ipocrisia pesciarolaia

vado a votare, ma non voto

26 giugno, 2009

L’Aida di Barenboim: “vorrei, non posso”?

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Aida è spettacolo? è grand-opéra? è sfarzo? è potere? è orgoglio? è desiderio? è dramma? è tragedia? è rassegnazione? Non è nessuna di queste singole cose, ma è tutte queste cose insieme. E non disposte in ordine sparso, o in più o meno sensate giustapposizioni, ma in un disegno armonioso e coerente, che descrive una parabola - quella dei sentimenti e della vita dei tre principali personaggi (Aida, Amneris, Radames) nello scenario politico-religioso che li travolge - che tutto meravigliosamente contiene.

Se regista, maestro e cantanti dimenticano, o sottovalutano, o mettono impropriamente in primo piano solo alcuni degli ingredienti, Aida riesce a metà, accontentando ora gli amanti dello sfarzo e del chiasso, ora chi privilegia psicologia, intimismo e dramma.

Come è stata (al mio occhio-orecchio, o cuore-testa) l’Aida di Zeffirelli-Barenboim-cast alla sua terza di ieri sera al Piermarini?

Convincente, non direi proprio. Vero è che questa Aida nacque tre anni fa dal lavoro di una squadra di cui oggi è rimasto solo il regista (peraltro neanche operativo sul cantiere) e che quindi ci sono attenuanti in abbondanza... però siamo alla Scala, dove un retropalco si paga 80€.

I primi due atti - sappiamo - sono infarciti di retorica, enfasi e pompa, ma mai fine a se stesse: Verdi si superò davvero nel non perdere mai il filo del dramma, pur nelle baraonde più colossali. Ecco, Zeffirelli e Barenboim (ma hanno fatto almeno una prova insieme?) mi pare non abbiano assecondato al meglio il disegno verdiano, mancando un sapiente dosaggio dei movimenti dei personaggi e delle sfumature orchestrali: troppo spesso lo sfarzo esteriore e il fracasso musicale si impongono totalmente, finendo per travolgere le pulsioni degli animi dei protagonisti (e soprattutto le loro voci, per di più non strepitose). Un esempio per tutti, il finale Atto II, con Amneris, Aida e Radames che cantano - in contrappunto con gli altri solisti e per di più con il coro e con l’orchestra in forte - tre linee poetiche di contenuto antipodico (Amneris trionfante, Aida disperata, Radames interdetto): un passaggio di difficilissima resa, di cui si perde totalmente la drammaticità se il regista colloca le due rivali e l’uomo di cui sono invaghite a distanze di metri e metri, tutti piuttosto “annegati” fra le comparse, e per di più non li fa minimamente “recitare”; e se il maestro tiene il volume ad un’altezza tale da rendere incomprensibili le diverse linee di canto, compresa quella di Aida, pur dislocata sul proscenio.

Il terzo e quarto atto, che delineano per tutti la parabola discendente, che porta alla fine, alla morte, alla rassegnazione, pur dignitosi in generale (con una punta di merito per O patria mia) non mi paiono tuttavia essere stati percorsi col pathos e con quella sorta di pietà che dalla musica verdiana dovrebbe uscire, anche se qui la regia e le scene sono di una potenza davvero enorme. Certe uscite sferzanti di ottoni e percussioni, a coprire le voci, mi son parse francamente fuori posto.

Insomma, non la definirei proprio un’edizione paradigmatica del capolavoro verdiano, anche per il livello musicalmente non eccelso degli interpreti, che hanno peraltro fatto il massimo che è nelle loro possibilità.

Fraccaro ha una vocina che “non passa”, e il suo esordio ha avuto dell’imbarazzante, travisando totalmente il “morendo” della chiusa di celeste Aida: con un facile gioco di parole si potrebbe dire che vicino al sol lui ci potrebbe arrivare come si deve - cioè come vuole Verdi - se il sol, appunto, fosse sul sòl, e non tre semitoni sopra... (Alagna per molto meno fu triturato nel 2006.)

La Feubel ha una bella voce in alto, adatta al ruolo drammatico, ma in basso non convince (visto che non si sente proprio) al pari della Smirnova, che tende a urlare gli alti e sussurrare i bassi, e che tuttavia non mi sentirei di censurare totalmente. Gli uomini discreti, Pons in testa, ma credo che Barenboim abbia qualcosa sulla coscienza se Cigni e Giuseppini (al pari dello stesso Fraccaro) spesso e volentieri si “vedevano” (non “sentivano”) cantare.

Barenboim, appunto. Dirigere Aida con la partitura sul leggìo, per carità, non è un disonore, ma vorrà pur dir qualcosa, trattandosi di uno che tiene a memoria i colossali tomi wagneriani!

Per il resto, nessun applauso a scena aperta (tranne per il corpo di ballo...) ma anche nessun accenno di disapprovazione; alla fine, un’ovazioncina per Barenboim, un paio di uscite di maestri e protagonisti, poi tutti a scappare... sotto il diluvio scatenatosi su Milano (del quale non daremo però la responsabilità alla recita).
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18 giugno, 2009

Torna Aida di Zeffirelli, ma con Barenboim (upd. 22/6)


Comincio, proprio per rompere il ghiaccio, con una perlina: scopriamo oggi che l’Aida di Zeffirelli del 2006-07 era diretta da Muti, che fa di nome Riccardo, effettivamente, ma che ai tempi era già defenestrato da due anni. Pazienza.

Nel 2009 subentra, ad un italiano germanizzato, un argentino-israeliano più germanizzato ancora: Daniel Barenboim, recordman di direzioni a Bayreuth ed attuale re di Berlino (ex-est) dopo avervi - figurativamente - estromesso Thielemann (peraltro subentratogli chez-Wagner).

Nel 2006 si parlava solo di Zeffirelli; oggi proprio di nessuno, forse perchè non siamo a SantAmbrogio, bensì in estate e per di più tutti intenti ad una difficile programmazione vacanziera: come far quadrare la crisi con le Maldive. Certo dal prossimo autunno il Daniel che si vuol fare anche la Carmen sarà al centro delle polemiche, non solo musicali.

Tornando a bomba, e dato che prima del 20 giugno si può solo parlare di ciò che già fu visto, dico subito che tendo a stare con Zeffirelli. Magari poteva risparmiare impiegando oro finto e non a 24K, però, vivaddio, leggiamo tutti sul libretto che l’opera si apre con a destra e a sinistra, un colonnato con statue e arbusti in fiore. Grande porta nel fondo, da cui appariscono i templi, i palazzi di Menfi e le Piramidi. E poi vediamo tripodi d’oro da cui si innalza il fumo degli incensi. La Scena II del secondo atto è ingombra di popolo. Poi le truppe egizie, precedute dalle fanfare, sfilano dinanzi al Re. Seguono i carri di guerra, le insegne, i vasi sacri, le statue degli Dei. Un drappello di danzatrici che recano i tesori dei vinti. Da ultimo Radamès, sotto un baldacchino portato da dodici uffiziali. Insomma, nei primi due atti ci sono anche ingredienti da Grand Opéra e delle due l’una: o diciamo chiaramente che Verdi fu stupido o succube di forze maligne, oppure bisognerà pur accettare il fatto che lui musicò - stupendamente - anche scene apparentemente pacchiane, esagerate e retoriche. Viceversa, se vogliamo de-pacchianizzare ed attualizzare tali scene (e qualcuno ci ha già pensato) allora dovremmo anche rivedere musica e orchestrazione... cioè fare un’altra Aida.

La dotazione internet per le 6 recite era andata esaurita in pochi minuti, lo scorso aprile: avendo mancato l’appuntamento allora, avevo ormai disperato, quando un piccolo - ma fondamentale - 1 è comparso miracolosamente proprio stamattina e ciò mi consentirà di non perdere un evento che considero interessante.

Vedremo poi all’atto pratico... (intanto di Egitto si parla già in tutti i bar-sport e cortei di auto strombazzanti dei discendenti di Radames attraversano la nostra periferia).

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Update del 22/06

Come d’abitudine, la prima ha avuto le sue belle contestazioni! (Sono curioso di assistere alla terza, perchè - more solito - potrebbe confermare la regola che ultimamente imperversa al Piermarini).

L’AGI (quella che ci ricordava - vedi sopra - che l’Aida zeffirelliana del 2006 era diretta da Muti) ci fa sapere dei buu al Maestro e alla Smirnova, mentre ci notifica il salvataggio degli altri interpreti.

Francamente imbarazzante il commento di Perrino, che ha visto (?!) Amneris interpretata dalla Siri, ma che concorda con Mattioli (Stampa) e Girardi (Corriere) sulla promozione per il buato Daniel. Il quale, l’abitudine (e il coraggio) di sfidare i buanti ce l’ha da mo’ (ultimamente lo dimostrò proprio in Scala dopo un disastroso Imperatore).
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Irma Viganò, gloria della Brianza

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Da sabato 20 giugno a domenica 5 luglio la ProLoco di Besana Brianza organizza una mostra commemorativa di Irma Viganò, la concittadina celebre soprano degli anni ’20, famosa anche oltre oceano.



















Sarà di certo una combinazione, ma è un modo per celebrare anche la nuovissima provincia di Monza-Brianza, fresca-fresca di inaugurazione.

(grazie a Fabiano Brioschi per la segnalazione)
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10 giugno, 2009

Quanto la Musica sia stata da principio semplice, roza, & pouera di Consonanze.






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POICHE nella Prima parte à sufficienza si è ragionato de i Numeri & delle Proportioni; è cosa ragioneuole, che hora si ragioni in particolare, & secondo che tornerà à proposito, di quelle cose, che la Musica considera in uniuersale; come de i Suoni & delle Voci de gl'Interualli, de i Generi, de gli Ordini de Suoni, de i Modi, delle Mutationi, & delle Modulationi; ilche si uedrà più essattamente trattate ne i nostri Sopplimenti. Ma prima che si uenga à tal ragionamento, mostrerò in qual modo la Musica sia stata da principio semplice; & come da gli Antichi era usata; dopoi, ueduto in qual modo i Suoni & le Voci naschino; & fatta la loro diuisione, uerrò à quello, ch'è la mia principale intentione. Dico adunque che se ben la Musica ne i nostri tempi è peruenuta à tal grado & perfettione d'Harmonia, in quanto all'uso de tutte quelle Consonanze, che si possono ritrouare; delle quali alcune appresso gli Antichi non erano in consideratione; & che quasi non si uegga di poterle aggiungere cosa alcuna di nuouo; tuttauia non è dubbio, che da principio (com'è auenuto anco dell'altre Scienze) ella non sia stata non solo semplice & roza; ma etiandio molto pouera di Consonanze. Ilche esser uerissimo ne dimostra quel che narra Apuleio di essa, dicendo; che Da principio si adoperaua solamente il Piffero; non con fori, come quelli, che si fanno al nostro tempo; ma senza, alla simiglianza d'una Tromba; ne si faceuano tante sorti de concenti, con uariati Istrumenti & variati Modi; ma gli Antichi ricreauano i loro spiriti, & si dauano tra loro piacere & solazzo col sopra detto Piffero solamente senza uarietà alcuna di suono. Et tal Piffero vsauano ne i loro publici spettacoli, & ne i loro Chori, quando recitauano le Tragedie, & Comedie; come manifesta Horatio, parlando in cotal modo;

Tibia, non ut nunc, oricalcho uincta, tubaeque

Aemula; sed tenuis, simplexque foramine pauco

Adspirare, & adesse choris erat utilis:

Alquale dopoi Hiagne Frigio à quei tempi dotto nella Musica, che fù padre & Maestro di Marsia, u'aggiunse i fori, & incominciò à sonar quello con uariati suoni; & fu il primo che fece sonar due Pifferi con un sol fiato; & che sonò tale Istrumento con la destra & con la sinistra mano; cioè, mescolò il suono graue con l'acuto, con destri fori & sinistri. Vsarono etiandio gli Antichi da principio la Cetera, ò la Lira con tre chorde, ouer con quattro solamente; della quale fù inuentore Mercurio; come uuol Boetio; & erano in quella ordinate di modo, che la prima con la seconda, & la terza con la quarta conteneuano la Diatessaron; la prima con la terza, & la seconda con la quarta, la Diapente; & di nuouo la seconda con la terza il Tuono; & la prima con la quarta la Diapason, & insino al tempo di Orfeo fu seruato cotale ordine; ilquale fu dopoi accresciuto in uarii Istrumenti; & prima Chorebo di Lidia u'aggiunse la Quinta chorda; dopoi dal sopranominato Hiagne ui fù aggiunta la Sesta; ma la Settima aggiunse Terpandro Lesbio. Et questo Numero de chorde (come dice Clemente Alessandrino) era prima contenuto nell'antica Lira, ò Cetera; dopoi da Licaone da Samo fù aggiunta la Ottaua; ancorache Plinio attribuisca l'Inuentione di tal chorda à Simonide, & della Nona à Timotheo; & Boetio uoglia, che questa chorda sia stata aggiunta da Profrasto Periota, la Decima da Estiacho Colofonio, & la Vndecima da esso Timotheo. Ma sia come si uoglia; Suida attribuisce l'aggiuntione della Decima & della Vndecima chorda à Timotheo Lirico. Et certo è, che da molti altri ue ne furono aggiunte tante, che crebbero al numero de Quindeci. Aggiunsero dopoi à queste la Sestadecima chorda; ne più oltra passarono & si contentarono di tal numero, & le collocarono nell'ordine, che più oltra dimostraremo; diuidendole per Tuoni & Semituoni in cinque Tetrachordi, osseruando le Ragioni delle proportioni Pitagoriche; ritrouate ne i martelli da Pitagora; nel modo che nella Prima parte hò mostrato; le quali conteneuano quelle istesse, che si ritrouauano tra le chorde della sopradetta Cetera, ò Lira ritrouata da Mercurio:













LIRA DI MERCVRIO. Diapason. Diapente. Diapente. Diatess. Tuono. Diatess. Parhypate hypaton. Prima chorda. 12 Parhypate meson. Seconda chorda. 9 Lichanos meson. Terza chorda. 8 Trite diezeugmenon. Quarta chorda. 6

& che nel sottoposto essempio si ueggono. Imperoche il maggiore (come dicono) pesaua libre dodici, l'altro noue, & libre otto il terzo; ma il quarto & minore pesaua libre sei; da i quali numeri Pitagora cauò le Ragioni delle Consonanze musicali; che furono appresso gli Antichi cinque; come narra Macrobio, & nascono da Cinque numeri; il primo de i quali chiamarono Epitrito, il secondo Hemiolio, il terzo Duplo, il quarto Triplo, & il quinto Quadruplo; con uno Interuallo dissonante, ilquale istimauano, che fusse principio d'ogni Consonanza; & lo chiamarono Epogdòo. Di modo che dall'Epitrito era contenuta la Diatessaron, dall'Hemiolio la Diapente, dal Duplo la Diapason, dal Triplo la Diapasondiapente, dal Quadruplo la Disdiapason, & dall'Epogdòo il Tuono Sesquiottauo. Alle qual Consonanze Tolomeo aggiunse la Diapason diatessaron, contenuta dalla proportione dupla superbipartienterza tra 8 & 3. laqual consonanza è posta da Vitruuio anco nel Cap 4. del Quinto libro della Architettura; & da noi nella Vndecima del Secondo delle Dimostrationi è dimostrata esser Consonanza communemente detta. Et ueramente gli Antichi non conobbero altre Consonanze, che le sopradette; le quali tutte da i Musici moderni sono chiamate Perfette; & non haueano per consonanti quelli Interualli, che i Moderni chiamano Consonanze imperfette; cioè, il Ditono, il Semiditono & li due Hexachordi, maggiore & minore; come manifestamente dimostra Vitruuio nel nominato luogo, dicendo; Che nella Terza, Sesta & Settima chorda non si possono far le Consonanze; & questo dice hauendo rispetto alla grauissima d'ogni Diapason; il che si può etiandio uedere in ciascun'altro autore, si Greco, come Latino. La onde da questo potiamo comprendere la imperfettione, che si ritrouaua nell'antiche Harmonie, & quanto gli Antichi erano poueri di Consonanze & di Concenti. Et se bene alcuno, mosso dall'autorità de gli Antichi, laquale è ueramente grande; più tosto che dalla ragione, uolesse dire, che oltra le nominate Consonanze perfette, non si possa ritrouare alcun'altra Consonanza; non dubitarei affermare simile opinione esser falsa; percioche ella contradice al Senso, dal quale hà origine ogni nostra cognitione. Conciosiache niuno di sano intelletto negherà, che oltre le sopradette Consonanze perfette, non si ritrouino ancora le Imperfette, le quali sono tanto diletteuoli, uaghe, sonore, soaui & harmoniose à quelli, che non hanno corrotto il senso dell'Vdito; quanto dir si possa; & sono talmente in uso, che non solo i periti Cantori & Sonatori di qualunque sorte si uoglia Istrumenti le usano nelle lor Harmonie; ma quelli ancora, che senz'hauere alcuna Scienza, cantano & sonano per prattica solamente.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,
Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Seconda Parte. Capitolo 1. (MDLVIII)
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08 giugno, 2009

04 giugno, 2009

Daniele Gatti a Zurigo

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L’annuncio è di oggi: Gatti sarà Direttore Principale dell’Opera di Zurigo per le prossime tre stagioni.

Nella prima dirigerà Elektra, nella seconda Falstaff e Parsifal, nella terza i Meistersinger, Otello e un altro lavoro ancora non annunciato (ma sarà una prima per Zurigo). In più, una serie copiosa di concerti.

I titoli parlano da soli: siamo al top di Wagner, Verdi e Strauss... poco altro da aggiungere.
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PS: mi fa giustamente notare Marco (vedi commenti) che la terza opera sarà una che ebbe la prima a Zurigo.

27 maggio, 2009

Scala sempre più in Europa


Delle 10 opere incluse in abbonamento, solo 4 sono italiane: Rigoletto, Simon, L’Occasione, L’Elisir. Le ultime due per di più dislocate in autunno 2010, cioè lontane dal cuore della stagione.

Fuori abbonamento un Barbiere, cui fa compagnia un DonGiovanni.

Per il resto: Wagner (2), Bizet, Janáček, Berg e Gounod. Insomma, Francia e Mitteleuropa.

Qualcuno si lamenta per il poco o nullo spazio lasciato agli italiani e ai barocchi, reclamando per la Scala un ruolo di valorizzazione del prodotto interno. Il che ha giustificazioni tutt’altro che peregrine, ma quando il sovrintendente arriva da Aix e l’ispiratore della produzione musicale da Bayreuth, via Berlino... significa che qualcuno - chi ingaggia tali figure - ha imboccato una strada ben precisa e ben sapendo dove si andava a parare.

Dopodichè c’è chi (come il sottoscritto) si è affrettato a procurarsi un abbonamento - cosa che non faceva da anni - trovando il cartellone mitteleuropeo di Lissner-Barenboim di alto profilo e sicuro interesse (ovvio che si tratta di giudizio squisitamente personale).

Vedremo sul campo - registi, cast e direttori - se le promesse verranno mantenute.
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25 maggio, 2009

Prêtre alle prese con Mahler

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Il venerabile Georges è tornato alla Scala (vuoti alcuni palchi e posti di platea, a dispetto della disponibilità zero che compare in internet su tutti i 3 concerti) con la Quinta di Mahler. Al termine lo ha accolto un’ovazione, seguita da un lungo applauso ritmato: un vero e proprio oscar alla carriera, direi.

A 85 anni non si fanno balzi - nè si emettono grugniti - alla Oren, non si agitano braccia e chiome, alla Dudamel: è già molto se si resta in piedi, senza chiedere uno sgabellone su cui appoggiare di tanto in tanto le sacre chiappe. Tuttavia, a dispetto dell’età, o forse perchè il gran vecchio è certo che gli si perdonerà tutto, il maestro non ha lesinato gigionerìe e ritocchi alla partitura.

Ad esempio: l’incipit, dopo gli squilli della trombetta d’ordinanza, è stato da marcia funebre sì, ma su una salita con pendenza 20%... da far sembrare Klemperer un velocista. Poi il secondo tema viene invece attaccato con un cambio di velocità di cui non v’è traccia sul pentagramma. Stessa cosa nel corale che chiude il secondo tempo. Si dirà: non facciamo troppo gli schizzinosi, certo. Però qui si parla di Mahler, uno che sulle partiture scriveva anche con quale dito girare le pagine, figuriamoci...

L’orchestra (rinforzate di un’unità le sezioni dei corni e dei clarinetti - ma ce n’era proprio bisogno? il settimo cornista ha addirittura sonnecchiato per il 90% del tempo) non mi è parsa in una delle migliori serate: in particolare i corni (siamo alle solite) che, dopo aver resistito strenuamente fino a metà dello scherzo, sono progressivamente scivolati in una serie di evidenti défaillances. Anche il primo corno (ottimo peraltro nell’obbligato dello scherzo) non è stato esente da imprecisioni. Una doverosa citazione invece per oboi e clarinetti, che Mahler costringe spesso e volentieri a suonare con campana all’insù, quindi in posizione assai precaria (testa all’indietro, e occhi puntati sul loggione anzichè sulla parte...)

Prêtre ha dato briglia sciolta alle percussioni, quasi a voler ribadire che questa è una sinfonia per batteria e orchestra, come l’aveva subito etichettata la giovane, bella e musicalissima Alma. Intelligente la scelta di insediare l’arpa in avanti, nel bel mezzo degli archi, proprio sotto lo sguardo del maestro: in modo da fare concerto nell’Adagietto tanto caro a Visconti (durata: 10 minuti, qui siamo stati effettivamente nella media).

In definitiva: una quinta non proprio da antologia, certamente migliorabile con qualche prova in più, per le serate di mercoledì e giovedì.
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11 maggio, 2009

Quali cose nella Musica habbiano possanza da indur l'Huomo in diuerse passioni. (cont.)














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Ritrouo adunque che Quattro sono le cose, le quali sempre hanno concorso insieme in simili effetti; delle quali mancandone alcun, nulla, ò poco si potea uedere. Era la prima l'Harmonia, che nasceua da i suoni, ò dalle Voci; la seconda il Numero determinato contenuto nel Verso; il qual nominiamo Metro; la terza la Narratione d'alcuna cosa, la quale conteneua alcuno costume; & questa era la Oratione, ouero il Parlare; la quarta & ultima poi; senza la quale nulla, ò poco si potea uedere; era un Soggetto ben disposto, atto à riceuere alcuna passione. Et questo può esser manifesto; percioche se noi al presente poniamo in atto la semplice Harmonia, senz'aggiungerle alcuna altra cosa; ella non hauerà possanza di fare alcuno effetto estrinseco de i sopranarrati; ancora c'haurà possanza ad un certo modo, di dispor l'Animo intrinsecamente ad esprimere più facilmente alcune passioni, ouero effetti; come è ridere, ò piangere; com'è manifesto; che s'alcuno ode una cantilena, che non esprima altro che l'Harmonia; piglia solamente piacere di essa, per la proportione, che si ritroua nelle distanze de i suoni, ò uoci, & si prepara & dispone ad un certo modo intrinsecamente alla allegrezza, ouero alla tristezza; ma non è però indotto da lei ad esprimere alcuno effetto estrinseco de i sudetti, ouer fare alcuna altra cosa manifesta. Ma se à tale Harmonia si aggiunge il Numero determinato & proportionato; subito ella piglia gran forza, & muoue l'Animo; come si scorge nell'Harmonia, che si ode ne i Balli, la quale spesso ne inuita ad accompagnar seco alcuni mouimenti estrinsechi col corpo, & à mostrare il piacere, che pigliamo di tale aggiunto proportionato. Aggiungendo poi à queste due cose la Oratione; ò il Parlare, il quale esprima Costumi col mezo della narratione d'alcuna Historia, ò Fauola; è impossibile di poter dire quanta sia la forza di queste tre cose aggiunte insieme. E' ben uero, che se non ui si trouasse il Soggetto disposto; cioè, l'Vditore, ilquale udissi uolentieri queste cose, & in esse si dilettasse; non si potrebbe uedere alcun'effetto; & nulla, ò poco farebbe il Musico. Percioche si come auiene al soldato, che per esser naturalmente inchinato alle cose della guerra è poco mosso da quelle, che trattano la pace & la quiete; & alcune uolte è alterato da i ragionamenti d'Arme & de cose campestri, che molto li dilettano; cosi il ragionar dell'Arme nulla, ò poco diletto porge all'Huomo, che sia per natura pacifico, quieto & religioso; Ma si bene il ragionar delle cose di pace & della gloria celeste molte uolte li muouono l'animo & lo costringono per dolcezza à piangere. Et si come poco possono mouer i casti ragionamenti il Lussurioso; cosi gli altri, che sono lasciui & sporchi annogliano il Temperato & casto; imperoche ogn'uno uolontieri ode ragionare di quella cosa, della quale maggiormente si diletta; & da simili ragionamenti è sommamente mosso; & per il contrario, hà in odio quelli, che non sono conformi alla sua natura; onde da simili ragionamenti non può esser commosso. Per la qual cosa, se Alessandro figliuolo di Filippo Re di Macedonia fu indotto da Timotheo musico, ò da Senofanto (com'alcuni uogliono) à prender l'arme con gran furore; non dobbiamo marauigliarsi; percioche era in tal maniera disposto, che uolontieri, & con sommo piacere vdiua ragionamenti, che trattauano delle cose della guerra; & da tali ragionamenti era indotto à far cose marauigliose. Onde ben lo dimostrò un certo huomo ad alcuni, che si marauigliauano, che la Musica hauesse in lui tanta forza, dicendo; Se questo Senofante è huomo tanto ualoroso, come di lui si dice; perche non ritroua egli alcuni modi, i quali lo riuochino dalla battaglia? Volendo inferire, che non è gran cosa & di molta arte, spinger l'Huomo da quella parte, nella quale per sua natura è inchinato; ma si bene è cosa marauigliosa à ritirarlo da quella; & è cosi in uero. Però se Alessandro ad altro non attendeua, che à quelle cose, le quali poteuano condurlo ad una gloria immortale, che erano l'Arme; non era cosa difficile di poterlo indurre à far li narrati effetti; della qual gloria quanto fusse ambitioso & sitibondo, da questo si può comprendere; che cercò d'auanzare ogn'altro; ne hebbe inuidia à chiunque si fusse nelle arme; percioche ad alcuno mai non si riputò in cotal cosa inferiore; se non ad Achille, per hauere hauuto Homero, che con si sublime stile cantò di lui; onde lo dimostrò; percioche si legge, che

Giunto Alessandro alla famosa tomba
Del fero Achile, sospirando disse:
O fortunato, che si chiara tromba
Hauesti, che di te si alto scrisse.

Si ricerca adunque un Soggetto tale, che sia ben disposto; conciosia che senza esso (come ancora hò detto) nulla ò poco si uederebbe. Et benche in simili mouimenti fatti per la Musica, ui concorrino le nominate cose; nondimeno il preggio & l'honore si dà al Composto delle tre prime, che si chiama Melodia; percioche se ben l'Harmonia sola hà una certa possanza di dispor l'animo & di farlo allegro, ò mesto; & che dal Numero posto in atto le siano raddoppiate le forze; non sono però potenti queste due cose poste insieme di generare alcuna passione estrinseca in alcun soggetto, al modo detto; essendoche tal possanza acquistano dalla Oratione, che esprime alcun costume. Et che questo sia uero, lo potiamo uedere; percioche Alessandro non fù mosso dall'Harmonia solamente; ne meno dall'Harmonia accompagnata col Numero; ma si bene (come uuole Suida, Euthimio & altri ancora) dalla legge Orthia, di sopra commemorata, & dal Modo Frigio; dal qual, & forse anco da tal Legge, il sudetto giouane Taurominitano ebbrio (come narra Boetio) fù sospinto, quando uolse abbrusciar la casa d'un suo riuale, nella quale era nascosta una meretrice; la onde Pitagora ò Damone Musico, che ei fusse; come scriue Galeno; conoscendo tal cosa, commandò al Musico, che mutasse il Modo & cantasse lo Spondeo, col quale placò l'ira del Giouane & lo ridusse al primo stato. Arione etiandio Musico & inuentore del Dityrambo (secondo l'opinione di Herodoto, & di Dion Chrisostomo ) prese ardire di precipitarsi nel mare, hauendo (per mio parere) cercato di comporsi prima col mezo di cotal Legge (come recita Gellio) un'animo intrepido & uirile; per poter fare cotal cosa senz'alcun timore. Hora potiamo uedere, che tali & cosi fatti mouimenti sono stati fatti, non per uirtù delle prime parti della Melodia; ma si bene dal tutto; cioè, dalla Melodia istessa, la quale ha gran forza in noi, per uirtù della terza parte; cioè, delle Parole, che concorrono alla sua compositione, senza le quali sempre si haurebbe fatto, ò farà nulla ò poco; percioche il Parlare da sè senza l'Harmonia & senza il Numero hà gran forza di commouer l'Animo; conciosia che se noi haueremo riguardo à cotal cosa, uederemo ch'alcune fiate, quando udimo leggere, ò raccontare alcuna Fauola, ouero Historia, siamo costretti ridere, ò piangere; & alcune uolte c'induce all'ira & alla colera; & alle fiate di mesti ne fà diuentare allegri; & cosi per il contrario; secondo il soggetto che in essa si contiene. Ne dobbiamo di ciò marauigliarsi: percioche il Parlare ne induce alla furia & ne placa; ne fà esser crudeli & anco ne addolcisce. Quante uolte è accaduto, che leggendosi semplicemente una pietosa Historia, ò Nouella, gli ascoltanti non siano stati presi da compassione in tal modo, che al loro dispetto dopo alcuni sospiri, li sia stato dibisogno accompagnarli le lagrime? Dall'altra parte, quante fiate è auenuto, che leggendosi, ò narrandosi alcuna Facetia, ò Burla, alcuni non siano quasi scoppiati dalle risa? Et non è marauiglia; percioche il più delle uolte se 'l si rappresenta à noi alcuna cosa degna di commiseratione, l'animo è commosso da lei & è indutto à piangere; & se udimo cosa, la quale habbia del feroce & del crudele, l'animo declina & si piega in quella parte. Et di ciò (oltra ch'è manifesto) n'è testimonio Platone, quando dice; che Qualunque uolta udimo Homero, ouer alcun altro Poeta tragico, che imiti alcuno de gli Heroi afflitto per il dolore gridar fortemente & pianger la sua fortuna con modi flebili, percuotendosi il petto con pugni; ad un certo modo si dilettiamo; & hauendo una certa inclinatione à coteste cose, seguitiamo quelle & insieme siamo presi da tal passioni, & lodiamo quello, come buon Poeta, il qual grandemente commuoua l'animo nostro. Questo ancora più espressamente conferma Aristotile, dicendo; Ancora si uede, che gli Huomini udendo l'Imitationi, hanno compassione à quei casi, quantunque siano senza Numero & senz'Harmonia. Ma se 'l Parlare hà possanza di muouer gli animi & di piegargli in diuerse parti, & ciò senza l'Harmonia, & senza il Numero; maggiorimente haurà forza quando sarà congiunto co i Numeri, & co i Suoni musicali, & con le Voci. Et tal possanza si fà chiaramente manifesta per il suo contrario; percioche si uede, che quelle Parole muouono men l'animo, le quali sono proferite senza Melodia & senza Proportione, che quelle, che sono proferite con i debiti modi. Però gran forza hà da se stesso il Parlare; ma molto più hà forza quando è congiunto all'Harmonia; per la simiglianza che hà questa con noi & alla potenza dell'Vdito; conciosiache niuna cosa è tanto congiunta con le nostre menti; come dice Tullio; che i Numeri & le Voci, per le quali si commouiamo, infiammiamo, plachiamo & rendiamo languidi. Non è questo gran marauiglia; dice egli ancora; che i sassi, le solitudini, le spelunche, & gli antri rispondono alle uoci? & le bestie crudeli & feroci spesse uolte sono dal canto fatte mansuete, & da esse sono fermate? Nè ci dobbiamo di ciò marauigliare; conciosia che se 'l uedere una Historia, ò Fauola dipinta solamente, ne muoue à compassione tallora, tallora ne induce à ridere; & tallora ne sospinge alla colera; maggiormente questo può fare il Parlare, il qual meglio esprime le cose, che non fà alcun Pittore, quantunque eccellente sia, col suo pennello. Onde si legge di uno, ilquale riguardò una imagine dipinta, & fù sospinto à piangere; & di Enea, che entrato nel tempio fabricato da Didone nella nuoua Carthagine;

Videt Iliacas ex ordine pugnas,
Bellaque iam fama totum vulgata per orbem,
Atridas, Priamumque & saeuum ambobus Achillem.
Constitit; & lachrymans: Quis iam locus (inquit) Achate,
Quae regio in terris nostri non plena laboris?
En Priamus: sunt hîc etiam sua premia laudi:
Sunt lachrymae rerum, & mentem mortalia tangunt.
Solue metus; feret haec aliquam tibi fama salutem.
Sic ait: atque animum pictura pascit inani.
Multa gemens, largoque humectat flumine uultum.

Et di Porcia figliuola di Catone Vticense si legge ancora, che hauendo ueduto una certa Tauola di pittura, pianse amaramente. Et benche la Pittura habbia forza di commouer l'animo; nondimeno maggior forza hebbe la uiua uoce di Demodoco Musico & sonatore di Cetera, il quale riducendo in memoria Vlisse, dipingendoli le cose passate, come se li fussero state presenti, lo costrinse à piangere; dal qual effetto; come dice Homero & Aristotele; fu subito conosciuto dal Re Alcinoo. Ma non pure allora accascarono coteste cose; ma etiandio à i nostri tempi si uede accascare il medesimo tra molte genti Barbare; imperoche raccontandosi da i lor Musici con certi uersi al suono d'uno Istrumento i fatti di alcuno loro capitano; secondo le materie, che recitano, quelli ch'ascoltano cambiano il uolto, facendolo per il riso sereno, & tallora per le lagrime oscuro; & per tal modo sono presi da diuerse passioni. Si può adunque concludere, che dalla Melodia; & principalmente dalla Oratione, nella quale si contenga alcuna Historia, ò Fauola, ouero altra cosa simile, che esprima imitationi & costumi, siano stati & ancora si possino porre in atto cotali effetti; & l'Harmonia & il Numero esser cose, le quali dispongono l'animo; purche 'l Soggetto sia sempre preparato & disposto; senza il quale in uano ogni Musico sempre si affaticarebbe.
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ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,
Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Seconda Parte. Capitolo 7. (MDLVIII)
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