ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

14 settembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.1 (con fiocco azzurro!)


A Zhang Xian, e/o al pargoletto che si portava davanti in pancia, il terribile Ivan di domenica scorsa alla Scala deve aver proprio fatto un effetto particolare: ha anticipato di un mesetto abbondante l’arrivo del secondogenito!

Così è toccato al suo vice Jader Bignamini (ed è già la seconda volta che capita, dopo una 5a di Mahler di qualche mese fa) sostituire sul podio la direttora nel concerto inaugurale della stagione 12-13 de laVerdi, dopo che il giovane clarinettista aveva chiuso – con lo Chénier – anche quella precedente. Prima dell’inizio, Ruben Jais (Direttore artistico) dopo aver ricordato come questa sia la 20ma stagione dell’Orchestra, ha fatto gli auguri a Xian (che sarà assente, come minimo, anche la prossima settimana - e te credo!) e ha ringraziato Bignamini e Francesca Dego per la prontezza con cui hanno reagito all’improvvisa defezione della puerpera, alla quale sono andati calorosi applausi del pubblico.

Ad aprire la serata è l’Ouverture da Ruslan e Ljudmila di Glinka: un vero pezzo di bravura per le orchestre (archi in testa) che da sempre si sfidano a chi la sa suonare più velocemente. In partitura c’è l’indicazione metronomica di 140 minime (o 135, per i dilettanti, smile! – ed è già parecchio) che significa un tempo totale teorico di meno di 5’35” (l’intero brano in C tagliato è notato come Presto per 372 battute e Più mosso per le restanti 30). Quel demonio che rispondeva al nome di Yevgeny Mravinsky la fece eseguire ai Filarmonici di Leningrado (che qui gli tengono splendidamente bordone!) addirittura in 4’38”, equivalente a più di 173 minime, un vero record!

I ragazzi de laVerdi non sono in cerca di primati, ma di ottime esecuzioni: tengono un tempo come da indicazione dell’Autore e Luca Santaniello li trascina, con Bignamini, in un’esecuzione di tutto rispetto e senza alcuna sbavatura, accolta da scroscianti applausi.

Arriva poi, con un lungo dorato degno di una fatina, la giovane e bella Francesca Dego – non nuova a calcare il tavolato di Largo Mahler – per deliziarci con il Secondo Concerto per violino di Prokofiev.  
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Prima opera completata dal compositore ai tempi del ritorno in URSS, ha una struttura assolutamente tradizionale. L’iniziale Allegro moderato è rigorosamente in forma-sonata, presentando i canonici due temi: SOL minore il primo, scuro e pensoso, e SIb maggiore il secondo, più contemplativo  (che si adegua al SOL nella ricapitolazione):
Segue l’Andante assai, dove Prokofiev affida al caldo suono del violino una delle sue lunghissime e deliziose melodie (in MIb):


Nella sezione centrale, troviamo un Allegretto in RE, dove si raddoppia la velocità, prima del ritorno al tempo iniziale, e alla stupefacente cadenza finale di violoncelli e corni, chiusa dai clarinetti e da un contrabbasso.

Chiude in Allegro ben marcato in 3/4 un Rondo, il cui tema ricorrente (all’inizio in SIb, poi chiuderà in SOL) subito esposto dal solista, ha un che di sforzato e faticoso:
La struttura è assai semplice (A-B-A-C-A-B-A-Coda) dove B ha un andamento irregolare, con mutamenti di tempo da 3/4 a 2/2 e poi a 7/4. Anche la coda (66 misure) che è una vera e propria rincorsa a rotta di collo, cambia continuamente tempo, tra 5/4, 3/4, 2/2, 2/4, fino a chiudere in 3/4, con tre schiocchi di piatti colpiti con bacchette e una specie di tonfo del SOL grave del violino, accompagnato dalle trombe e dalla grancassa.   
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Splendida la prova di Francesca Dego, ben assecondata Bignamini e da tutta l’orchestra, e grande successo per lei, che ci regala subito un sensazionale bis paganiniano (l’ultimo dei Capricci op.1) e poi, per celebrare al meglio anniversari, ricorrenze e nascite, si fa affiancare da Luca Santaniello ed esegue con lui il primo movimento della Sonata per due violini di Prokofiev (qui i due Oistrakh).

Chiude il concerto una Suite dal balletto Romeo e Giulietta. Insieme al completamento del Secondo Concerto per violino, il balletto fu una delle prime composizioni del Prokofiev sovietico (che nel 1935 era in procinto di ristabilirsi in URSS dall’occidente) e guarda caso la sua gestazione fu assai travagliata, causa resistenze e intromissioni di varia natura. Tanto per cominciare, qualcuno se la prese con l’idea, considerata cervellotica e quasi blasfema verso Shakespeare, che il compositore aveva avuto di chiudere il balletto con un lieto fine: Romeo e Giulietta ricongiunti, grazie a Frate Lorenzo, e avviati ad un futuro di felicità… (a nulla valsero le giustificazioni di Prokofiev, che sosteneva che due morti non potevano danzare, smile!) Poi ci si mise anche il corpo di ballo del Kirov, protestando vivacemente contro una musica ritenuta indanzabile (!)

Insomma, la prima del balletto – che l’autore fu costretto a ritoccare, e non solo per rimettere le cose a posto con Shakespeare - dovette essere spostata all’estero (Brno, 1938…) e per la prima rappresentazione in URSS, al Kirov, si dovette aspettare il 1940. Recentemente il materiale originario (con il lieto fine, per intenderci) è stato riesumato dal musicologo Simon Morrison da polverosi cassetti dell’Archivio di Stato russo e impiegato per una messa in scena della versione originale del balletto ad opera della compagnia di Mark Morris.
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Contemporaneamente alla composizione del balletto (3 atti, 9 scene e 52 numeri, nella versione definitiva) Prokofiev ne estrasse due Suites (che recano lo stesso numero di Opus del balletto, 64bis e 64ter) costituite ciascuna da 7 numeri, che corrispondono a singoli numeri del balletto o a loro raggruppamenti. Esse furono eseguite in concerto – e con gran successo come ad esempio la seconda, qui diretta dall’Autore nel 1938 – già prima del balletto da cui derivavano. Parecchi anni dopo Prokofiev predispose una terza Suite (op.101) composta da 6 numeri. Ma prima aveva pubblicato (Op.75) Dieci pezzi per pianoforte, sempre estratti dal balletto. Le tre Suites presentano in tutto 20 numeri – derivati da 26 numeri del balletto - solo l'ultimo dei quali duplicato; invece i 10 Pezzi ripropongono 9 dei numeri delle prime due Suites (più Mercuzio). Inoltre la sequenza delle Suites e dei 10 Pezzi nulla ha a che vedere con quella del balletto (che invece rispetta – finale compreso, dopo le reprimende dei puristi - la trama della tragedia del mago di Stratford-upon-Avon).

In effetti è difficile decifrare il criterio usato da Prokofiev per strutturare le sue Suites, e ciò spiega anche perché in concerto e nelle incisioni si trovino oggi le più svariate… varianti. Nella tabella che segue sono indicati i numeri del balletto e quelli delle diverse Suites (la posizione nella riga stabilisce il numero, o i numeri, di provenienza dal balletto; si tenga presente che i titoli dei numeri delle Suites a volte differiscono da quelli del balletto; inoltre Prokofiev introdusse piccole varianti per ragioni di consistenza).


Spesso i Direttori si divertono a comporre proprie varianti delle Suite: il fatto è che questa musica è talmente grande – personalmente non trovo di meglio in tutto il ‘900! – da poter essere presentata in qualsivoglia sequenza, senza perdere un briciolo del suo fascino. Anche caricando i 52 numeri del balletto o delle Suites su iPod e riproducendoli con l’opzione random, si ottiene sempre un risultato straordinario!

Bignamini – credo proprio interpretando le intenzioni della Xian – carica l’esecuzione di spiccati chiaroscuri, a partire dagli accordi fracassoni dell’apertura (Montecchi e Capuleti) e per finire alla chiusa della Morte di Tebaldo, con i 15 colpi – proprio numerati in partitura, che paiono altrettante randellate sulla testa del malcapitato – esplosi dall’orchestra prima del definitivo schianto:


Ma nei brani intimistici (da Giulietta fanciulla al meraviglioso Romeo e Giulietta) vien fuori tutta la raffinatezza e trasparenza della musica del mago Prokofiev.

Successo calorosissimo per tutti e appuntamento in… Spagna, dove ci si trasferirà la settimana prossima. 

10 settembre, 2012

La nuova stagione dell’Orchestraverdi si è aperta alla Scala


Continuando una bella tradizione, domenica sera la Scala ha ospitato il concerto inaugurale  della stagione 2012-13 de laVerdi.

Il clou della serata era Ivan il Terribile di Prokofiev.  

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La storia della musica di questo Ivan è lunga e tormentata (forse quanto quella del mitico Zar!) Cominciamo col dire che non era nata per esecuzioni concertistiche, essendo musica da film, il capolavoro - in 2 parti completate, più una che non vide la luce - di Eisenstein (sì, quello della Potiomkin di fantozziana memoria). Come tale era fatta per essere registrata in studio, magari impiegando artifici elettro-fonici (già relativamente evoluti negli anni ’40 del secolo scorso) per essere poi sincronizzata con le immagini. Insomma, non era musica composta per il teatro o per una sala da concerto. Inoltre, l’incompletezza dell’opera cinematografica non poteva non riflettersi anche su quella della musica, che doveva prepararsi ad accompagnare la terza parte del film, mai più compiuta, dopo la stroncatura della seconda da parte dei censori staliniani e poi causa la morte del regista.

Mentre nel caso del Nevsky, altra musica per un film dello stesso regista, Prokofiev aveva lavorato appositamente alla sua trasformazione e ristrutturazione in cantata (proprio in vista di esecuzioni concertistiche) ciò non avvenne per l’Ivan, per una serie di ragioni, non ultima la malattia di cui il compositore soffrì e che lo portò alla morte nel 1953.

Quello che ci era rimasto a livello di materia prima, o semilavorato, era quindi un ammasso di manoscritti, schizzi, note, parti di strumentazione, trascrizioni di canti liturgici, che sono custoditi in un paio di musei di Mosca. E naturalmente la registrazione delle musiche che accompagnano i due film di Eisenstein (che non sono tutto ciò che Prokofiev compose per quei film, per ragioni abbastanza evidenti), musiche dirette da tale Abram Stasevich.
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Ma ora, prima di iniziare il tormentone sulle diverse versioni oggi in circolazione dell’Ivan musicale, bisognerà pur dir qualcosa sul contenuto dei film di cui le musiche di Prokofiev sono la colonna sonora. (I nomi dei temi musicali citati sono quelli dell’edizione Sikorski – vedi sotto).

Il film-1 (1944) dopo l’Overture che accompagna i titoli di testa (su uno sfondo di cupe volute di fumo prese dalla scena della conquista di Kazan) inizia (2’00”) con la cerimonia di auto-incoronazione di Ivan Vasilievich a (primo) Zar di tutte le Russie. Alla cerimonia, officiata dall’Arcivescovo Pimen (quello che ritroveremo nel Boris Godunov…) sono presenti i notabili moscoviti, i Boiari e fra gli altri si nota subito (3'30") Yevfrosinia Staritskaya, un’accesa oppositrice, nonché zia, di Ivan e madre di Vladimir, una specie di ridicolo efebo. La consegna dei simboli regali a Ivan avviene sul canto del Kyrie e poi dei Cherubini. Splendida l’invocazione – Viva in eterno - del diacono (6’20”) cui segue quella del coro (7’49”) mentre su Ivan vengono fatte cadere monete d’oro dai suoi due accoliti: il Principe Andrei Kurbsky, che vedremo restare fedele allo Zar solo perché innamorato della di lui moglie (!) e Feodor Kolychev, che si distaccherà da Ivan e – presi gli ordini religiosi - gli si opporrà fieramente (nel film-2).

Nel suo discorso di insediamento (8’50”) il neo-Zar espone i suoi obiettivi: in politica estera, riconquistare alla Russia – invasa e occupata ad est dai tartari e ad ovest da polacchi e germanici - il prestigio perduto e soprattutto lo sbocco sul Mar Baltico (Livonia); in politica interna, rafforzare lo Stato mettendo fine allo strapotere retrogrado e immobilista dei Boiari (con i quali Ivan aveva un conto in sospeso fin da piccolo, come si capirà in seguito).

La scena successiva (13’45”) ci porta nella residenza di Ivan per la festa nuziale, mentre udiamo il Canto di gloria: il neo-Zar ha infatti sposato la bella e dolce Anastasia RomanovnaAscoltiamo (16’59”) il bellissimo tema di Ivan (che ricomparirà nella scena della tenda a Kazan) mentre i suoi due amici versano vino a lui e ad Anastasia. È qui che Kolychev manifesta la sua intenzione di ritirarsi in convento. 

Alla festa è presente anche la perfida Yevfrosinia, non tanto per brindare agli sposi ma per… fomentare una rivolta: udiamo qui (19’00”) la musica che sottolinea il prepararsi della sommossa, mentre nella sala proseguono i festeggiamenti. Arrivano però (21’00”) a guastare la festa alcuni esagitati, capitanati da Malyuta Skuratov, un energumeno che il carisma di Ivan trasforma presto in un fedelissimo (diventerà capo degli Oprichniki, la sua guardia speciale). Arriva anche a dar man forte ai rivoltosi (22’36”) il Sacro folle, una specie di clochard fustigatore di costumi. 

Ivan impiega le sue capacità oratorie per portare i rivoltosi dalla sua parte, rivolgendone l’odio contro i Boiari: e il tema della Morte di Glinskaya, madre di Ivan uccisa dai Boiari ne supporta il discorso (24’05”). Kurbsky nel frattempo (25’00”) non perde occasione per adescare (senza successo) Anastasia.

Ma il tumulto è appena stato sedato che arrivano (26’15”) da Kazan due messi tartari, accompagnati dalla musica della loro EntrataI quali, senza mezzi termini, avvertono Ivan della prossima caduta di Mosca in mano tartara e lo consigliano di evitarsi umiliazioni… togliendosi lui stesso la vita prima che lo facciano i loro capi; e per questa incombenza gli offrono anche lo strumento adatto: un affilato scimitarrino. Ivan non solo non si fa intimidire, ma passa al contrattacco e aizza la folla dei rivoltosi – ora tutti con lui – ad attaccare la roccaforte tartara di Kazan! E il tema enfatico di Ivan, già udito nell’Overture, accompagna (27’42”) il tripudio della folla.

Eccoci quindi (28’30”) alla spedizione punitiva contro Kazan, per la quale Ivan impiega tutte le forze e le tecnologie militari possibili e immaginabili: cannoni giganteschi (il cui tema si ode nel pesante timbro delle tube), torri di assalto alle mura della roccaforte e cavalleria. Memorabile la scena (29’40”) dove Ivan – mentre la musica fa riudire il suo tema già apparso durante lo sposalizio - osserva dalla sua tenda la città tartara. La musica della Steppa tartara accompagna (30’27”) i fanti di Ivan che si avviano verso la cittadella nemica, depositando le loro monete! Ecco poi il canto ritmato degli Artiglieri (31’27”) che accompagna Skuratov e i suoi nello scavo delle trincee

Kurbsky (33’05”) inventa anche l’impiego di prigionieri tartari – accompagnati dalla caratteristica musica orientaleggiante - come scudi umani, ma con scarso successo. Perchè il colpo da maestro che fa vincere l’assedio è messo a segno da Skuratov, che fa scavare lunghe gallerie sotto la collina su cui sorge la città, le riempie di barili di polvere nera e, sempre sul canto degli artiglieri, accende personalmente (36’40”) le micce che - sotto lo sguardo di Ivan, accompagnato dal suo tema (37’10”) - li fanno deflagrare (37’52”) aprendo come un melone la pancia della città tartara. Nella quale irrompe (38’08”) la cavalleria di Kurbsky, mentre piovono cannonate, il tutto accompagnato dalle musiche delle Trombe di Kurbsky, dell’Attacco e della Caduta di Kazan.

Ora c’è un drammatico cambio di scena (39’55”): Ivan, il trionfatore, è sul letto di morte, gravemente malato. Udiamo (43’25”) il canto O Anima mia, che accompagna la processione al seguito dell'Arcivescovo; e poi (45’12”) un altro canto (O Signore misericordioso) che precede l’amministrazione dell’estrema unzione (47’05”) ancora sul canto O anima mia. 

Ivan chiama a raccolta (49’15”) gli odiati Boiari per chiedere loro fedeltà al figlioletto Dimitri, ancora in fasce. Mirabile la melodia degli archi bassi che accompagna il suo accorato Appello ai Boiari. Da cui riceve in risposta solo sprezzante silenzio, e li maledice, accasciandosi come morto (54’40”). Solo Kurbsky, dopo un drammatico confronto con Anastasia (59'50") risponde affermativamente (1h01’30”) mentre tutti gli altri preferirebbero avere come Zar l’imbelle Vladimir Staritski

Ma Ivan torna miracolosamente in sella (1h02’03”) vivo e vegeto, e premia Kurbsky (promoveatur ut amoveatur?) affidandogli la missione militare sul Baltico (1h03’55”) mentre si riodono le note della Steppa tartara. Con gran sorpresa dei Boiari, lo Zar incarica anche Alexei Basmanov (padre di Feodor, che incontreremo fra poco) di una spedizione in Crimea (1h04’47”). 

I Boiari ed Yevfrosinia, che ora hanno dalla loro anche Pimen, continuano le loro trame (1h05’30”) e si ode per la prima volta (1h08’09”) il tema dell’Avvelenamento di Anastasia.

Segue ora una scena (1h08’35”) in cui Ivan, dopo aver per l’ennesima volta rinfacciato ai Boiari le loro colpe, formula nuove strategie imperiali – e il suo tema della Tenda ne sottolinea l’esposizione (1h10’10”) – allorquando compare un tema triste (1h12’17”): è quello della Malattia di Anastasia, dal cui capezzale lo Zar non si stacca più. 

Ma ora, mentre arrivano pessime notizie dalla Crimea (1h16’05”) la sbifida Yevfrosinia riesce a versare veleno – e udiamo in sottofondo il tema dell’Avvelenamento di Anastasia - in una coppa destinata alla zarina (1h17’25”). La quale ha un improvviso collasso (1h17’52”) proprio mentre Skuratov porta ad Ivan brutte notizie anche di Kurbsky, passato al nemico. Ivan cerca invano disperatamente qualche bevanda per la moglie, poi scopre una coppa colma di vino appoggiata ad un muretto (1h18’32”) e la fa bere ad Anastasia: è la coppa preparata da Yevfrosinia – ne sentiamo il tema dell’avvelenamento – il cui contenuto uccide Anastasia.

Ivan, distrutto, è accanto alla bara della moglie (1h19’38”) mentre si odono canti sacri: l’Eterno ricordo, poi (1h21’17”) Riposa con i Santi e infine (1h23’32”) Tu sola. Lo Zar sembra non avere più alcuna motivazione, ed anzi appare in piena crisi esistenziale. Vorrebbe abdicare, ma i suoi fedelissimi (Skuratov e Basmanov, con il figlio, in testa) lo convincono a ritirarsi provvisoriamente nel castello di Alexandrova (1h25’35”) in attesa di tempi migliori. Medita già la sua vendetta contro chi gli si oppone (1h28’00”) e udiamo il tema dell’Avvelenamento di Anastasia, sulla cui salma Ivan giura di tornare grande (1h28’35”)Il tema di Ivan sulla bara di Anastasia ne accompagna l’estremo e solenne addio alla moglie. 

È trascorso ora del tempo, e a Mosca cresce il movimento pro-Ivan (1h29’35”) che chiede il ritorno dello Zar: una interminabile processione (1h31’58”) si snoda nella neve fra Mosca e Alexandrova, per implorare plebiscitariamente Ivan a riprendere il suo posto. Il canto della folla (è il famoso inno Signore, salva il tuo popolo, originariamente inserito nel Giuramento degli Oprichniki) arriva alle orecchie di Ivan (1h31’42”) seguito poi (1h33’23”) dal Ritorna! …e qui termina trionfalmente il film-1 (che non a caso fu insignito del Premio Stalin, essendo assai piaciuto al simpatico baffone, che in quell’Ivan ci si ritrovava a pennello).  

Il film-2 (1946, che invece ricevette un clamoroso pollice-verso dal dittatore in persona e quindi dalla sua censura) si apre con il riassunto del film-1, con presentazione di personaggi e interpreti. Dopodichè (2’16”) abbiamo una Fanfara che introduce la scena polacca - con tanto di polonaise (2’40”) - presso Sigismondo. Qui si è rifugiato il perdente Kurbsky, che si vorrebbe alleare ai polacchi per usurpare il trono di Ivan, mentre costui è in auto-isolamento ad Alexandrova.

Dopo una nuova fanfara e gli evviva delle simpatiche dame (6’08”) ecco però arrivare un messo (6’15”) che reca la notizia del ritorno trionfale di Ivan a Mosca - ne sentiamo l’enfatico tema (6’22”) - e così del furente Kurbsky… non avremo più notizie.

Ivan (6’47”) ormai ha il potere supremo ed assoluto e può apprestarsi a riformare radicalmente lo Stato, a spese dei privilegi dei Boiari, alcuni dei quali fa arrestare e condannare. Lo vediamo subito all’opera – accompagnato dalla musica della Danza normale degli Oprichniki – mentre arriva in un monastero (lui comincerà a tassare anche le istituzioni religiose) per strigliarli a dovere. 

Però è ora tornato a Mosca (9’38”) dal monastero in cui si era volontariamente recluso il suo ex-amico Feodor Kolychev (ora padre Philip) che difende i Boiari condannati e lo sfida apertamente. Qui c’è un flash-back in cui Ivan ricorda la sua infanzia e in particolare due episodi. Il primo (10’55”) riguarda il rapimento della madre da parte dei Boiari (da qui la sua inestinguibile sete di vendetta!) ed è accompagnato dalla musica della Morte di Glinskaya (appunto, sua madre). Il secondo è il suo primo incontro - come Granduca di Mosca, a 13 anni - con gli ambasciatori (12’22”) quando ancora, seduto sul trono, non riusciva a toccar terra con i piedi… ma già affrontava gli increduli Boiari da par suo. Qui è il suo tema nobile (quello della Tenda) ad accompagnarne dapprima i ricordi, seguito (14’17”) da quello solenne (dall’Overture). Il seguito della scena mostra il piccolo e apparentemente innocuo Ivan tirar fuori le unghie di fronte a bestioni grossi, a suo confronto, come elefanti! Udiamo (16’48”) il tema di Shuisky (un Boiaro che il giovane Ivan farà giustiziare), tema che tornerà ancora ad indicare il pericolo rappresentato per lo Zar dai Boiari.

Ivan (17’40”) offre a Philip la carica di Metropolita di Mosca, che Kolychev accetta in cambio della promessa di poter intercedere a favore dei condannati. Skuratov però (20’56”) convince lo Zar a farli giustiziare, prima che Kolychev possa esercitare il suo diritto. Un frammento del tema di Shuisky (gli sbifidi Boiari) richiama Ivan al letto di morte di Anastasia (25’21”) dove il fido Feodor Basmanov (25’36”) gli dimostra che la morte della moglie era per l’appunto opera di Yevfrosinia, mentre il tema dell’avvelenamento si fa sentire (26’10”). Così lo Zar comincia ad architettare una tremenda vendetta.

Ora arriva la scena dell'esecuzione dei Boiari da parte di Skuratov (27’26”) sottolineata dal tema della Morte di Glinskaya (perché ora si prepara per i Boiari un tremendo contrappasso!) È il braccio destro dello Zar in persona ad eseguire la sentenza con precisi… fendenti di scimitarra calati sul collo dei malcapitati. Ivan ne resta sconvolto, mentre si comincia ad udire (29’20”) il canto funebre Madre, non piangere per me, che accompagna poi le esequie dei giustiziati. Su di essi pregano e imprecano Pimen e Philip, raggiunti da Yevfrosinia, su un frammento del canto liturgico Giuda, ti è stato detto (31’30”). Ormai fra Ivan e Boiari (spalleggiati dai religiosi) i rapporti sono sempre più ostili.

Ora assistiamo (32’42”) in Cattedrale ad una sacra rappresentazione, la Fornace, che ha le sue origini in un racconto biblico di tre ragazzini (Anania, Azaria e Misail) liberati dalla fornace in cui un re senza-dio li aveva gettati a fronte del loro rifiuto di adorare gli idoli. Inizialmente udiamo il canto Meraviglioso è Dio. Ivan (35’28”) arriva sghignazzando e il suo tema solenne (37’10”) ne annuncia l’entrata in cattedrale, dove si trova faccia-a-faccia con Philip, mentre udiamo il Canto dei ragazzi (37’44”).

Qui abbiamo (38’55”) lo scontro senza quartiere fra lo Zar e il nuovo Metropolita (chissà se fu voluto lo schizzo di saliva che si vede uscire dalla bocca di Ivan a 39’12” quando lo Zar pronuncia il nome Philip!) Ancora il tema della Morte di Glinskaya (40’22”) sottolinea le minacce di Philip, cui Ivan rispode per le rime, anzi indurendo la sua posizione anti-Boiari, col risultato che questi, insieme al clero (41’21”), decidono di farlo assassinare, scegliendo (43’35”) un novizio di Kolychev, Piotr Volynets, come sicario.

Mente del complotto è la solita Yevfrosinia, che già pregusta il successo e canta al figlio Vladimir – prossimo Zar nella sua vision – la Canzone del castoro (46’20”) una ninnananna che è una chiara allusione alla brutta fine che si prepara per Ivan, mentre il tema di Shuisky (51’10”) ci ricorda il suo odio per lo Zar proprio mentre per lei (e il figlio) si sta materializzando un tremendo contrappasso.

Infatti Ivan ora è passato alla messa in atto della sua vendetta finale ed ha mandato Skuratov (51’42”) ad invitare il giovane cugino Vladimir ad un banchetto. Yevfosinia ce lo manda con Piotr Volynets, incaricato di far secco lo Zar. Ma comincia ad avere qualche brutto presentimento quando scopre (53’50”) che l’omaggio recato da Skuratov è il calice in cui lei versò il veleno mortale per Anastasia.

Alla festa degli Oprichniki (54’05”) – unica scena, insieme a quella finale, girata a colori - le guardie speciali di Ivan si scatenano in danze sfrenate (la Danza caotica, appunto, guidata da Feodor Basmanov e poi la Danza normale – 54’45”). Ivan fa ubriacare il cugino (55’45”) strappandogli la confidenza che si sta preparando un attentato contro lo Zar per sostituirlo… proprio con lui, Vladimir. Adesso il giovane Basmanov e i compagni (58’30”) intonano la Canzone degli Oprichniki, seguita dalla Danza normale, durante la quale Basmanov avverte Ivan della sospetta presenza di Piotr Volynets (1h01’15”).

Ora Ivan convince Vladimir (1h03’45”) a indossare le vesti di Zar: tutto viene predisposto proprio come se il ragazzo fosse il nuovo sovrano (1h04’40”): trono, copricapo, scettro e globo; tutti si inginocchiano omaggiandolo. Poi Ivan spinge Vladimir a guidare la processione in Cattedrale (1h07’35”) mentre si ode il canto O anima mia.

Mentre Piotr Volynets si è furtivamente (1h09’02”) appostato in Cattedrale, la processione procede: si ode il tema sommesso della canzone degli Oprichniki, che hanno indossato abiti monacali, e poi (1h10’102) il loro Coro 1 a bocca chiusa; quindi (1h11’05”) il Coro 2. All’entrata in Cattedrale, rimasto un poco isolato dalla processione, Vladimir è accoltellato alle spalle (1h13’07”) da Piotr, che lo prende per Ivan. Il motivo dell’Assassinio di Vladimir esplode tremendo, mentre il ragazzo (1h13’16”) stramazza senza vita.

Piotr è appena stato immobilizzato da Feodor e Skuratov che arriva Yevfrosinia (1h13’30”) trionfante, per celebrare la fine dello Zar e… (mentre udiamo il tema dell’Ingresso di Ivan - 1h14’03”) se lo trova di fronte (1h14’35”) in carne ed ossa. Scopre il volto del corpo giacente al suolo (1h15’12”) e… impazzisce, rimettendosi a cantargli la filastrocca del castoro! (1h16’54”) Mirabile l’attimo in cui Skuratov le toglie di mano il copricapo dello Zar (1h18’00”).

Ivan e i suoi si avviano all’uscita dalla cattedrale (1h18’40”) accompagnati dal Coro 1. Una parte limitata del canto del Giuramento degli Oprichniki (1h18’50”) prelude all’ultima meditazione di Ivan, inginocchiatosi davanti ad un altare (1h19’44”). Poi, tornato sul suo trono (1h19’54”) Ivan si compiace di essersi liberato così di tutti i nemici interni e… (1h20’17”) pone la parola fine al film-2, sulle note del Ritorna!  
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Torniamo ora a Stasevich, che ebbe il merito di rivitalizzare la musica dell’Ivan (viceversa destinata ad ammuffire con le pellicole dei film), predisponendone nel 1961 una versione che fosse plausibilmente adatta ad esecuzioni in concerto. E scelse la forma di oratorio: una voce recitante che guida l’ascoltatore attraverso le diverse scene in cui Stasevich ristrutturò l’Ivan, modificandone abbastanza pesantemente lo sviluppo rispetto alla sequenza delle scene dei film (di fatto quasi ignorando il film-2) ed apportando tagli e modifiche alle musiche originali (ad esempio eliminando tutte le parti liturgiche, non di Prokofiev, nonché l’intera scena polacca e quella dell’assassinio-nella-cattedrale). Il pregio (a me pare l'unico...) di questa impresa è stato di consentire a noi ascoltatori di fruire di gran parte di questa musica in modalità autonoma, rispetto ai film. E importanti direttori hanno ovviamente inciso l’oratorio, a partire da Riccardo Muti (con la Philharmonia) che lo eseguì anche alla Scala nel 1994. Un’altra incisione (senza però la voce recitante, ma con la sola musica e con alcune varianti come l'omissione di ripetizioni e l’introduzione dei numeri polacchi) è quella di Valery Gergiev a Rotterdam (ma con il suo coro del Kirov). 

Nel 1990 il musicista-musicologo Christopher Palmer mise a punto una sua versione da concerto delle musiche dell’Ivan, più rispettosa della sequenza cinematografica. Un’incisione di questa versione è stata diretta da Neeme Järvi con la Philharmonia.

(Va anche ricordato che Mikhail Chulaki già nel 1973 aveva impiegato musiche dell’Ivan per allestirci un balletto.)

Da ultimo, nel 1997 la casa editrice Sikorski ha pubblicato una cosiddetta edizione critica delle musiche dell’Ivan, cercando di raccogliere e strutturare in modo organico tutto ciò che è disponibile a livello di documenti originali. Quindi ha catalogato e numerato tutti i brani di Prokofiev (inclusi quelli non trasferiti sulle pellicole di Eisenstein) ed ha riportato in appendice i brani di canti liturgici o di musiche russe che comunque vennero impiegati nei film. Si tratta di 43 numeri di Prokofiev più 13 numeri di altre musiche russe.

In aggiunta, gli editori (Marina Rackhmanova e Irina Medvedeva del Museo Glinka di Mosca e Viktor Suslin e Ingo Weber della casa Sikorski) hanno anche proposto una possibile – non obbligatoria, peraltro – sequenza di esecuzione dei brani, che cerca di rispecchiare l’ordine delle macro-scene dei due film (con qualche non marginale eccezione, come vedremo). Vladimir Fedoseyev è stato il primo ad incidere l’Ivan seguendo (con qualche deviazione, peraltro) la proposta dell’edizione Sikorski. Successivamente anche altri ci si sono cimentati, come Valery Polyansky.

Nella sottostante tabella ho cercato di condensare le strutture delle tre versioni citate. La colonna centrale – in omaggio all’unica (per ora) edizione critica esistente (e già peraltro… criticata) – reca la struttura dell’opera così come proposta (non imposta) dagli editori di Sikorski: vi si distinguono le due parti (corrispondenti ai due film), le macro-scene dei due film e i singoli brani musicali. Il numero a fianco di ciascun brano è quello riportato sulla partitura Sikorski. I brani in carattere italico sono quelli presentati nell’Appendice (canti liturgici o della tradizione russa) e in buona parte impiegati nella colonna sonora dei film, quindi proposti per l’esecuzione.  

Le colonne di sinistra e destra recano i riferimenti ai brani – rispettivamente – delle edizioni di Stasevich (solo la musica, non i parlati del recitante) e Palmer. La posizione sulla riga individua il brano corrispondente dell’edizione Sikorski (con eventuali deviazioni) mentre la numerazione riflette quella presentata nelle principali edizioni discografiche: quella di Gergiev (per Stasevich) e quella di Järvi (per Palmer).


Dalla tabella si evince chiaramente come la versione di Palmer sia assai più rispettosa (di quella di Stasevich) della sequenza di scene dei film, il che di per sé potrebbe significare poco, data la enorme differenza esistente fra uno spettacolo cinematografico e un’opera prettamente musicale. 

E al proposito sarà bene dire subito che anche gli editori di Sikorski, nel mettere a punto la versione della partitura da pubblicare, hanno dovuto fare delle scelte inevitabili e spesso obbligate, rinunciando in partenza al rispetto totale della sequenza scenica dei film così come pubblicati. Come è facilmente intuibile, il ruolo della colonna sonora di un film è magari poco diverso da quello della musica di un’opera teatrale; ma è totalmente diverso da quello della musica di un’opera destinata ad esecuzioni concertistiche. Ad esempio, è vero che nel film può accadere che spezzoni di musica si ripetano in scene diverse (come succede ai Leit-motive di ascendenza wagneriana nel teatro) ma è altrettanto vero che spesso i motivi vengano sfumati, o bruscamente interrotti, o reiterati ossessivamente se la scena lo suggerisce, o presentati come lontana eco delle parole pronunciate in primo piano dai protagonisti. Quando la musica deve essere eseguita da sola, fuori dal contesto del film (o dell’opera teatrale) e quindi senza le relative immagini e i relativi dialoghi, le cose cambiano totalmente. Questo ad esempio spiega il ricorso quasi obbligato allo strumento della Suite per trasferire in concerto musiche nate per il teatro (o per il cinema), che vengono così ri-assemblate e poco o tanto rimaneggiate proprio per renderle presentabili separatamente dallo scenario originale per il quale erano state composte. 

Nel caso di Ivan a tutto ciò si aggiunge anche il fatto che i film, così come pubblicati, abbiano una struttura che già di per sé non rispecchia le scelte iniziali e la stessa produzione tecnica degli autori, e ciò per cause diverse, a volte di natura squisitamente estetica, ma spesso per ragioni ben più materiali: nella fattispecie, la censura staliniana, che ebbe un ruolo non marginale nel determinare certi contenuti dei film.    

Sul primo versante (scelte autonome degli Autori) l’esempio più eclatante è rappresentato dai 5 numeri della macro-scena del Prologo, che fu originariamente pensata da Eisenstein, ma poi cassata e sostituita solo in parte dal flash-back inserito nella scena del film-2 dove Ivan riceve la visita dell’ex-amico Kolychev. Lì udiamo il numero 2 (morte della madre di Ivan per mano dei Boiari, che compare peraltro anche nel film-1, al momento della rivolta); i numeri 3 (la marcia del giovane Ivan) e 4 (il bellissimo Mare azzurro) non fanno parte della colonna sonora e non si odono nei film (il n°4 avrebbe dovuto servire come chiusura del film-2, a sottolineare la riconquista da parte russa dello sbocco al mare, sul Baltico). Il numero 5 (Shuiski) compare invece in più punti del film-2, rappresentando l’avversione dei Boiari per Ivan: ad esempio lo si ascolta nel flash-back di Ivan e al momento in cui Malyuta Skuratov invita il giovane Vladimir Staritski (figlio di Yevfrosinia) al banchetto dello Zar e poi, durante il banchetto medesimo, quando Feodor Basmanov si avvede dell’equivoco comportamento del giovane monaco Piotr Volynets. L’edizione Sikorski recupera tutto e ripristina il Prologo (presente anche in massima parte nell’oratorio di Stasevich). 

Viceversa un esempio degli effetti dei fulmini della implacabile censura zarista è la scomparsa dal finale del film-1 (al castello di Alexandrova) della scena e della relativa musica del Giuramento degli Oprichniki (di essa sopravvive solo una strofa cantata nel finale del film-2): musica che Stasevich prima e Sikorski poi hanno recuperato (il primo dislocandola in posizione diversa rispetto alla sequenza cinematografica che Eisenstein dovette espungere). 

Uno dei temi legati strettamente ad Ivan, e che compare più volte nei film (già alla scena dello sposalizio) è quello che gli editori di Sikorski hanno relegato nel solo numero 13 (La tenda di Ivan, nella scena di Kazan, dove invece Stasevich lo richiama due volte). 

Del numero 9 (Il Sacro folle) nel film si odono solo poche battute, durante la festa dello sposalizio, mentre si prepara la rivolta. 

Un altro caso curioso riguarda la scena polacca: nel film-2 noi udiamo (reiterati più volte) i due numeri pubblicati da Sikorski (27 e 27a). L’edizione Stasevich ignora alla radice l’intera scena, che invece è inclusa nell’edizione di Palmer, dove però il numero 27a è assai più sviluppato rispetto al film (e a Sikorski). La cosa sembrerebbe spiegarsi con il fatto che la Polonaise venne anche inclusa da Prokofiev nel suo progettato Boris, dove venne appunto ampliata rispetto a quella dell’Ivan. Palmer deve aver preso questa porzione della partitura del Boris, che era stata pubblicata in una versione orchestrata da tale Grigory Singer. In aggiunta si noti che Valery Gergiev, nella sua incisione della versione Stasevich senza i parlati, ha inserito (al numero 12a) questa stessa Polonaise nella versione Palmer. 

E questi non sono che pochi (anche se i principali) punti di divergenza fra ciò che si ascolta nei film e le diverse edizioni destinate al concerto. Tra le quali mi permetto di considerare quella di Palmer come la versione che musicalmente ha il maggior impatto, o se si vuole rappresenta il miglior compromesso fra quella proposta da Sikorski (lunga e pesante da digerire, con tutto il rispetto per Fedoseyev che ne dà un’interpretazione maiuscola) e quella di Stasevich (che l’intervento della voce recitante rende piuttosto barbosa, con rispetto parlando, senza contemporaneamente essere efficace sul piano della trama presentata nell'oratorio)
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Alla Scala è stata comunque proposta proprio la versione oratoriale di Stasevich, già eseguita in Auditorium durante la stagione 2009-10 (concerto n°27) de laVerdi. A proposito della quale esecuzione, è curioso ricordare come fosse in origine affidata proprio a Fedoseyev (ai tempi Direttore principale dell’orchestra) ma che poi, a seguito dell’inopinato divorzio fra il Maestro russo e laVerdi, fu affidata a Zhang Xian, da pochi mesi Direttore musicale.

E Xian – che ha deciso evidentemente di allevare anche il secondogenito (ancora in pancia!) come il primo, facendogli sentire molta musica dal podio - ha quindi guidato anche ieri i complessi strumentali e vocali (gli adulti di Erina Gambarini e i bravissimi piccoli di Maria Teresa Tramontin) della sua compagine in un’esecuzione di tutto rilievo (la stagione estiva appena conclusasi ha evidentemente evitato il formarsi di piccole ruggini agli ingranaggi del motore!) Il contralto Natascha Petrinsky (peccato che la voce non uguagli in avvenenza il corpo, smile!) il basso Alexei Tanovitski (superstite di quella recita del 2010) e la voce recitante Stefano Annoni hanno dato il loro sostanziale contributo al successo della serata.

Serata che era stata aperta con quel mostro che risponde al nome di Ouverture 1812 di Ciajkovski - una cosa che andrebbe severamente bandita per legge da teatri e sale da concerto (smile!) - che la dovette comporre quasi con un mitra puntato alla nuca, e fu il primo a bollarla come una nefandezza!

Tutto ciò non toglie dignità e meriti agli esecutori, fra i quali è simpatico annoverare i componenti della banda, pardon (son quasi miei compaesani...) della Filarmonica Paganelli ‘79 di Cinisello Balsamo, guidata da Donatella Azzarelli, che ha dato il suo contributo determinante di fracasso alla già enfatica partitura (che prevede, ad-libitum, anche autentiche detonazioni, colpi di cannone e fuochi artificiali!) nell'esposizione del tema dell'Inno Signore, salva il tuo popolo, che si udirà poi nell'Ivan:

Insomma, un promettente rientro dalle ferie, in vista del primo appuntamento in Auditorium, ancora con Xian e (quasi) tutto Prokofiev.  
          

05 settembre, 2012

Ecco il futuro del teatro musicale


È difficile immaginare una satira del Regietheater (meglio: Eurotrash) più feroce di questa
  

29 agosto, 2012

La Sagra malatestiana ha aperto con Noseda


In una Rimini tuttora in pieno assetto di guerra (balneare, sia chiaro…) ieri sera Gianandrea Noseda ha aperto (onore che si ripete per lui ad un anno di distanza dalla grande Ottava mahleriana) la 63ma edizione della Sagra musicale malatestiana, guidando la European Union Youth Orchestra in un corposo programma.

Il concerto – come accadrà per i successivi della Sagra – si è tenuto nel nuovo ed avveniristico Palazzo dei Congressi di Rimini, sorto proprio di rimpetto al vecchio nella zona della ex-Fiera. Il Palazzo è stato finalmente inaugurato solo da poco, dopo che per parecchi mesi, o anni ormai, era rimasto inagibile, pur completato, a causa di guerre e guerricciole di campanile geografico - Forlì-Rimini - e politico - left-right. Per la musica poi cambia poco o nulla, chè la nuova Sala della Piazza che ospita i concerti non è molto diversa dalla precedente: un enorme stanzone con sommaria pannellatura periferica, ed una capienza leggermente aumentata, da 1600 a 1900 posti. Domanda: ma allora a che serve l’Auditorium ad anfiteatro situato al piano superiore? 

Ma veniamo alla musica. Lo yankee Garrick Ohlsson (vincitore del Premio Chopin 10 anni dopo Pollini) ha aperto la serata con l’inflazionato Concerto per pianoforte op. 23 di Ciajkovski. Lui e Noseda hanno tenuto tempi abbastanza comodi, a partire dalla celeberrima Introduzione, dove hanno accentuato assai il Molto maestoso che si accompagna all’Allegro non troppo… Ohlsson sciorina una gran tecnica, ma anche una raffinata sensibilità, soprattutto nei passaggi più intimistici del primo movimento, nelle cadenze e soprattutto nell’Andantino simplice. Poi si scatena nel travolgente Allegro con fuoco. Applausi e ovazioni lo invitano ad un bis: il più famoso dei walzer di Chopin

Dopo l’intervallo ecco composizioni di due autori del primo o primissimo novecento: Debussy e Respighi. Si tratta sempre di musica a programma (e pure su programmi in buona parte simili, vedi le due Feste) ma la distanza (estetica) fra i due compositori è davvero abissale: laddove il francese si pone l’obiettivo che sempre dovrebbe informare un artista, cioè la poetizzazione dei soggetti-oggetti delle sue composizioni, l’italiano sembra limitarsi alla creazione di effetti a buon mercato, infarcendo la sua musica di enfasi e retorica, come si addice piuttosto a certe colonne sonore cinematografiche.

Debussy si macera nella ricerca continua di nuove sonorità e combinazioni armoniche (usava dire di restare intere mezze giornate a meditare su un singolo accordo!) e impiega i mezzi orchestrali – pur corposi - con grande parsimonia e trasparenza. Respighi invece usa le sue grandi qualità di orchestratore a fini di pura esteriorità, e insomma nei suoi poemi sinfonici per me sembra tenere un approccio da tardo-romanticismo ormai in stato avanzato di decomposizione…  

Di Debussy vengono eseguiti Nuages Fêtes, due dei tre Nocturnes, composti proprio al passaggio del secolo. Il terzo (Sirènes) richiede la presenza irrinunciabile del coro femminile e per questo viene solitamente omesso nei concerti. Anche in occasione della prima assoluta (9/12/1900) vennero eseguiti solo questi due brani.

Nuages, lo dice il titolo, evoca un incessante passare di nuvole sopra la Senna, precisamente presso il ponte di Solférino, ci dice Debussy; ma qui l’indicazione è tanto minuziosa quanto ininfluente sul contenuto musicale, che mai pretende l’impossibile (la descrizione di un fenomeno naturale) bensì esprime in modo mirabile l’impressione provata da chi osserva il muoversi delle nuvole, sempre diverso, ma allo stesso tempo sempre uguale a se stesso. 

L’incipit di clarinetti e fagotti ricorda vagamente il Dies-Irae, mentre subito dopo il corno inglese espone un nuovo tema ricorrente, che sembra quasi una reminiscenza delle prime battute del Tristan. Pur non essendo un seguace dell’atonalismo, Debussy cerca di affrancarsi dai classici e rigidi schemi della tonalità, impiegando accordi imperfetti, o inquinando quelli perfetti con note armonicamente distanti: in questo brano in particolare, ciò concorre in modo estremamente efficace a creare quell’atmosfera indefinita e instabile che lo caratterizza. Nella sezione centrale Debussy fa anche uso di una scala pentatonica, di chiara matrice orientale, che sembra anticipare di 10 anni altre nuvole, quelle del Lied von der Erde di Mahler

In Fêtes Debussy si ispira poeticamente ad una serata al Bois de Boulogne, evocandone però non tanto le prosaiche manifestazioni (tarantelle, marce della Guardia repubblicana, fanfare che arrivano da lontano, passano e si perdono) ma le sensazioni (meglio… le impressioni) che esse provocano nel suo animo, e sono queste che il compositore ci vuol trasmettere con i suoi suoni. Si osservi la pulizia della scrittura orchestrale anche nel momento di massimo impatto sonoro:
   
Impeccabile l’esecuzione della EUYO (le tante ragazze hanno sulla spalla una stola blu recante il cerchio stellato dell’Unione) che mette in mostra grandi individualità accanto ad una solida compattezza degli insiemi. Noseda ha guidato tutti con grande cura e con ricerca dei mille dettagli che costellano questa partitura. 

Eccoci infine al respighiano Feste romane. Che principia con musica adatta a film-colossal tipo Ursus o Maciste (o magari a Totò e i gladiatori, smile!) per finire con… Lassàtece passà, semo romani (insomma, se non siamo proprio alla vispa teresa, poco ci manca). Questa pagina della partitura testimonia dell’ipertrofia dell’orchestra e degli… eccessi della scrittura respighiana: 


Nel secondo e terzo quadro (pellegrini e ottobrata) ci sono anche momenti di intimismo, che però paiono a me francamente poveri di ispirazione. Ed anche i frammenti di musica popolare ci vengono proposti in modo fin troppo verista e al limite della sguaiatezza, insomma con poca o punta poetizzazione

Un pezzo che comunque dà modo ai ragazzi della EUYO di mettere in  mostra il loro grande talento tecnico, e a Noseda… di irrorare di abbondante sudore il suo nero camicione! Ad una delle chiamate di applausi, il Maestro si porta con sé anche i tre bravissimi suonatori-suonatrici di buccine.   

Bello lo spettacolo dei giovani strumentisti che si baciano ed abbracciano lungamente prima di abbandonare il palco.

Per la Sagra, davvero un ottimo inizio.