ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

14 giugno, 2019

laVerdi 18-19 - Concerto n°32


L’ultimo concerto della stagione 18-19 è affidato al redivivo Hannu Lintu, tornato sul podio dell’Auditorium dopo tre anni per proporci due celeberrimi brani composti a cavallo tra ‘800 e ‘900.

Ad interpretare il primo, il Concerto per violoncello di Dvořàk è il sommo Giovanni Sollima, il cui sito web è davvero lo specchio del suo eclettismo (!) Ma lui è anche (e soprattutto) capace di succhiar fuori dal suo Ruggieri-1679 suoni che paiono arrivare dalle profondità dello spazio siderale, che è come dire... dal paradiso! E ieri sera è stato davvero superlativo, così come apprezzabile è stato il contributo di Direttore e Orchestra (ai quali si può muovere l’appunto di qualche dinamica troppo spinta che ha talvolta sommerso il solista...)

A lui questo amabile Dvořàk deve fare solo il solletico se, finito tra applausi e ovazioni il concerto, si è esibito in ben tre encore, due immersi nella sua modernità e il terzo nello zen (parole sue) del Preludio alla Prima suite in SOL di Bach.
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Infine lo stravinskiano Sacre, che dopo più di un secolo (precisamente 106 anni!) ancora non cessa di scandalizzare, con le sue sonorità barbariche, le sue dissonanze, poliritmie e politonalità. Confesso che ogni volta che mi preparo ad ascoltarlo mi rivedo quella straordinaria lezione di Lenny Bernstein ad Harvard su Stravinski, illuminante come poche. Come trascinante è questa sua interpretazione con la LSO, che ci serve da guida per l’esplorazione di questo incredibile capolavoro.
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Parte I - Il bacio della terra

(48”) Introduzione. Il fagotto, nel registro sovracuto, intona una mesta melopea di origine popolare lituana (Tu, mia piccola sorella) poi raggiunto da clarinetti, clarinetto piccolo, clarinetti bassi, corno inglese, corni. Sembra di assistere per suoni al risveglio della natura, un indistinto Waldweben pagano, che si ingrossa sempre più con l’intervento degli archi, mentre i legni emettono ad intermittenza improvvisi fruscii. A 3’28” si fa improvvisamente silenzio, il fagotto torna per tre battute a far udire la sua melopea. Ancora fremiti di clarinetti e clarinetto basso, quindi i violini attaccano una scansione di semicrome in pizzicato che prepara il terreno per...

(3’59”) Auspici di primavera - Danza delle adolescenti. È il primo momento in cui incontriamo due delle componenti caratteristiche dell’opera: il ritmo e la politonalità. Qui siamo ancora alla regolare monoritmia, ma nel seguito Stravinski si sbizzarrirà in fantastiche, incredibili poliritmie. Tuttavia alla regolare scansione di crome il compositore associa subito secchi accordi di otto corni (più avanti anche di ottavino e clarinetto piccolo) che rompono la simmetria del discorso, creando un’atmosfera di grande instabilità. Quanto ai barbari strappi negli archi, come ben avverte Bernstein, non si tratta di note buttate lì a casaccio, ma della sovrapposizione di due chiari e precisi accordi (bitonalità): settima di dominante sul MIb in violini e viole; triade perfetta di MI (FAb) maggiore in celli e bassi. E gli strappi degli otto corni sovrappongono parimenti quegli stessi accordi. Subito dopo (4’09”) ecco la tri-tonalità: corno inglese (settima di dominante sul MIb); fagotti (triade perfetta di DO maggiore) e celli (triade perfetta di MI maggiore)! Più avanti ecco nel corno (5’40”) il motivo legato alle fanciulle che si mettono a danzare e quindi nelle trombe (6’16”) un anticipo delle successive Carole di primavera. La danza cresce fino a sfociare direttamente nel successivo...    

(7’15”) Rituale del rapimento. L’atmosfera si surriscalda, i ritmi si accavallano, siamo in presenza di una vera caccia ad una preda che fugge a rotta di collo, inciampando ripetutamente su ostacoli del terreno, con cani che la inseguono senza tregua, fino al momento della... cattura!

(8’29”) Carole di primavera. Sui trilli dei flauti il clarinetto piccolo e quello basso espongono una melodia che fu presa da Stravinski dallo stesso album di folclore lituano (trovato a Varsavia) da cui trasse l’assolo iniziale del fagotto. A 8’55” il tempo si fa pesante e a 9’32” ecco tornare il tema della danza delle adolescenti, poi ancor più appesantito, se possibile (10’25”) finchè si arriva (11’07”) ad un’orgiastica esplosione dell’intera orchestra che infine si acqueta (11’23”) con il ritorno alla tranquillità originaria e la ripresa in flauto e clarinetto piccolo della melodia lituana che aveva aperto la sezione.

(11’55”) Rituali delle tribù rivali. Qui diverse sezioni dell’orchestra evocano il fronteggiarsi di tribù rivali, con furibondi interventi dei timpani a scandire il truce rituale. Vi risentiamo anche un tema preso dal precedente Rituale del rapimento. Alla fine tutto si acqueta e ci si prepara al successivo...   

(13’44”) Corteo del vecchio saggio. Questa è la sezione dove Stravinski, oltre alla politonalità negli ottoni, inventa una strepitosa poliritmia nell’intera orchestra: a 14’01” su un metro-base di 6/4 innesta una serie di ritmi in 2, 3, 4 e 8 che evocano davvero un corteo di persone ciascuna delle quali (un diverso strumento dell’orchestra) procede con un suo proprio passo!

(14’19”) Adorazione della terra del vecchio saggio. É una breve pausa: il vecchio saggio si china e bacia la terra.

(14’42”) Danza della terra. È un’atmosfera davvero indiavolata (incluso il diabolus-tritono DO-FA# negli ottoni) caratterizzata da un basso ostinato che esplora - altra trovata di Stravinski - una scala a toni interi (DO-RE-MI-FA#-SOL#-SIb). Ci conduce vorticosamente alla repentina chiusura della prima parte dell’opera.   


Parte II - Il grande sacrificio

(16’28”) Introduzione. È un’atmosfera ovattata e misteriosa quella creata da Stravinski per introdurre la seconda parte dell’opera. Vi emergono isolati interventi della tromba. A 20’36” sono i corni ad introdurre tematicamente i successivi...

(21’21”) Cerchi misteriosi delle adolescenti. Gli archi, divisi in ben 13 parti, espongono un motivo creando un’atmosfera religiosa che a 21’46” si agita improvvisamente: il flauto in SOL vi inserisce una melodia dall’andamento irregolare (3, 2, 4 quarti) poi ripresa gradualmente dal resto dell’orchestra. A 22’30” si torna al tempo iniziale e risentiamo nei flauti un motivo udito nei corni nel precedente Rituale del rapimento. A 23’03” i corni riprendono il tema iniziale, intercalati dagli archi e poi dai legni. A 24’08” una decisa accelerazione porta all’ultima battuta della sezione, chiusa brutalmente da un accordo di 9 delle 12 note della scala cromatica (escluse SIb, SI e DO#) ribattuto per 13 volte da timpani e archi (più la grancassa).

(24’25”) Glorificazione della prescelta. Qui troviamo praticamente tutto l’armamentario che Stravinski ha impiegato nel Sacre: mutamenti di tempo, poliritmia, politonalità, scale esotiche... insomma il paganesimo allo stato puro! E non per nulla l’Autore la battezzò Danza selvaggia!

(25’58”) Evocazione degli antenati. Qui abbiamo praticamente soltanto un susseguirsi di stentorei accordi dell’intera orchestra, ma su un tempo continuamente variabile, da 3/2 a 2/2, da 3/4 a 2/4, che pare rappresentare una processione sghemba e ordinatamente disordinata!  

(26’52”) Azione rituale degli antenati. Su un pesante accompagnamento di semiminime di archi, corni e percussioni, il corno inglese emette una serie di lamenti, imitato poi da flauto contralto e clarinetto. Lo stesso flauto in SOL (27’43”) attacca un lungo lamento sul quale le trombe con sordina espongono un nuovo tema, ribadito ancora a 28’25” e poi a 29’04”, prima che l’atmosfera si tranquillizzi (29’19”) e i legni conducano verso la finale...  

(30’02”) Danza sacrificale (La prescelta). La fanciulla destinata al sacrificio si immola per fertilizzare la terra con una danza che ne consuma ogni energia, fino a toglierle anche l’ultima stilla di vita. A prima vista si stenterebbe a crederlo, ma il finale di questo pezzo barbaro ha nientemeno (!) che la macro-struttura di un Rondò (A-B-A-C-A). Il ritornello A apre la danza, concitato quant’altri mai, pieno di sincopi che tolgono il respiro. Poi (30’27”) ecco la strofa B, meno agitata, ma più martellante e con successive irruzioni spiritate di tromboni, trombe, ottavino, clarinetto piccolo e corni. Dopo un vigoroso crescendo, a 31’24” B si ripresenta in forma variata, ancora con irruzioni delle trombe. A 31’49” torna il ritornello A, al quale segue (32’14”) la seconda strofa C, caratterizzata da ampio uso di percussioni e con ritmo più largo, sul quale si dispiegano le linee degli ottoni e all’interno della quale rifà fugacemente capolino A, in forma abbreviata. A 33’19” attacca l’ultima parte, dove appaiono in realtà tutti i tre motivi del rondò, fino al drammatico schianto conclusivo.
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LaVerdi ha eseguito il Sacre almeno in una decina di stagioni, ultimamente con D’Espinosa, Bignamini e Axelrod, quindi non meraviglia che anche ieri abbia dato il meglio per valorizzare questo capolavoro. Non meraviglia, ma lascia sempre pienamente soddisfatti dell’esecuzione. Lintu ha tenuto in pugno - oltre che sotto gli occhi - questa sbifida partitura e, insieme ai ragazzi, ne ha cavato tutti i tesori, ricevendo dal folto pubblico applausi convinti e pure ritmati.

Ora si apre la stagione estiva dell’Orchestra che - abbandonate le infradito - tornerà ad indossare il frac in prossimità dell’autunno con l’ormai tradizionale Concerto inaugurale alla Scala.

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