ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

17 ottobre, 2014

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 5

 

Il Direttore Principale de laVERDI, John Axelrod, esordisce nella stagione guidando l‘Orchestra in un programmone tardo-romantico, per la verità più adatto al 2 novembre (smile e scongiuri!) visto il tasso di… morte che lo caratterizza. Morte proprio nei titoli di due delle tre opere, ma aleggiante assai anche sulla terza.

Per tirarci su il morale, oltre alle due morti, la prima parte è occupata, secondo un clichè ormai consolidato, da due Verklärungen: quella che chiude l’accoppiata Preludio+Liebestod dal Tristan e quella che compare, insieme alla Tod, nel titolo di Richard Strauss.

Il pezzo di Wagner fu estrapolato dal dramma dallo stesso Autore che necessitava, ai tempi, di far digerire a pillole, o piccole dosi, il suo prodotto considerato a torto o a ragione del tutto indigesto (ci vollero 6 anni di tentativi abortiti prima di poter assistere ad una rappresentazione completa del Tristan). Oggi, francamente, credo si dovrebbero evitare queste esecuzioni, che riducono un capolavoro a merce da discount (con tutto il rispetto). No comment (salvo il riconoscere il giusto merito a chi ha suonato).
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Il secondo brano in programma è Tod und Verklärung, il terzo dei Tondichtungen che Strauss compose a 25 anni, un periodo di grande effervescenza creativa, se è e vero che insieme all’Op.24 videro la luce anche Don Juan (op.20) e Macbeth (op.23).

Il bavarese dichiarò di essersi ispirato alla generica immagine di un uomo (anzi, un artista, secondo lui) sul letto di morte e dettò una specie di soggetto dell’opera, che si può così riassumere:

- si entra nella stanza dove il malato giace sofferente;
- gli tornano alla mente ricordi della fanciullezza;
- il dolore si fa più forte e insopportabile;
- tornano ancora i ricordi della pienezza della vita;
- appare l‘ideale, sempre cercato, e mai raggiunto in vita;
- il male ha finalmente il sopravvento;
- trasfigurazione finale: l‘anima abbandona il corpo per ritrovare, negli spazi eterni, il proprio ideale, ora compiutamente realizzato…

Proviamo a seguire la musica sulla registrazione fattane proprio dall’Autore a Vienna nel 1944, un anno abbondante di morti… senza trasfigurazioni!
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Naturalmente il brano presenta una struttura non strettamente riconducibile a forme classiche, tuttavia assai chiara e rigorosa. Vi possiamo distinguere:

- Introduzione
- Esposizione primo gruppo tematico
- Transizione al secondo gruppo tematico
. Esposizione secondo gruppo tematico
- Sviluppo
- Ripresa
- Coda

Le strutture fondamentali dei temi richiamati sono consultabili nella figura posta alla fine della descrizione del brano. Dando uno sguardo d’insieme, prima di addentrarci nei dettagli, si può dire che Strauss abbia fatto ricorso ai canoni della forma-sonata, liberamente derogando da essi per adattarli al proprio intento poetico (la Dichtung!) Così i due gruppi tematici presentano caratteristiche contrastanti (nella più pura tradizione beethoveniana): il primo duro e maschio, in modo minore (dolore e sofferenza); il secondo cantabile e spensierato, in modo maggiore (fanciullezza e aspirazioni). Nella transizione fra i due, Strauss introduce, derogando dai sacri canoni, il tema (dell’ideale, o della trasfigurazione) che alla fine occuperà il centro della scena. Nello sviluppo i due gruppi tematici si confrontano e scontrano (e anche qui siamo a Beethoven) ma fra loro si insinua anche il tema dell’ideale. Anche la ripresa è tutto sommato rispettosa (ma con parecchie libertà) delle regole codificate: vi compaiono solo due temi dei due gruppi, più l’ideale, che poi monopolizzerà la coda.

Introduzione (tempo: Largo – tonalità: DO minore)

Come nella più pura tradizione Haydn-iana, Strauss apre il brano con una Introduzione lenta, prima di attaccare il proverbiale Allegro. Vedremo però, a differenza del modello classico, come questa introduzione cominci a proporre temi (o meglio, loro spezzoni o germogli) che costituiranno l’ossatura dell’opera.  
Si parte. Violini e viole, sostenuti subito dopo dal fagotto e poi ancora dagli altri fiati e dai corni, espongono un pedale sincopato, a rappresentare l‘irregolarità del respiro (o del battito del cuore?) del malato.
30”. I timpani soli ribattono le sincopi, su cui gli archi inseriscono un inciso calante (SOL-FA) ripetuto due volte, che forse rappresenta i faticosi sospiri del malato, caratterizzati da breve inspirazione (una semiminima) e da lunga espirazione (minima puntata) mentre i flauti aggiungono a loro volta due guizzi ascendenti (come fossero delle fitte lancinanti?)
53”. Ancora le sincopi negli archi, poi (1’05”) un accordo di LAb maggiore porta a due nuovi sospiri (DO-SI) sulle sincopi riprese dai timpani e con altre due fitte nei flauti.
1’29”. Gli archi inducono una modulazione della tonalità, salendo da DO a  REb maggiore, dove l’arpa introduce un motivo dolcemente fluttuante, esposto dai flauti. Scopriremo più avanti essere questo il germe di uno dei temi del secondo gruppo, quello che evoca le aspirazioni della giovinezza. Per comodità, dato che ricompare più volte, lo chiamerò il motivo del germoglio. Subito gli oboi risalgono la china, con quattro note di reminiscenza un po’ tristaniana e quindi il germoglio è riesposto dai clarinetti, sulla dominante. Questo frammento tripartito tornerà ancora a farsi udire, anche in forma arricchita.
1’55”. Ancora le sincopi nei timpani, i sospiri negli archi (REb-DO) e le fitte nei flauti, poi altre sincopi nei clarinetti e negli archi, con sospiri del clarinetto basso e altri nel corno inglese e nei fagotti.
2’44”. Su una nuova modulazione, a LAb minore, l’oboe ci anticipa (2’52”) il tema che rappresenta i bei ricordi della fanciullezza del malato: un salto di ottava ascendente, poi calma dolce discesa, con due morbidi ondeggiamenti. L’arpa lo accompagna delicatamente.
3’17”. I flauti riprendono in LAb maggiore il dolce motivo del germoglio, aprendo la strada (3’31”) al violino solo, che riespone, in DO maggiore, il tema della fanciullezza (ora caratterizzato da un secondo slancio verso l’alto) seguito dalla riproposizione (3’55”) del frammento già udito, con la sequenza dei tre motivi in flauti, oboi e clarinetti.
4’15”. Tornano i sospiri negli archi (DO-SI) sui quali spicca il germoglio, prima nei flauti, poi nei fagotti, ma in tonalità minore.
4’36”. Ecco nuove sincopi dei timpani, seguite ancora dal germoglio, un poco agitato (4’49”) nello spettrale timbro del corno inglese, indi la risalita nelle viole e nei violoncelli, e poi un lamento dei flauti (DO-REb-DO) seguito dal germoglio, negli oboi, ora in Do maggiore; quindi ancora la risalita in clarinetti e violini, poi ancora due lamenti dei flauti.
5’38”. Qui le sincopi nei corni conducono alla prossima sezione.

Esposizione primo gruppo tematico (tempo: Allegro molto agitato - tonalità: DO minore)

5’49”. Un poderoso DO in unisono di archi bassi, tuba, tromboni, corni, controfagotti e timpano scuote come fosse una mazzata il malato. Negli strumentini si risentono le sincopi, mentre gli archi bassi  e legni espongono (in DO# minore) il primo tema, detto del dolore, sempre più insopportabile: un tema che inizia con tre note ascendenti (MI-FA##-SOL#) ripetute tre volte, poi si allarga e sale ancora, come di un male che cresce di intensità…
6’12”. Solo un attimo di pausa (SOL maggiore) ma poi riprende il calvario, col tema intercalato da sussulti e fitte in un continuo crescendo, che porta ad una sospensione sul FA (6’45”, furioso).
6’49”. Ecco quindi – protervo! - un secondo tema della sofferenza, DO minore: due semiminime (SOL-LAb), una terzina ascendente (SOL-LAb-SI), ancora due semiminime (DO-MIb), poi il culmine sulla dominante SOL.
6’56”. Si ridiscende, come a riprendere fiato, con tre successivi respiri negli strumentini e violini (è come la voglia di vivere del malato) ma subito il dolore torna: due note secche e la terzina ascendente: eccolo nel trombone a 7’08” e poi si mescola ai tentativi di respiro, e cresce di intensità, salendo di semitono in semitono, nei corni, ancora nel trombone e infine, su un grandioso crescendo generale (7’25”) si staglia prima nei tromboni e poi nelle trombe nel marasma di un poderoso e sporco accordo di DO minore, col timpano a battere sincopi frenetiche.

Transizione al secondo gruppo tematico

Il termine transizione è impiegato regolarmente nelle esegesi e analisi strutturali dell’opera. Come tale, una transizione non dovrebbe presentare nuovi temi portanti. Invece non è così, poiché vedremo come  introduca nientemeno che il tema fondamentale del brano!
7’29”. Ora si instaura una continua lotta fra il male e il malato, con sussulti, quasi dei colpi di tosse negli archi e strumentini. A 7’40” affiora un nuovo motivo, ascendente, nei violini, in tempo molto agitato, culminante nel lamento già udito in precedenza; ancora il motivo ascendente, poi brevi incisi (7’50”) di quattro note, tre ascendenti che si chiudono con una seconda discendente; quindi il crescendo che porta (8’02”) alla nuova esplosione della sofferenza, in tutta l‘orchestra, in DO minore.
8’06”. Come poco fa, anche ora segue la voglia di vivere (anche se rimane nell’aria una specie di ansia) che cresce fino a culminare, in tempo poco ritenuto, con l‘esposizione (8’27”) negli ottoni del grandioso e fondamentale tema dell‘ideale, o meglio la prima parte  di esso, in SIb maggiore, poi (8’33”) in MIb maggiore: un tema  entusiasmante, per il moto ascendente, dalla dominante alla tonica, da cui prende come la rincorsa per salire alla mediante e di qui spiccare un balzo all‘insù di un‘ottava piena, ripiegando poi sulla sopratonica. E qui non si può non riconoscere come questo moto degradante da mediante a sopratonica altro non sia se non un frammento dell’incipit del tema della fanciullezza! Come a dire: i sogni che il ragazzo, diventato uomo, cerca di trasformare in ideali di vita.
8’40”. Con un calando del tempo, poi ancora molto ritenuto, ci si adagia sul MIb maggiore, per poi passare, con una modulazione nei violini, alla successiva…

Esposizione secondo gruppo tematico (tempo: Meno mosso - tonalità: SOL maggiore)

9’16”. I flauti espongono il tema della fanciullezza, che era stato già preannunciato nell’Introduzione, e che si dipana qui in modo completo: lo riprendono (9’43”) a canone, le sole prime parti di violini, violoncelli e viole.
9’55”. Ora, leggermente mosso, oboi e arpe introducono un tema esitante, come di un bimbo che muove i primi passi, che si intercala, nella viola, poi nel violino e quindi in flauti e clarinetti, con l‘inciso del germoglio.
10’12”. I violini riprendono il tema della fanciullezza, ancora a canone, adesso contrappuntato dal tema esitante nell‘arpa.
10’43”. Il tempo un poco agitato ripresenta tre sussulti di sofferenza successivi, in  tre diverse sezioni dell‘orchestra, ma i ricordi riprendono rapidamente il sopravvento.
10’51”. Infatti (un pò più stretto) corni e fiati espongono un nuovo tema, in MIb maggiore, alquanto virile, a rappresentare le aspirazioni della giovinezza: in realtà altro non è che la fioritura completa del germoglio! Ed infatti con esso si contrappunta, oltre che con il tema della fanciullezza, in un crescendo (poco stringendo) che porta, dopo una discesa e successiva risalita nei violini al successivo…

Sviluppo (tempo: Appassionato)

11’28”. Il tema della fanciullezza viene adesso usato come sottofondo ad una sua vivace variazione, reiterata dagli archi e fiati (dapprima in SI maggiore), fino al primo di ben quattro interventi (11’51”) di tromboni (e timpani) a riproporre le terribili sincopi, seguite da tre sussulti che fanno pensare ad un infarto. Le quattro irruzioni avvengono ad altezze crescenti di un semitono, dal SOL al LAb, al LA, al SIb-SI.
11’57”. Il tema variato riprende, in FA maggiore, fino al secondo scoppio di sincopi (12’06”) in LAb nei soli tromboni, questa volta seguite da due sussulti. Il fenomeno si ripete a 12’14”, in LA, con due sussulti nei tromboni seguiti da quattro nei timpani. La tonalità vira momentaneamente a RE maggiore (molto appassionato) per l’ultima irruzione dei tromboni (12’22”)  di durata doppia (SIb-SI) e cinque sussulti successivi.
Il tema della fanciullezza continua ad imperversare, siamo ormai alle soglie del delirio, ed ecco (12’34”) ricomparire, sempre nei tromboni, l‘altro tema squassante della sofferenza, una, due (12’44”), tre (12’47”), quattro (12’50”) e cinque volte (12’53”) le ultime due inalberandosi fino al REb, invece di fermarsi sul DOb! E ogni volta accompagnato dalle sincopi di strumentini o archi.
12’56”. Il tema della fanciullezza si rifà largo per l’ultima volta, tumultoso, a canone prima largo e poi sempre più stretto nei corni e negli archi, in LAb maggiore, fino a sfociare (13’07”) in un accordo di tutta l’orchestra sulla dominante MIb.
Qui, poco stringendo, clarinetti, fagotti e archi bassi conducono alla perorazione (13’13”) del tema dell’ideale, in LAb maggiore. È sempre la prima parte ad essere esposta: la seconda discendente che la conclude, viene ribadita tre volte, poi inquinata (13’30”) da un SI naturale del primo trombone, per lasciare spazio ad una specie di pausa di riflessione, occupata prima da motivi ascendenti nell’oboe, poi da spezzoni della fanciullezza.
13’48”. Ancora riappare l’ideale, adesso in LA maggiore, con due ripetizioni della chiusa (sempre storpiata a 14’01” dai tromboni) che portano, in un poco agitato, alla riesposizione del primo tema della fanciullezza.
14’10”. Poco a poco stringendo, questo tema – distorto assai, come quello della voglia di vivere che lo contrappunta - si accavalla a canone, fino ad essere disturbato (14’21” e 14’24”) da due ritorni, sempre nei tromboni, del tema della sofferenza, che sale prima al MI, poi si ferma al RE#.
14’33”. Riecco l’ideale, ora in REb maggiore, che comincia ad ampliarsi: adesso presenta una sola ripetizione della chiusa, ma poi (14’40”) si sviluppa ancora più in alto, prima di acquetarsi.
Ora la visione scompare lentamente e fa tornare in primo piano la malattia (15’03”) con le sincopi nel timpano che accompagnano cinque incisi (caduta di un semitono) in corni, archi e legni sull’ultimo dei quali ecco (15’40”) un’ultima fitta, cui segue una quiete carica di suspense

Ripresa (tempo: Allegro molto agitato - tonalità: DO minore)

È ormai arrivata la fine: la malattia non dà più scampo. A 16’00” i temi del dolore e dei suoi terribili colpi (la sofferenza) scuotono il corpo del malato, il cui respiro si fa sempre più affannoso, mentre il moribondo sembra disperatamente ribadire la sua voglia di vivere.
16’19”. 18 colpi secchi (tromboni e timpano) in controtempo sembrano proprio una scarica di bastonate sul capo del morente. Ed ecco che, sugli ultimi quattro (16’25”) poco ritardando, una scala ascendente di violini e legni, quasi un glissando, ci dice che… l‘anima è spirata (16’28”).
Qui pare quasi di accompagnare lo spirito che sale verso il cielo: in tempo moderato e tonalità DO maggiore, su un pedale di tonica del controfagotto, della tuba e dei contrabbassi, con i timpani a rullare sommessamente e colpi di tam-tam e minime dell’arpa in controtempo a scandire la… salita, gradino per gradino, i corni e poi i legni, a canone largo, espongono frammenti del tema dell‘ideale, in contrappunto a quello della fanciullezza, negli archi, cui si aggiungono poi le due arpe a creare un sottofondo celeste. Lentamente si sale alla dominante SOL (ci par di essere Siegfried che si affaccia sul pianoro della rupe di Brünnhilde!) in attesa della…

Coda (tempo: Tranquillo - tonalità: DO maggiore

18’45”. Negli spazi celesti si realizza ciò che in terra non fu consentito! Il tema dell‘ideale, che il malato aveva inseguito in vita, ma senza mai riuscire a realizzarlo in pieno, ora si libra (19’08”) in tutta la sua estensione e in tutta la sua magnificenza. Sono fiati e ottoni a condurlo, con gli archi a sostegno, con scale ascendenti, insieme agli oboi e al corno inglese.
Il tema sale con dolci volute fino alla dominante (19’45”) per poi lentamente degradare. A 20’14” riprende ancora, ma adesso (20’17”) i violini intercalano il tema della fanciullezza, come qualcosa di ormai lontanissimo, prima in DO, poi (20’33”) in RE, poi ancora (20’48”) in MI maggiore. Il concetto filosofico è abbastanza chiaro: i sogni che in terra erano ambiziosi e grandiosi (ma sogni restavano) si dileguano nell’estasi metafisica.  
Si modula quindi, passando fugacemente dal MIb, a SIb maggiore (21’08”) per tornare, negli ottoni (21’21”) al DO maggiore con cui l‘ideale si ripresenta, in primo piano e in forma invero colossale, sviluppandosi ulteriormente fino ad adagiarsi (21’58”) sulla dominante SOL.
22’04”. Il tema (ma solo l’incipit) si affaccia ora sommessamente in corni e trombe, poi ancora in tromboni, trombe, violini e legni, fino a spegnersi, in pianissimo, sull’accordo perfetto di DO maggiore dell’intera orchestra.

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Axelrod, che ha diretto tutto il concerto senza bacchetta, qui ha forse ecceduto in sostenutezza, almeno se confrontato con l’asciutta interpretazione dell’Autore citata più sopra. Comunque un’ottima prova di tutta l’orchestra, davvero in grande spolvero.
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Chiusura alla grande con la Patetica. Qui il texano non ha usato mezze misure: nell’Allegro molto vivace in particolare si è scatenato e, dopo il quadruplice tonfo in SOL, il pubblico (anche coloro che… sanno) non ha potuto restarsene in religioso silenzio ad aspettare il finale lamentoso, ma è scoppiato in un lungo applauso liberatorio.

Perdonerò al Maestro qualche americanata di troppo (parlo di stiracchiamenti di tempo qua e là) in forza della complessiva eccellenza dell’esecuzione.

14 ottobre, 2014

L’”Elefante” Paolo Isotta ospite in Auditorium

 

Ieri pomeriggio l’Auditorium di Largo Mahler (quello de laVERDI) ha ospitato la presentazione dell’ultimo (per ora…) libro di Paolo Isotta. Il quale è personalmente intervenuto, di fronte ad alcune centinaia di persone sedute in platea (compreso il venerabile Bonaldo Giaiotti, oltre ai giovani Direttori di casa Jader Bignamini e Giuseppe Grazioli) per raccontare – con la sua proverbiale e corrosiva arguzia partenopea - le origini e le vicissitudini di questa specie di non-autobiografia. In essa il critico musicale oggi più discusso in Italia ha raccolto le esperienze di tutta una vita – fino ai recenti burrascosi rapporti con la Scala - mescolando volgari pettegolezzi e frecciatine (o frecciatone, proprio da querela) contro questo o quello a sempre acutissimi (condivisibili o meno che siano) giudizi su personaggi, opere, idee, correnti di pensiero, luoghi e fatti della musica (e non solo) di ogni tempo e luogo. Chiudendo poi il suo intervento con un simpatico omaggio al suo grande conterraneo Giovan Battista Basile.

A spiegazione del titolo del tomo (600 pagine!) veniamo a sapere – ma è anche scritto nell’Avvertenza che lo apre - che uno degli elefanti che – a suo credere – protegge Isotta fin dall’infanzia è Babar, protagonista della favola di Brunhoff musicata da Poulenc per voce recitante e pianoforte. Che ci è stata puntualmente e piacevolmente proposta (in italiano) da un caro amico di Isotta, Peppe Barra, accompagnato dalla brava Carlotta Lusa, un’esile giovinetta che suona spesso ne laVERDI le parti per tastiera (pianoforte e celesta). 

Barra ha poi chiuso l’incontro divertendoci con la sua versione de La vecchia scorticata, da Lo cunto de li cunte, ossia il Pentamerone di Basile.          

11 ottobre, 2014

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 4

 

Gaetano D’Espinosa ridà il cambio a Zhang Xian sul podio dell’Auditorium per dirigere un concerto del genere testa-coda. No, non parlo delle ultime esibizioni della Ferrari, ma dell’accostamento degli autori in programma: poi, quale sia da considerare testa e quale coda… lo stabilisca ciascuno in piena libertà (smile!) La prima parte della serata presenta due opere, diciamo, contemporanee: fra loro e a noi; la seconda ci ripropone un celeberrimo titolo del profondo ottocento.

I due pezzi di musica (cosiddetta) moderna sono in programma per via dell’apparentamento con il Festival di Milano Musica, nel cui cartellone figura questo concerto in Auditorium. Si tratta di opere di due compositori scomparsi e purtroppo in modo prematuro: Armando Gentilucci a 50 anni († 12 novembre, 1989) e Fausto Romitelli (cui è dedicato il citato Festival) a soli 41 († 27 giugno, 2004).

Di Gentilucci abbiamo ascoltato la corposa Suite dall’opera Moby Dick, unica composizione teatrale del leccese, che vi aveva dedicato gli ultimi anni di vita e che non è ancora mai stata portata in scena. Trattandosi di musica per il teatro, è ovviamente legata al famoso soggetto di Herman Melville, quindi ci troviamo sottotitoli come: la nave, i mare, il tifone, la balena e i gorghi. I vari numeri (7) sembrano in effetti galleggiare su un tranquillo tappeto di suoni cui arpa e celesta in particolare conferiscono un carattere… liquido. Non mancano ovviamente pochi squarci drammatici, come il tifone e i gorghi. Se devo proprio essere sincero, nulla di paragonabile, per dire, ai preludi marini del Grimes.

Ecco poi una prima assoluta: Meridiana, composizione giovanile (26 anni) del goriziano Romitelli, scovata dopo la sua morte fra le sue carte e recentemente pubblicata. Pare che nessuno ne sappia nulla, quindi ignota è anche l’origine del titolo: potrebbe essere indifferentemente l’orologio solare o la compagnia aerea. Personalmente – sentita la musica – propenderei per una variante friulana dell’après-midi… dove tutto è calma, rotta tutt’al più da sommessi ronzii di qualche insetto.

Ecco, saldato il debito con la modernità (smile!) ci siamo stomacati con una bella fettona di sacher all’amburghese (stra-smile!): la Quarta di Brahms. D’Espinosa ha messo sulla torta qualche pizzico di… peperoncino (piccoli scarti di tempo) così da rendercela meno abitudinaria. L’orchestra ha risposto bene (Max Crepaldi in testa, con il suo splendido recitativo al flauto nel Finale) ma non direi proprio benissimo, e i corni hanno lasciato un poco a desiderare, specie nel grandioso corale della conclusiva passacaglia. Ma nessuno ha protestato, al contrario!

09 ottobre, 2014

laBarocca ritrova Scarlatti

 

L’esordio stagionale del complesso laBarocca di Ruben Jais ha portato in Auditorium un Oratorio che ebbe la sua prima a Roma (Arciconfraternita del SS. Crocifisso) durante la quaresima (secondo venerdì, 5 marzo) dell’anno di grazia 1700. È la prima volta per Milano, anche se non è proprio una primizia in assoluto, dato che proprio un mese fa la stessa opera è stata presentata, nel corso del MI-TO, nella chiesa di SanFilippo a Torino (sulla pagina web indicata si può trovare e scaricare il programma di sala che contiene il testo latino-italiano dell’Oratorio). Ma è comunque abbastanza raro, per non dire rarissimo, poter ascoltare questo prodotto della civiltà musicale italiana di più di tre secoli fa. Due sole – pare – le incisioni disponibili: quella di Columbro (anche MP3) e quella di De Marchi (CD).

Davidis pugna et victoria è l’unico sopravvissuto dei 5 (o 6?) oratori latini composti da Alessandro Scarlatti a Roma in circa 20 anni a cavallo fra ‘600 e ‘700. Il soggetto biblico è la celebre sfida tra Davide e Golia, decisa da un azzeccato colpo di fionda del pastorello ebreo che stende il gigante filisteo, per poi mozzargli il capo (pratica oggi resuscitata laggiù in quelle terre…) La struttura è in due Parti, entrambe introdotte da altrettante Sinfonie (la seconda assai breve, per la verità): nella prima viene rappresentato il pessimismo, il fatalismo di Re Saul convinto della sconfitta e preparato alla morte, cui si oppongono l’ottimismo e la fede del figlio Ionatha e del giovane David, che rincuorano i loro armati; nella seconda assistiamo ai preparativi della battaglia, alle minacce di Golia e infine al suo abbattimento da parte di David, fra cori di disperazione dei Filistei e di gioia degli Ebrei. I personaggi sono 5: David e Ionatha (soprani), Saul (contralto), Golia (basso) e Textus (Narratore, tenore); affiancati da un coro doppio, che rappresenta le due parti in guerra, Ebrei e Filistei. L’orchestra è composta  esclusivamente da archi, più cembalo (recitativi) ed organo. I numeri musicali sono essenzialmente: recitativi, arie, duetti e cori.       
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La Sinfonia che apre la Prima parte dell’Oratorio è – come quello - strutturata in due sezioni, ad immagine dei contenuti dell’opera: una prima in tempo Grave (il pericolo che incombe sugli Ebrei) che presenta un motivo che si muove dal SOL maggiore alla dominante RE per poi tornare al SOL; la seconda - un Allegro – sempre in SOL, con modulazioni a RE maggiore e SI minore, caratterizzato da vivace contrappunto (la battaglia e la vittoria).

Il Textus apre il racconto con un recitativo in SOL (Iochor sub aeria) in cui ci narra dello sconforto che prende Re Saul alla notizia che i Filistei stanno invadendo la terra d’Israele, spargendo ovunque sangue e terrore. Segue un’aria (Fata regum) nella quale il narratore riflette sul cupo destino che incombe sul Re: l’aria è bipartita in due strofe (la seconda inizia con Vix in ore) separate da un breve interludio orchestrale e si muove sempre fra SOL maggiore, RE maggiore e SI minore, per poi chiudere sul SOL. Un nuovo recitativo in SOL del narratore (Horruit audita Saul) non fa che confermare lo spavento e i timori di Saul al pensiero dell’arrivo del terribile gigante Golia.

Ora è proprio Saul ad esternare il suo pessimismo e il suo orrore per le razzìe di Golia: lo fa con un lamentevole arioso che si muove inizialmente (Heu perij) tra MI e LA minore, poi (Periere meae) tra FA e DO maggiore e minore. Segue un’aria (Quiquis alta) dove Saul medita sulle inevitabili sventure che attendono chi sale sul trono più alto: la struttura è A-B-A e il tempo è veloce, evocando l’ansia e le preoccupazioni che sconvolgono la psiche del Re; la tonalità di base (A) è FA maggiore, che vira a DO per la seconda coppia (B) di versi (Praecipitium immane) per poi tornare al FA per la ripetizione dei primi due.

Torna adesso Textus con un recitativo (Talia clamanti) che ci notifica dell’arrivo di Ionatha a cercar di rincuorare il padre. La tonalità si muove dal RE minore (relativa del precedente FA) alla sottodominante SOL minore.

Ed ecco appunto Ionatha, che si presenta con un arioso (Fugiat timor) in tempo ternario vivace: il figlio del Re Saul sprizza ottimismo e fiducia nella vittoria della stirpe di Giuda. L’arioso è in MIb, poi nella dominante SIb, quindi nella sua relativa SOL minore, da cui torna al MIb; viene ripetuto pari-pari. Sempre Ionatha prosegue ora con un’aria (Jam veni tu spes) che inneggia alla speranza che infonderà il coraggio nelle schiere ebree, portandole a combattere con l’ardore più pieno. L’aria – una giga con inflessioni di seconda minore di tipo squisitamente napoletano - presenta due strofe (la seconda principia con Tu corda si das) cantate sullo stesso tema, che si muove dal SIb maggiore alla relativa SOL minore, da qui a RE minore per tornare al SIb.

Sull’irruzione di un allegro vivace in SOL maggiore (che modula temporaneamente a RE e SI minore) ecco il breve duetto (di soli due versi) di Saul e Ionatha: il Re (sfiduciato) chiama i suoi alla ritirata (Tuba fugam concrepet), mentre il figlio li invita a battagliare (Tuba pugnam concrepet)!

Ma Saul non cambia atteggiamento e manifesta il suo pessimismo con una nuova aria, lenta e di tono mesto, anche qui con inflessioni napoletane: sono due quartine con ripetizione dei primi versi di ciascuna (Mea Fata, superbi videte e Purpurata si tempore parvo) in cui la melodia principia in DO minore, poi scende alla sottodominante FA minore e (sulla ripetizione dei primi due versi) torna a DO.

Si ripete qui il duetto Saul-Ionatha (Tuba fugam/pugnam) e pare essere il Re ad avere più ascendente sui suoi seguaci, che ora intonano un coro dove esprimono la loro decisione di abbandonare il campo di una battaglia nata sotto cattiva stella e che ora rischia di portare solo morte e lutti. Eamus, fugiamus è l’invito ripetuto insistentemente, che apre e poi chiude il coro (la cui forma è A-B-A), in DO maggiore con passaggi a RE minore e SOL maggiore. I cinque versi del corpo del coro (Mors a tergo) sono trattati a canone stretto, su tonalità continuamente modulanti (proprio a rappresentare lo stato d’animo in perenne agitazione degli Ebrei) da SOL minore a MIb maggiore, SIb, DO, SOL, RE maggiore, poi SI minore e quindi ancora RE maggiore, DO, SOL minore e ritorno al DO per la ripresa dell’Eamus.

Ma a questo punto ecco affacciarsi il protagonista, David, con un recitativo (Quo fugitis?) dove ordina agli uomini di fermarsi, in nome di Dio. La tonalità riprende il DO del coro, poi modula a FA e SIb maggiore, dove si apre l’aria (Verte tela); qui David esorta i suoi ad affrontare il nemico, fidando anche nella buona sorte: una diserzione significherebbe la fine per tutti. Come il precedente coro, anche quest’aria è strutturata in A-B-A: due versi introduttivi (in tempo ternario allegro) ripresi anche dopo l’esposizione dei 4 versi successivi in tempo lento (Fortuna non una). La sezione A è in RE minore, la B ancora una volta modula dal DO al MI e RE minore, ancora al DO e chiude sul LA minore, dominante del RE con cui viene riproposta la sezione A.

Ora si assiste ad una specie di bonario battibecco fra Saul e David. Il Re non dà molto credito al ragazzo, facendogli notare che quando il capo è pavido, i sottoposti non possono essere impavidi; David gli fa notare che essi sono fieri delle imprese del loro capo; Saul lo vuol congedare, ma è David che congeda lui, chiedendo agli Ebrei di ascoltare lui e non il Re! (Saul qui esce definitivamente di scena.) Il dialogo prende la forma di recitativo, che alla fine, sulle parole di David (David audiant agmina) sfocia in un arioso. Da notare la cura che Scarlatti pone nel differenziare il tono dei due: sempre mesto e rinunciatario il Re, spigliato, baldanzoso e… irriverente il giovane. Dal SOL della domanda di Saul (Quis Duce trepidante audet?) si modula al RE della prima risposta di David (Quis tuis triumphis gaudet); SOL che torna sul tentativo di Saul di liberarsi del ragazzo (Eia puer nunc abito) e ancora dopo una breve escursione a RE e LA sulla chiusa di David (Pauca siste).

A questo punto la scena viene monopolizzata da Ionatha e David. Dapprima con un nuovo duetto (O Ionathae spes una David - O regni lux una Ionatha) dove i giovani si esaltano a vicenda nella prospettiva di sconfiggere i nemici e così riportare fiducia e baldanza anche nei loro uomini. Poi con due arie (una a testa) di identico contenuto musicale. La prima parte del duetto (chiusa da Regnante Ionatha - Pugnante Davide) è in tempo lento, si muove da SOL maggiore a RE maggiore, quindi chiude in SI minore: i due si alternano nel canto, salvo cantare insieme il verso centrale (Quis mihi te dat?) La seconda parte (da Abi timor, et recede - Redi fervor, et succede) è in tempo più vivace, dove i due cantano 4 versi a testa in contrappunto; la tonalità si muove dal RE maggiore al SOL della chiusura. Ecco ora le due arie di 4 versi ciascuna (prima Ionatha, poi David) e contenuto assai simile (Age tuba militaris - Age tuba salutaris) che hanno uguale struttura A-B-A e tempo ternario: A copre il primo verso, che verrà ripetuto dopo B, che include i 3 versi successivi; la tonalità parte da DO maggiore (A) poi (B) modula a SOL maggiore per il secondo verso; quindi i due versi successivi sono in MI minore e LA minore, prima della ripresa di A in DO. Dato che le voci dei due sono entrambe di soprano, qui c’è un potenziale rischio di ripetitività stucchevole, che sta alle qualità degli interpreti di minimizzare.

I soldati ebrei sono davvero ringalluzziti! Cantano ora un coro (Vincemus Io vincemus) di soli due versi in tempo allegro, che ha come tonalità fondamentale DO maggiore, con fugaci modulazioni a SOL e RE.

Tornano Ionatha e David con una nuova coppia di arie di testo diverso (In flore labente - Cum sole cadente) e musica identica. Sono in tempo di giga e andamento mesto (con tanto di seconda napoletana) che contrasta con l’ottimismo delle parole, che inneggiano – rispettivamente – alla rugiada che ridà vigore ai fiori e alla luce che scaccia l’oscurità della notte. I versi sono quattro, i primi due (in FA minore) ripetuti dopo gli altri due (che sono nella dominante DO minore).

Sempre i due giovani intonano ora un nuovo duetto (Sic et mortis - Sic in hoste): sono tre versi per ciascuno, prima cantati separatamente (DO maggiore – RE minore) poi in contrappunto ad eco, chiudendo in DO maggiore. Dove troviamo la riesposizione del coro dei soldati Vincemus Io vincemus che conclude la Prima parte dell’Oratorio.

La Seconda parte si apre con una brevissima Sinfonia, poche battute di introduzione, in SOL Maggiore e tempo allegro, al protervo ingresso in scena del gigante Golia, che senza tanti preamboli promette fendenti e frecce per il malcapitato David: lo fa con un recitativo, aperto da un SOL grave del basso (Evaginabo gladium meum) che sull’ultimo verso sfocia in arioso. E sempre in arioso ha inizio un botta-e-risposta fra i due. Dapprima, in RE maggiore, David ribatte (Surgant, opitulentur tibi) alle minacce del nemico, con il cembalo che corona la sua frase con una specie di irridente sberleffo, quasi a volerci rappresentare un David che danza e saltella provocatoriamente attorno allo spaventevole filisteo. Il quale, in arioso sempre introdotto dal SOL grave del basso, ribadisce (Surgam, et lacerabo te) di voler fare un sol boccone di quel ragazzo temerario, quel topolino che osa sfidare draghi e leoni. Ma ancora il cembalo ripete, stavolta in SOL, gli sberleffi di David. Che poi rincara la dose (Non imbelli duello puelli) rispondendo in SI minore (RE maggiore): non sono qui per giocare, ma per combattere seriamente e senza timori.

Golia insiste (Saevo dente) proseguendo sul RE, con un’aria (col da-capo) accompagnata dal violoncello: chi osa sfidare il leone avrà il fatto suo… Sion cadrà a pezzi e andrà in fumo. Ma David è deciso e chiama i suoi a sostenerlo (Cives, Io, date plausum) col suono delle trombe e a preparare corone per i festeggiamenti. La sua è un’aria in 6/8 in SOL maggiore, caratterizzata da veloci e ondeggianti terzine, con modulazioni a RE maggiore, SI minore, ancora DO, prima della chiusa in SOL.

Risponde con un’aria (Philistei, reboate) in tempo ternario anche Golia, che invita i suoi alle armi e invoca al suo fianco gli abitanti degli Inferi. Il tempo è assai agitato, la tonalità di base è DO, ma la melodia è continuamente in movimento, toccando diverse altre tonalità, prima di tornare al DO su cui Golia chiude il suo l’appello con un agitatissimo Ad arma, ad arma, miles, che introduce direttamente (poggiando sul SOL) il successivo coro dei Filistei che rispondono agli incitamenti del loro capo, dialogando con lui. Il tempo è concitato e Golia e Filistei sembrano aizzarsi a vicenda, decisi a colpire, uccidere, disarmare David. Golia e il coro chiudono con la riproposizione del verso Ad arma, ad arma.

Ora Davids espone il suo accorato e fiducioso appello alla forza e alla protezione del Dio d’Israele, che lo aiuti ad abbattere il feroce nemico. Lo fa con un’aria stupefacente (Tu mihi superum) in DO minore, tempo lento, che contrasta fortemente con la protervia del precedente coro filisteo. Introdotta e poi accompagnata dal caldo suono del violoncello, si compone di due strofe di 4 versi, il secondo ripetuto dopo la strofa: la tonalità si muove da DO minore alla relativa MIb maggiore, con inflessioni napoletane.

Il Textus ora ricompare per descriverci direttamente l’esito del duello fra Davide e Golia. Lo fa con un verso in recitativo (Dixit, et excusso montano vertice funda) in SOL che sfocia in un arioso in tempo spedito (Saxo volatili, vulnere orribili) che chiude sul DO. La seconda strofa (Cadit ille) torna in tempo lento e LA minore per chiudere in RE. È curioso che per descrivere la morte di Golia l’anonimo estensore del testo abbia citato alla lettera il verso con cui Virgilio chiude l’Eneide (morte in battaglia di Turno ad opera di Enea):


Ora abbiamo i due cori (Filistei ed Ebrei) che alternativamente, per ben quattro volte, esternano i rispettivi stati d’animo: abbattuto quello di vinti (Heu sodales) in tono ovviamente minore (FA) ed esultante quello dei vincitori (Victoria, victoria) in modo maggiore (SOL). 

Seguono due arie cantate da membri del coro degli Ebrei. La prima (Age terra fortunata) che viene ripetuta due volte e introdotta dal violoncello, è in tempo allegro e si muove dal SOL minore alla relativa SIb maggiore, per poi salire a DO minore e tornare (per la ripetizione del primo verso) a SOL minore. Dopo e due esposizioni la sola orchestra la chiude con una breve cadenza in tempo lento. La seconda è introdotta da un verso in recitativo (Victori redimite) cui seguono due strofe di 4 versi ciascuna: la prima (Deque lauru) si muove dal RE maggiore alla dominante LA e ritorno. Dopo un breve interludio orchestrale, la seconda strofa (Scande regna liberata) dal RE maggiore modula a FA# minore, per chiudere poi in RE.

L’ultima parola è lasciata a David, che chiude l’Oratorio con un’aria costituita da due strofe di 4 versi (Quae gigante pugnante vidistis e Disce verba superba cavere) di cui i primi 2 vengono ripetuti alla fine della strofa. Entrambe sono precedute da una breve introduzione orchestrale. Il tempo è allegro in 6/8 (giga) e la tonalità è SOL maggiore con passaggio intermedio a SI minore. La chiusura è piuttosto sommessa, quasi un andarsene alla chetichella e senza trionfalismi, coerentemente con il testo, che invita ad evitarli e a praticare l’umiltà.
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Ecco, sono 80 minuti di musica di straordinaria fattura, ascoltando la quale si rimane stupefatti della genialità di un compositore che, avendo alle spalle sì e no un secolo di civiltà musicale (Giovanni Bardi è della seconda metà del ‘500) e con scarsissimi mezzi a disposizione, ha saputo anticipare di decenni le successive conquiste di quella stessa civiltà.

Onore al merito quindi per Ruben Jais che ci ha proposto quest’opera con la consueta cura e il massimo rigore, e un plauso a tutti i ragazzi della sua formazione, guidata da Gianfranco Ricci, con 5 primi violini, 4 secondi, 3 viole, 3 violoncelli (il primo in funzione solistica, Marcello Scandelli) 2 contrabbassi e il continuo (armonium e cembalo, Davide Pozzi). 

Insieme al coro doppio (8x2) dell’Ensemble di Gianluca Capuano hanno cantato: i soprani Raffaella Milanesi (David) e Roberta Mameli (Ionatha), il controtenore Filippo Mineccia (Saul), il tenore Mirko Guadagnini (Textus) e il basso Marco Granata (Golia). Mameli e Mineccia (Ionatha e Saul) che sarebbero disoccupati nella seconda parte (stando alla lettera dell’Oratorio) sono invece ricomparsi verso la fine ad interpretare le due arie assegnate dal libretto ad anonimi membri del gruppo degli Ebrei. Tutti hanno ben sostenuto le rispettive parti, con qualche appunto che personalmente muoverei a Mineccia, una vocina assai, troppo, esile, e Granata, poco udibile nelle note gravi (che a 415 Hz sono ancora più gravi!) Su tutti la protagonista Milanesi.

Jais ha voluto chiudere con un doveroso omaggio del coro al grande Christopher Hogwood, scomparso ( 24 settembre) a poche settimane di distanza ( 13 agosto) da un altro benemerito della renaissance del barocco, Frans Brüggen

03 ottobre, 2014

Orchestraverdi 14-15 – Concerto n° 3

 

Xian Zhang torna sul podio della sua Orchestra per il terzo concerto della stagione, ancora tutto russo, anche se questa volta non tutto Ciajkovski.

Il primo dei due pezzi è infatti di Prokofiev, il Secondo concerto per pianoforte, che ci viene offerto da una conterranea del compositore, la scatenata Valentina Lisitsa.

Il concerto, composto originariamente nel 1912-13, venne completamente riscritto da Prokofiev nel 1923, essendo la partitura originale andata persa (pare finita in una stufa) durante la Rivoluzione d’Ottobre. Sembra che Prokofiev, a 10 anni di distanza, abbia un filino smussato certi... spigoli che avevano fatto rizzare i capelli in testa a pubblico e critica alla prima esecuzione. Il concerto è (à la Brahms-2) in quattro movimenti.
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Proviamo a seguirlo – seguendo una dettagliata analisi contenuta in una tesi di laurea di quasi 50 anni fa! - suonato da un’altra giovane interprete: Yuja Wang.

Il primo movimento è un Andantino in SOL minore e RE minore, che ha una struttura abbastanza semplice: A-B-A’, preceduti da una breve Introduzione e da una più corposa Coda. A’ è in realtà occupato da una colossale cadenza del pianoforte solo, una delle cose più apocalittiche (stra-smile!) che siano mai state composte.

40”. Due battute orchestrali fanno da Introduzione: il  motivo discendente ivi esposto verrà ripreso solo nella Coda.

50”. Il solista introduce il primo gruppo tematico A, costituito da due motivi, a1 e a2: due battute introduttive di arpeggio e poi (55”) 8 battute dove il  motivo a1 viene reiterato e variato 4 volte.

1’30”. Il solista attacca il motivo a2 di 11 battute, scindibile in tre frasi (3-4-4).

2’09”. Mentre il pianoforte continua ad arpeggiare è l’orchestra (strumentini) a riproporre il gruppo tematico A (prime due ricorrenze di a1) raggiunta poi dal solista (2’24”) che espone il resto di a1.

2’41”. Ancora l’orchestra (archi in primo piano, con intervento successivo dei clarinetti) torna ad esporre a2, chiuso da una rapida salita di flauti e clarinetti che porta al secondo gruppo tematico.

3’30”. Il quale (B) è in tempo Allegretto e si compone di 2 motivi così disposti: b1-b2-b1. Viene introdotto da 4 battute dei legni (una frase ripetuta 4 volte) prima che il pianoforte (3’38”) attacchi il motivo b1, costituito da due frasi (b1a e b1b) di 4 battute ciascuna.

3’52”. Adesso è il solista a riprendere (su 3 invece di 4 battute) l’introduzione, dopodiché (3’59”) l’orchestra (flauti e oboi) e il solista riespongono il motivo b1, di cui i legni reiterano (4’06”) la frase b1a innalzandola di una quarta e introducendo la tonalità di RE minore (dominante del SOL di impianto, come da sacri canoni). A 4'15” ecco ripresa la frase b1b, che porta al secondo motivo.

4’22. Sono ancora flauto e clarinetto ad esporre per due volte b2, un motivo di 5 battute il cui incipit è mutuato da quello di b1. b2 chiude con un crescendo che sfocia a 4’37” in un accordo di RE minore sul quale viene riproposta dall’orchestra l’introduzione a b1. Il quale è poi esposto (4’43”) dal solista accompagnato da impertinenti incisi dei legni.

5’05”. Qui il solista attacca una transizione, interrotta (5’13”) da un intervento di clarinetti e fagotti, che porta (5’28”) ad un criptico ritorno del tema A nell’orchestra (violoncelli, sulla minime discendenti di flauto e oboe) che prepara la massacrante cadenza solistica.

Essa inizia (5’53”) con la riproposizione del primo tema (a1) che poi continua ad essere sviluppato fino a 7’37”, dove appare vagamente l’introduzione iniziale, poi ecco (8’02”) la seconda parte del tema (a2) presentato nelle sue tre frasi componenti, ma in ordine diverso (3-1-2). Qui si entra in una vera e lunghissima orgia sonora, che si conclude (9’58”) con un pesante accordo di RE minore, che dà inizio alla Coda. Mentre il pianoforte accompagna con veloci arpeggi, l’orchestra vira a SOL minore riproponendo, in forma dilatata, il motivo dell’introduzione, chiudendo con un pesante accordo di SOL minore.

10’28”. Qui il solista riprende il primo tema, mentre clarinetto e archi bassi lo contrappuntano un paio di volte con il motivo dell’Introduzione. Poi il movimento si spegne su un SOL in pianissimo (11’12”).

Il secondo movimento è uno Scherzo in tempo Vivace, RE minore, una specie di toccata in moto perpetuo. Prima di addentrarci nell’analisi, facciamo una constatazione di tipo… atletico: si pensi che il movimento è costituito da 186 battute (più quella finale, occupata da una sola croma) di cui 181 in 2/4, 3 in 3/4 e 2 in 1/4. Tutte contengono, per la parte solistica, 4 semicrome per ciascuna semiminima, in entrambe le mani. Ciò significa, in tutto, esattamente 1500 semicrome. Qui la Wang impiega a suonarle 2’12”, il che significa che lei suona con ciascuna mano ben 11,36 semicrome al secondo! Per 132 volte di fila, senza una sola presa di respiro!

La macro-struttura del movimento non si discosta da quella del primo: A-B-A’. I motivi sono presentati dall’orchestra, e si stagiano su una specie di strada ferrata stesa dal solista con le sue folli semicrome, che si muovono prevalentemente per gradi congiunti.

11’19”. La sezione A consta di tre diversi motivi: a1 (11’21”) a2 (11’30”) e a3 (11’35”). Essa viene interamente riproposta (11’41”) in DO# minore. A 12’03” si torna a RE minore per una breve coda, che porta all’esposizione della sezione B.

Questa, in SIb maggiore, è costituita da due motivi disposti come: b1 (12’16”) ripetuto 4 volte, poi b2 (12’27”) in LAb maggiore, ripetuto, quindi ancora b1 (12’39”) in DO maggiore.

A 12’50” viene riproposta, tornando a RE minore, la breve coda che aveva chiuso la sezione A e si passa (12’55”) alla A’, che ripropone due dei tre motivi di A: partendo da a3, in FA maggiore, poi (13’01”) a2 variato e infine (13’07”) ancora a1 variato.

Ora si passa alla Coda, dove si riprende (13’12”) A’, e poi (13’18”) anche B fino alla rapida conclusione (13’33”).

Il terzo movimento è intitolato Intermezzo, in Allegro moderato, SOL minore. Come i due precedenti, ha una struttura ternaria, questa volta rappresentabile come A-A’-B-B’-A”.

Si apre (13’43”) con un’Introduzione dove si distinguono tre motivi: il primo è un pesante passo di marcia, il secondo (14’01”) nei corni, una melodia ascendente accompagnata da discese in staccato nei clarinetti e il terzo (14’12”) che sulla melodia dei corni innesta una frase staccata ascendente di oboi e clarinetti.

14’24”. Entra il solista che, accompagnato da crome in staccato negli archi, espone il tema A, che si estende per 8 battute compiendo un arco di salita-discesa. Poi (14’48”) eccone uno sviluppo, che include (14’53”) un inciso per terze. A 15’08” una coda chiude l’esposizione di A.

15’23”. Il solista espone ora una tranquilla transizione, chiusa con l’intervento dei clarinetti che ripetono le discese in staccato dell’Introduzione. La tonalità è salita a SIb minore.

15’56”. Qui abbiamo l’esposizione di A’, una versione variata del primo tema (a 16’24” torna l’inciso per terze), che si chiude a 16’48” in RE minore, per far posto ad una transizione verso la sezione B.

La quale inizia a 17’05” con l’esposizione del tema nell’oboe e (arpeggiato) nel pianoforte, tema ripetuto in inversione (17’24”). A 17’43” eccoci alla variante B’, sempre in RE minore, aperta dal solista raggiunto poi (18’02”) dall’orchestra, dapprima in staccato e poi in modo pesante (18’18”).

18’27”. Le terzine dei clarinetti annunciano il ritorno, in DO minore, del tema A”, forma variata di A. A 19’16” inizia la Coda che ci riporta a SOL minore, impiegando motivi dell’Introduzione, e chiude il movimento a 19’54”.

Il Finale (20’06”) è marcato come Allegro tempestoso in SOL minore ed è in forma-sonata, pur liberamente interpretata (specie nella ricapitolazione). Il tema principale A consta di tre motivi: a1, a2 (20’20”) che modula spesso e a3 (21’00”) in SIb minore. Un SIb in fortissimo (21’08”) dà luogo ad una transizione caratterizzata da cupi interventi degli ottoni, che poi modula a RE minore (in vista del secondo tema!) ed è chiusa (21’31”) da una coda in cui agli accordi lugubri del solista fanno eco spettrali incisi degli archi bassi.

22’11”. Inizia qui un’introduzione orchestrale al secondo tema (B) che il solista presenta a 22’31”: è una mesta melodia di sapore slavo che viene poi ri-esposta altre tre volte. Dopo la seconda esposizione da parte del solista (23’13”) con l’inversione del tema, ecco l’orchestra che lo presenta (23’55”) nei fagotti, poi nei flauti, cui il pianoforte regge bordone, per poi riprenderlo in prima persona. A 24’32” ancora l’orchestra ci presenta per la quarta volta il tema (forma invertita), col solista a contrappuntarlo nella forma canonica.

Arriviamo così allo sviluppo (25’08”) costituito da tre sezioni in cui i due temi A e B vengono continuamente manipolati. Dopo la prima sezione dove solista ed orchestra dialogano continuamente, chiusa da due pesanti accordi (25’59”) ecco la seconda (26’04”) riservata ad una cadenza del pianoforte. A 27’54” inizia la terza sezione dello sviluppo, ancora in dialogo fra orchestra e solista. Sviluppo chiuso dal pianoforte e dai trilli del clarinetto con un languido diminuendo.

29’48”. Qui irrompe la ricapitolazione, che per la verità segue assai poco le sacre regole, in quanto presenta semplicemente porzioni del tema A ed ignora totalmente il B. A 30’34” ecco la Coda che porta a rotta di collo verso la conclusione.
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La giunonica Valentina, che si è presentata abbigliata come… Barbie (smile!) non ha tradito le attese, mettendo a dura prova le corde e i tasti dello strumento sotto le autentiche mazzate prescritte da Prokofiev. Qualche piccola imperfezione (come evitarle, con una simile partitura?) non ha per nulla inficiato la sua grande prestazione, salutata da ripetute chiamate, cui lei ha risposto non con uno, ma con due dei suoi classici bis.


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Chiude il programma la Sinfonia Manfred di Ciajkovski. Rimando i perditempo a queste mie note scritte quasi tre anni addietro in occasione dell’ultima comparsa dell’opera qui in Auditorium. Allorquando venne proditoriamente (ma è una fissazione di Caetani… e non solo sua) mutilata del finale religioso, sostituito da uno di carattere nichilista (quindi… bayroniano!) Al Manfred, con il pretesto che l’Autore stesso ne era rimasto scontento (in effetti, è tutto tranne che un capolavoro) sono stati inflitti, e ancora si infliggono, cervellotici tagli o cut&paste… Uno dei primi responsabili di tutto ciò fu Arturo Toscanini, che pure si dichiarava entusiasta dell’opera, oltre che paladino del rispetto delle partiture (?!): poi tagliò una parte cospicua del finale, ben 116 battute, più o meno 5-6 minuti di musica, compresa la tanto vituperata fuga. (Ma siamo proprio sicuri che il taglio non fosse invece legato alla capienza delle facciate degli allora rivoluzionari LP? Guarda caso i 47 minuti di Toscanini sono proprio il massimo consentito a quei tempi… e ri-guarda caso i primi due movimenti, integri, durano 23’25”!!!)  

Ecco invece la trionfale esecuzione de laVERDI con Xian ai PROMS 2013, dove sentiamo il 100% delle note di Ciajkovski e il finale autentico, con il possente (e forse esagerato, rispetto alla volontà dell’Autore) intervento – a 58’20” - dell’organo della sterminata RAH.

E invece, ieri come è andata? Sembra quasi una presa in giro, o una maledizione dell’Auditorium, ma la Xian, se ha conservato l’armonium e il finale originale, ha però inferto alla partitura dell’ultimo movimento un taglio peggio di quello di Toscanini! Insomma, per questo povero Manfred non c’è proprio pace…