega che gli eventi hanno preso:


In lei
non sembra esserci rimorso per ciò che ha fatto, ma la semplice constatazione
di quanto non sia facile passare dalla gran vita alla prigionia! Ma la cosa che
la fa letteralmente disperare, mentre il suo canto si agita viepiù ed entra
l’arpa (31’02”) è il tradimento e l’odio di Sergei nei suoi confronti:


La cosa
davvero atroce cui ora assistiamo è che mentre Katerina esterna questa sua
disperazione, chiusa da un ultimo sfogo cui pongono il sigillo il clarinetto e tutti gli archi in sordina, Sergei si sta dirigendo verso l’altro lato
del dormitorio femminile, per incontrarvi Sonetka!
32’26” Sergei comincia a corteggiare la ragazza (e il clarinetto dà in
escandescenze, mentre il tempo va accelerando) e insieme irridono Katerina (33’05”)
quella stupida che ha dato a Sergei il denaro che lui ha usato adesso per
venire da Sonetka! A 33’11” Sergei va alle spicce (legni
ed archi si agitano sempre più e il ritmo sembra un fox-trot) e chiede a Sonetka di fare l’amore; lei si fa desiderare,
gli suggerisce di tornare da Katerina e lo sfugge.
Il tempo
ora passa proprio ad Allegro, mentre
(34’02”)
Sergei, sugli affannati anapesti degli archi, proclama reiteratamente di amarla
e chiede il suo amore. I clarinetti (in SIb e MIb) cominciano a svolazzare come
impazziti, mentre Sonetka chiede all’uomo una prova concreta del suo amore. E
quale prova? Su un crescendo di legni, archi e arpa, culminante in un secco
accordo generale (34’24”) seguito da un drammatico silenzio, rotto da due
schianti di archi e ottoni, lei gli promette sesso se in cambio avrà un paio di
calze nuove, che Sergei può procurarsi… dove? Ma ovvio: (34’42”) da Katerina! E
l’orchestra erompe in un’autentica orgia sonora (richiama un inciso del finale del
concerto per violoncello di Schumann!) due successive ondate culminanti in un
nuovo schianto (34’51”) dopo il quale Sergei parte deciso per l’impresa.
Il tempo
è ora Allegro molto (come l’animo di
Sergei che ormai si sente vicino alla nuova conquista). Sono le viole - con
veloci ondeggiamenti di semicrome e interventi di corni e legni sulle scansioni
delle arpe - a guidarlo verso il giaciglio di Katerina, che chiama per nome (35’13”).
Clarinetto basso, fagotti e arpa ci anticipano il sussulto della donna,
sorpresa del ritorno insperato del suo uomo, che finge di chiederle perdono.
35’24” Katerina è pronta a perdonarlo, anche se si dice offesa dal suo
comportamento. Lui adesso (35’39”) si inventa (ce lo confermano
gli sberleffi dei flauti!) una panzana per far credere a Katerina che loro dovranno
separarsi. Le racconta (36’00”) che i piedi gli fanno male e
non può più camminare: dovrà farsi ricoverare in ospedale. Lei sembra sconvolta
(36’20”)
dall’idea di separarsi dal suo uomo, ma lui le ripete che il dolore ai piedi
non gli permette di proseguire la marcia. Lei ripete (36’43”) di non poter
vivere senza lui e si chiede cosa possa fare per evitare di perderlo. Gli archi
in tumulto spingono una nuova salita verso uno schianto generale, sul ritmo
della marcia dei poliziotti dell’Interludio dell’atto precedente! Da qui il
tamburo (37’02”) su due beffardi glissando
di tromboni e tuba, accompagna la perfida bugia di Sergei, che le lascia
intendere come forse un paio di calze lo potrebbero aiutare!
Il tempo si fa
Meno mosso, poi Moderato, mentre a Katerina (37’19”)
non par vero di possedere la soluzione del problema: ecco qui, le sue calze!
Sull’agitarsi del flauto comincia a togliersele, mentre Sergei ipocritamente la
ringrazia. Adesso, con il tempo che accelera (37’37”) sono i clarinetti
ad impazzire, mentre i violoncelli espongono un motivo che richiama l’amore che
i due avevano vissuto in un tempo che sembra lontanissimo. È la miscela dei due
sentimenti opposti: l’euforia di Sergei, che sente di aver raggiunto il suo scopo,
e l’estasi di Katerina, illusasi di aver riconquistato il suo amore.
37’53” Katerina consegna le sue calze a Sergei, e lui per tutta risposta si alza
e se ne va, vanamente inseguito dalle domande della donna, rimasta interdetta.
Il tempo ha accelerato e ora diviene Allegro,
mentre Sergei consegna le calze a Sonetka e, senza nemmeno darle tempo si
reagire (38’14”) la solleva di peso e la porta via. Il tempo accelera
ancora ad Allegro vivo, mentre Katerina (38’29”) che ha visto tutto ne rimane sconvolta, come ci
testimoniano le volate degli archi, culminanti in una repentina salita dei
legni.
38’35” Adesso arriva anche un’ulteriore umiliazione per la povera Katerina: il gruppo
delle forzate, aizzato da una di loro, si fa atrocemente beffe di lei, con
sberleffi e risate cantati su crome, mentre i legni accompagnano con una
poliritmia di terzine. Invano Katerina – con lunghissimi acuti in SIb e per tre
volte (39’22” e 39’36”) cerca di liberarsi dalla
loro presa. Finchè un tonfo in tromba, tromboni, tube e grancassa (39’48”)
interrompe la cagnara: è una guardia che interviene a sedare il tumulto. Ma
ancora le forzate ridono, indicandogli Sergei e Sonetka che amoreggiano in
disparte.
Il tempo muta
repentinamente in Adagio, mentre le percussioni
(40’00”)
hanno preso una spaventevole rincorsa verso un’autentica esplosione (40’09”)
dell’intera orchestra (banda compresa) che poi prosegue con cinque ondate
successive (con i glissando delle
arpe) fino ad un nuovo schianto (40’33”) seguito da un raggelante
tremolo (40’35”) degli strumenti bassi e delle percussioni.
40’45” Katerina è letteralmente inebetita, ora ha un’oscura visione. Sul livido
accompagnamento di timpani, cassa e archi bassi (più qualche inciso nei fiati)
esterna la sua lunga, tragica e allucinata disperazione, intercalata da interventi
dei fiati e delle arpe:


Un lago
nel fitto del bosco, con acque profonde e nere come la sua coscienza; acque che
il vento solleva in ondate enormi, che fanno paura; acqua nera e grandi ondate
nere. La scansione del tempo cambia di continuo (4/4, 5/4, 3/4) a testimonianza
dell’instabilità psichica in cui la donna è ormai precipitata. Trilli e
svolazzi del clarinetto basso suggellano questa tremenda esternazione: e saranno anche le ultime parole di Katerina.
Ma ecco che ora
(44’16”)
col tempo che muta in Andantino e il
flauto che prende l’iniziativa, Sergei e Sonetka tornano in scena dopo la tanto
sospirata sveltina: sembriamo proprio
Adamo ed Eva, gongola lui. Per la verità, ribatte lei piuttosto frigidamente, come paradiso non mi è sembrato
il massimo… Ma lui taglia corto: no no, eravamo proprio in paradiso, e il
flauto sembra proprio volergli dar ragione.
44’52” Le umiliazioni per Katerina non sono finite, ora l’aspetta proprio quella
che farà definitivamente traboccare il vaso. Cantando una melodia anonima e
quasi trasandata, Sonetka arriva alla sfrontatezza di ringraziare Katerina per
le calze, e poi darle della stupida per non aver saputo conservarsi fedele il
suo Sergei, che adesso è lei a godersi. E come tengono ben caldo, le sue calze!
Il tempo
rallenta ad Andante (45’55”) e su un perentorio rullo di
tamburo le guardie chiamano alla nuova marcia giornaliera i forzati, che si alzano
(46’07”)
e ad ondate successive (ben evocate dalle folate dell’orchestra ritmate dai
timpani) si mettono in fila per incamminarsi. Katerina (46’46”) resta seduta e
immobile, accompagnata da un motivo agitato nei violoncelli; (47’14”)
un forzato la sollecita a muoversi.
47’31” Sono sempre i violoncelli – col ritmo di arpe e contrabbassi - a scandire
il tempo a Katerina, che ora si è alzata e si dirige verso Sonetka, ferma sul
bordo del fiume.
48’15” Due sestine in biscroma dei contrabbassi accompagnano le cadute in acqua di
Sonetka e di Katerina, che ha seguito la rivale dopo averla spinta giù dal
terrapieno. Si ode un primo grido di Sonetka (48’30”) ormai trascinata
lontano dalla corrente, mentre uno schianto nell’orchestra accompagna le grida
dei forzati, subito zittiti alla guardia, che impedisce qualunque tentativo di
soccorso. Altre due disperate invocazioni di Sonetka si perdono sempre più
lontano, mentre la guardia richiama tutti all’ordine.
49’23” I forzati si rimettono in riga e riprendono il
cammino verso la Siberia. Uno di loro canta ancora la disperazione i dover
camminare incatenati per altre mille verste…
Tutti riprendono il loro rassegnato lamento (50’04”) che si perde in
lontananza (51’30”) sui cupi rintocchi del timpano, prima che il sipario
cali sull’accordo di FA minore, culminante in uno schianto generale.
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__________________
Le voci
La tessitura
delle voci dei personaggi principali si presenta a prima vista come normale: fa
eccezione il SI naturale acuto del basso Boris, ma si tratta praticamente di
due schiamazzi che il vecchio emette subito prima di cominciare la fustigazione
di Sergei; e immediatamente prima tocca anche un SOLb acuto, ma per il resto
sale raramente al FA.
È invece la
scrittura di Shostakovich che impegna assai tutte le voci, chiamate spesso a
passaggi espressionisti, legati alla violenza – materiale o psicologica - di
molte delle scene dell’opera.
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___
Fonti
La partitura
consultata è quella dell’edizione dell’opera omnia di Shostakovich, serie IV, voll.52a-52b,
DSCH di Mosca, 2007, edita da Irina Levasheva e Manashir Iakubov.
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(3c. fine)
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