ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

16 ottobre, 2019

laVerdi-19-20 - Concerto n°3 (anteprima)


Il terzo appuntamento stagionale de laVerdi (in programma venerdi e domenica) ha avuto nel pomeriggio una speciale anteprima (una specie di seconda prova generale) nel bellissimo Auditorium della IULM, la giovane quanto già affermata Università milanese (operante anche a Roma) che ha la sua modernissima sede a 2-3 tiri di schioppo dall’Auditorium di Largo Mahler. E anche (soltanto un tiro in più...) dall’Università Luigi Bocconi, nella quale Facoltà di lingue straniere (inopinatamente chiusa nel 1968) operavano i due fondatori della IULM: Silvio Baridon e Carlo Bo, i quali risposero alla chiusura della Facoltà bocconiana con la creazione di un’Università specializzata in lingue moderne, poi allargatasi al più vasto mondo delle arti e della cultura.

E proprio in nome di questi nuovi orizzonti, e per festeggiare la conclusione di un importante progetto di ricerca sulla produzione artistica degli ultimi 50 anni, è nata la commissione che l’Università ha fatto a Nicola Campogrande (vecchia voce - e pure sexy - di Radio3) per la composizione di una nuova opera musicale, intitolata Le sette mogli di Barbablù. Il coinvolgimento de laVerdi è legato agli stretti rapporti culturali esistenti con l’Università e all’ormai consolidata consuetudine del compositore con l’Orchestra, che ebbe il suo culmine in occasione della stagione dell’EXPO, prima che Campogrande approdasse al prestigioso incarico di Direttore Musicale del MITO.

Adesso però arrivano le cattive notizie... Presumibilmente a causa di carenze nella pubblicizzazione dell’iniziativa, è accaduto che nella sala dell’Auditorium principale dello IULM-6 di via Carlo Bo (600+ posti) fossero sedute meno persone di quante gremivano il palchetto sul quale era sistemata l’Orchestra! Ahi ahi... spettacolo assai desolante, devo dire, soprattutto perchè nei paraggi era tutto un pullulare di giovani studenti che avevano appena terminato le attività della loro giornata in ateneo e ai quali avrebbe fatto un gran bene assistere all’evento. Così l’inossidabile Ottavia Piccolo (voce narrante nell’opera), il Direttore Principale Ospite Patrick Fournillier, tutti i ragazzi dell’Orchestra e naturalmente il compositore hanno potuto ricevere l’applauso di soli pochi intimi (sono certo che le cose andranno diversamente venerdi e domenica in Largo Mahler).
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Il soggetto è tratto da Les sept femmes de la Barbe-Bleue di Anatole France (1886), una simpatica, fantasiosa e (dall’apparenza) scientifica ricostruzione della leggenda del famoso personaggio creato attorno al 1660 da Charles Perrault, volta a smentire tutte le dicerie (incluse altre opere letterarie e teatrali) sorte su di lui come serial-killer di giovani mogli. Innanzitutto Barbablù viene identificato in tale Bernard de Montragoux, signorotto proprietario di un castello (les Guillettes) ubicato nella foresta fra Compiègne e Pierrefonds (un centinaio di Km a nord di Parigi).

In sostanza, il tanto vituperato Barbablù era - secondo France, e a dispetto della sua figura imponente e dello sguardo spiritato - una persona mite e sensibile, che non ebbe alcuna responsabilità per la scomparsa delle sei mogli ed anzi fu vittima della macchinazione della settima e della di lei famiglia, amante compreso. In questa fiction - un vero scoop ante-litteram, con tanto di citazioni di fonti, testimonianze e documenti - France ricostruisce le identità di tutte le mogli di Barbablù e le vicende che portarono alla morte (o alla scomparsa) delle prime sei e poi all’assassinio di Barbablù da parte della settima. Spiega anche ciò che si trovava nella famosa stanza proibita (la stanzetta delle principesse sfortunate) del castello delle Guillettes: affreschi e dipinti fiorentini raffiguranti appunto donne sfortunate della mitologia, vittime di vicende cruente, e il pavimento di porfido che dava all’ambiente un colore rossiccio, facendolo sembrare imbrattato di sangue. 
   
Prima moglie: Colette Passage, ammaestratrice di orsi, si stancò presto del ménage familiare e si dedicò sempre più spesso alla sua bestia preferita. Scomparve misteriosamente dopo aver visitato la stanza segreta, e non fu mai più ritrovata.

Seconda moglie: Jeanne de la Cloche, una donna alcolizzata che Barbablù cercò invano di riportare ad una vita più sobria. Un giorno, dopo aver accoltellato il marito credendolo intenzionato ad avvelenarla, lei entrò ubriaca nella stanza segreta, scambiò i dipinti per donne in carne e ossa, assassinate, fuggì invano rincorsa dal marito ferito che cercava di salvarla e si gettò in uno stagno, affogando.  

Terza moglie: Gigonne Traignel, figlia di un fattore di Barbablù, guardiana d’oche, sempre calzante zoccoli e puzzolente di cipolla. Diventata con il matrimonio donna ricca e nobile, le sue pretese di lusso divennero smodate, così come il desiderio insoddisfatto di essere ricevuta a Corte per diventare la favorita del Re. Delusa, si prese un’itterizia che la portò alla tomba. E Barbablù ne fece costruire per lei una davvero sontuosa.

Quarta moglie: Blanche de Gibeaumex, figlia di un militare ferito-di-guerra (ad un orecchio!) che convinse un riluttante Barbablù a sposarla. Poi lei si mise a tradirlo con diversi amanti, finchè un giorno un amante abbandonato non la trovò nella stanza segreta in intimità con un nuovo amante, e la infilzò con la sua spada. La scoperta del cadavere non fece che peggiorare la reputazione di quella stanza segreta.

Quinta moglie: furono i medici a consigliare a Barbablù, distrutto dal dolore e in preda a una grave crisi che l’aveva ridotto in pericolo di vita, un nuovo matrimonio. Angèle de la Garandine era una sua cugina nullatenente e così Barbablù era certo che gli sarebbe rimasta fedele e riconoscente. Lei era però talmente ingenua e credulona che un giorno - mentre Barbablù era a caccia di beccacce - si fece convincere da un frate questuante a salire sul suo asino per andare nel bosco dove l’attendeva l’Arcangelo Gabriele per farle indossare delle giarrettiere di perle... Forse se la mangiò un lupo (!) dato che non fu più ritrovata.

Sesta moglie: Alix de Pontalcin, una povera orfanella, spogliata di tutti i suoi averi da uno sbifido tutore, era sul punto di entrare in convento, ma fu convinta da amici a sposare Barbablù. Purtroppo però lei rifiutò pervicacemente di consumare il matrimonio, tanto che il marito chiese al Santo Padre l’annullamento del legame secondo il diritto canonico, ottenendo il divorzio anche grazie a sostanziose donazioni alla Chiesa. Barbablù giurò a se stesso che mai più una femmina avrebbe messo piede in casa sua!

E veniamo al clou della storia, la settima moglie: dopo alcuni anni, durante i quali erano cresciute in paese le più fantasiose ed anche orripilanti supposizioni sulla fine che avevano fatto le mogli di Barbablù, prese dimora nel maniero di Motte-Giron, a poca distanza dal castello del sei-volte-vedovo (o divorziato...) una certa signora Sidonie de Lespoisse, vedova con quattro figli, due femmine e due maschi. Il suo passato e l’identità del defunto marito restarono sempre un mistero: chi diceva che lui avesse trafficato in Spagna e Savoia, chi sosteneva fosse morto in India; alcuni giuravano che la vedova avesse immensi possedimenti, altri ne dubitavano assai.

Sta di fatto che lei faceva gran sfoggio di opulenza, invitando tutta la nobiltà del circondario alle feste nel suo maniero. La sua figlia maggiore, Anne, era diventata una donna assai abile (dopo aver pettinato Santa Caterina!); quella minore, Jeanne, era in età da marito, ma nascondeva dietro un’apparente ingenuità una precoce esperienza del mondo. I due maschi erano militari: Cosme, arruolato nei Dragoni, era un poco di buono, gran briccone e abile cornificatore. Il fratello Pierre, Moschettiere, al confronto era una brava persona, anche se era a sua volta un donnaiolo e si manteneva con le vincite al gioco delle carte. La signora Lespoisse era in realtà povera in canna e tutto ciò che possedeva erano prestiti ricevuti da usurai parigini, che pretendevano che lei sposasse una delle sue figlie a qualche facoltoso signorotto, minacciando in caso contrario di toglierle tutto: ormai si vedeva nuda in una casa vuota...

Fu allora che mise gli occhi su Barbablù e gli fece visita con la prole in pompa magna e per ben 15 giorni, insieme ad un certo cavaliere de la Merlus, che organizzava battute di caccia e scherzi notturni, vinceva regolarmente al gioco e soprattutto non toglieva mai gli occhi dalla bella Jeanne (senza che Barbablù sospettasse di nulla... lui si era bevuto che i due fossero fratelli di latte) con la quale si appartava nottetempo, finite le feste e i giochi.

Finalmente Barbablù si decise e chiese la mano proprio della più giovane delle due sorelle. Il matrimonio fu celebrato con gran sfarzo a Motte-Giron, anche se gran parte delle preziose suppellettili e dei lussuosi abiti della padrona di casa e dei suoi congiunti erano stati affittati da ebrei parigini, che se li riportarono via subito dopo il termine della cerimonia.

Fu così che, sotto la sapiente regìa della madre - la più gran filibustiera di Francia - l’intera famiglia di Jeanne si installò presso Barbablù, incluso l’intraprendente de la Merlus, che non si staccava un attimo dalla sposa. Un bel giorno Barbablù dovette fare un viaggio di sei settimane per gestire l’eredità di un cugino, morto in battaglia come un eroe, ehm... colpito da una palla vagante di colubrina mentre giocava a dadi su un tamburo! Prima di partire invitò la moglie a trascorrere i giorni in sua assenza invitando amici e avendo un buon tempo; le diede anche tutte le chiavi del castello (appartamenti, dispense, casseforti) compresa quella della stanza segreta.

Ma mentre Perrault narra che le proibì severamente di accedere a quel luogo, in realtà Barbablù si limitò a metterla in guardia dal visitarlo, a causa della sua cattiva fama (dalla quale le precedenti mogli avevano tratto parecchio nocumento). Invece la disinvolta Jeanne non esitava ad abbandonare la compagnia degli amici che le rendevano visita per correre proprio nella stanza segreta. Ma non - come scrive sempre Perrault - per morbosa curiosità, bensì per... interesse sessuale: laggiù l’attendeva regolarmente il brillante (e ben dotato, evidentemente) de la Merlus! 

Ma se si fosse trattato solo di corna, la cosa avrebbe fatto in fin dei conti poco scandalo: anche il più severo dei moralisti avrebbe trovato qualche vaga ragione per giustificare quei comportamenti, abbastanza usuali. No no, la cosa grave è che Jeanne progettò a mente fredda l’assassinio del marito! In combutta con la sorella Marie (artefice del complotto); con i fratelli (dietro la promessa di una brillante carriera miliare); con la madre e - ça va sans dire - con il suo amante de la Merlus.

Barbablù ritornò a casa un po’ prima del previsto, ma non per cogliere la moglie in flagrante, bensì convinto di farle una bella sorpresa. Lei gli restituì le chiavi, ma Barbablù si accorse che quella della stanza segreta doveva essere stata usata: così si disse dispiaciuto, augurandosi che quella visita non dovesse portare qualche disgrazia a tutti. In quel momento Jeanne gridò che la stavano ammazzando, richiamando l’amante e i fratelli. De la Merlus balzò fuori da un armadio ma, da solo, fu presto immobilizzato dal corpulento Barbablù. Allora Anne, accorsa sul posto, chiamò finalmente i fratelli che fecero irruzione nella stanza e trafissero alle spalle il padrone di casa.

Jeanne rimase unica ereditiera di tutte le sostanze del marito: diede una dote alla sorella, acquistò i gradi di capitano per i fratelli e sposò felicemente de la Merlus, che divenne istantaneamente un uomo di specchiata onestà!
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Il melologo di Campogrande (tre quarti d’ora o poco più) prevede una voce narrante, la splendida 70enne (più una settimana!) Ottavia Piccolo, che espone il racconto, una libera riduzione del testo di Anatole France tradotto da Paola Verdecchia, mentre l’Orchestra ne sottolinea i passi salienti, un po’ come accade alle musiche di scena di buona memoria. Sono in tutto 20 numeri musicali con agogica prevalentemente di Andante e Largo (una sola punta di Allegro) che normalmente si intercalano con le parti del racconto, raramente sovrapponendosi alla voce.

Campogrande non ha mancato, introducendo la recita, di lanciare pesanti frecciate ai movimenti che caratterizzarono la musica del ‘900 come fenomeno di totale rottura con ogni tradizione (la musica andò da una parte, il pubblico dall’altra...) e ha rivendicato il ritorno a quella tradizione, di cui lui è interprete convinto. La sua è musica assolutamente diatonica, apparentabile a quella delle grandi colonne sonore dei film (l’attacco pare proprio Korngold!) Devo dire che i vari brani evocano con una certa efficacia le diverse atmosfere e anche le diverse personalità che si incontrano nel soggetto di France: sono di ascolto piacevole e tutto il melologo scorre via con buon ritmo e senza cadute di tensione, godibile e scevro da astruse cerebralità. Il che non è poco; e avrebbe meritato più... audience!

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