ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

16 febbraio, 2019

La Chovanščina in arrivo alla Scala (1)


Il titolo che porta la prossima opera in cartellone alla Scala, Chovanščina (scritto quasi come lo pronunciamo noi, in cirillico sarebbe... Хованщина) farebbe sulle prime pensare ad un nome proprio, o cognome, femminile. Tipo, per dire, Iolanta, o Jenufa, o magari Kabanova o Izmailova, per restare nel mondo slavo.

E invece la chovanščina altro non è (nella sprezzante definizione che ne dà - in chiusura del second’atto - lo zar Pietro il Grande) se non una ribellione messa in atto da tale Ivan Chovanskij, un nobile che avrebbe cercato velleitariamente di detronizzare lo zar con una scalcinata e maldestra congiura di palazzo. Quindi, un’azione biasimevole, ma anche degna di irrisione: una stupidata insomma, o una smargiassata, o una... cazzata. Per fare un esempio concreto: chi è diversamente giovane ricorderà di sicuro il termine maldinata, coniato qualche decennio fa per definire le ricorrenti leggerezze difensive della buonanima Cesare Maldini, che costavano al Milan qualche gol di troppo.

Ma ora, di grazia, ‘sto Chovanskij, chi l’ha mai coverto? Ecco, appunto: Musorgski!

Lo spiritoso (nel senso di amante dell’alcool...) compositore aveva a mala pena completato il suo secondo Boris (1872) quando si lanciò in questa nuova impresa, che per lui sarebbe stata l’ultima, per di più rimasta incompiuta (quanto meno rispetto a ciò che il compositore stesso aveva prefigurato). Il lavoro si protrasse per più di otto anni, dal luglio 1872 all’agosto 1880, cioè fino a pochi mesi prima della scomparsa del musicista, e seguì un percorso praticamente schizofrenico, con continui spostamenti di attenzione (a zig-zag) da una scena all’altra, da un atto all’altro: una specie di caotica costruzione di un grande mosaico. Caos provocato anche dal contemporaneo interesse del compositore per un’altra opera (comica questa, La fiera di Soročincy) rimasta ancor più incompiuta della Chovanščina.

A differenza del Boris, per il testo del quale lo aveva soccorso un tale Puškin (non so se mi spiego...) qui il compositore si avvalse dell’aiuto e dei consigli dell’onnipresente Vladimir Stasov (autorevole mentore del Gruppo dei Cinque) e della lettura di testi storici del ‘600 e ‘700 pubblicati attorno alla prima metà dell’800 (minuziosamente elencati dall’Autore nei suoi scritti) che narravano passate vicende della sua amata Russia. Il risultato fu la mancanza di un organico libretto (come comunemente inteso) sul quale comporre la musica, rimpiazzato dalla produzione di appunti (con testo e musica) spesso lasciati in sospeso o ripresi e modificati a fronte di nuove acquisizioni di fonti storiche. Diverse idee furono abbandonate al momento di decidere la forma finale del mosaico, come ad esempio le apparizioni di Pietro il Grande e della sorellastra, la zarevna Sofia, oppure una scena ambientata nel quartiere tedesco di Mosca, o un quintetto da cantarsi in chiusura del second’atto. Addirittura parti fondamentali (come due finali d’atto!) furono lasciate allo stato di frammento (o di idea solo sulla carta) e mai più completate. Vedremo più avanti come si arrivò ad ottenere, partendo da un sia pur ricco semilavorato, il prodotto finito, eseguibile e rappresentabile in teatro. 

Come per il Boris, anche qui è la Russia che fa da sfondo all’opera, in un periodo di circa un secolo posteriore, precisamente nell’estate del 1682, anno in cui Musorgski concentra, per comprensibili esigenze drammaturgiche, fatti che accaddero in realtà a partire da quell’anno e fino al 1698 come minimo. Tanto per citare una patente inverosimiglianza storica presente nel soggetto, basti pensare che Pietro il Grande, che nel dramma è già presentato - pur se fuori scena - come zar con pieni poteri, nel 1682 era in realtà ancora fanciullo (10 anni!) e quindi estraneo agli affari di governo, dei quali si occupava la sorellastra Sofia, reggente del trono anche per conto dell’altro fratello, il minorato Ivan, di 5 anni più anziano di Pietro...

Lo scenario di quella seconda metà del ‘600 nella quale Musorgski ambienta l’opera è caratterizzato da profondi sommovimenti politici e religiosi, che vedono scontrarsi - su entrambi i fronti - progressisti e conservatori, riformatori e reazionari: da una parte i seguaci delle idee innovatrici del defunto zar Alexei Mikhailovich Romanov (padre di Sofia, Ivan e - da altra madre - di Pietro) e del patriarca Nikon; dall’altra i loro fieri oppositori.   

Scenario che vede protagonisti - da un lato, la lotta per il potere - il citato Ivan Chovanskij, un principe reazionario che comanda gli Strelcy (guardia speciale degli zar) e mira a portare se stesso e/o il figlio Andrej al Kremlino, simulando fedeltà a Sofia e a Pietro; poi il principe Vasilij Golicyn, di idee progressiste (ma anche schiavo di assurde superstizioni) e nemico dei boiari conservatori, un tempo amante di Sofia, ma ora di lei sospettoso; e un boiaro ambizioso, machiavellico e ambiguo, Šaklovityj, consigliere (e nuovo o aspirante amante?) della stessa zarevna.

L’altro terreno di scontro è quello della religione, dove le riforme di Nikon (volte a riportare l‘Ortodossia russa nell’alveo bizantino) sono contestate dai Vecchi Credenti, divenuti ormai una setta (i raskolniki) guidata da un ex-principe, Dosifej; della setta fa parte Marfa, ex-principessa pure lei, ora una specie di veggente, un tempo amante di Andrej Chovanskij che l’ha poi abbandonata per concupire (respintone con perdite) la protestante Emma, residente nel quartiere tedesco (in realtà, internazionale) di Mosca.

E proprio Marfa è l’autentica protagonista del dramma, l’unica a comparire sulla scena in tutti e cinque gli atti: in forza del suo passato legame con Andrej (del quale è tuttora perdutamente innamorata) lei rappresenta lo snodo fra il piano secolare e quello religioso dell’opera; in più, è la sua figura ad arricchire il soggetto di una componente caratteristica e imprescindibile del teatro musicale, quella legata al piano dei sentimenti (la sua lacerante contraddizione fra la purezza della fede e la carnalità della passione amorosa) e delle relazioni personali e affettive...

A differenza di Stasov e poi di Rimski-Korsakov (che portò alla luce l’opera incompiuta) i quali si ostinavano a dare del lavoro un’interpretazione a senso unico, tutta orientata ad esaltare la grande stagione riformista di Pietro il Grande, Musorgski mostra di non voler prendere posizione netta a favore o contro l’una o l’altra delle tendenze (innovatrice o reazionaria) in atto a quei tempi (memorabile la sintesi che ne fece il compianto Sergio Sablich: Ritrarre più che giudicare): il suo obiettivo è evidentemente quello di portare sulla scena la vita e le sofferenze del popolo russo in quel tormentato frangente storico. E di fare ciò attraverso la valorizzazione degli idiomi musicali del suo grande e adorato Paese.

L’opera si articola su 6 quadri distribuiti su 5 atti (1 - 2 - 3 - 4+5 - 6) per una durata totale che arriva (in esecuzione integrale) a più di 3h15’ al netto degli intervalli. Lo svolgimento drammatico si presenta come un continuo, inesorabile, fatalistico precipitare verso la catastrofe finale, l’immolarsi della vecchia Russia, travolta dall’arrivo della modernità occidentale. Finale che rimase però nella... penna di Musorgski.

Ecco (per il momento...) una succinta sinossi della trama.

Primo Atto.

Preludio che evoca l’alba sulla Moscova e il risveglio di Mosca, sulla Piazza Rossa. 

Scena degli Strelcy: Kuzka ancora sonnolento e due commilitoni che vantano le loro sanguinose imprese.

Scena dello scrivano e di Šaklovityj, che gli detta una delazione per la zarevna, accusando Ivan Chovanskij e il figlio Andrej di preparare un colpo di stato contro Sofia e i fratelli zar.

Scena dei giovani moscoviti analfabeti che bistrattano lo scrivano per costringerlo a leggere una grida che annuncia esecuzioni contro boiari ribelli.

Scena di Ivan Chovanskij che denuncia alla folla i boiari traditori e ladri, promettendo di difendere Sofia e gli zar.

Scena di Andrej Chovanskij che cerca di conquistare Emma, ragazza di religione luterana, figlia di un commerciante del quartiere tedesco.

Arrivo di Marfa, amante tradita da Andrej, che difende Emma e sfugge ad un tentativo di Andrej di accoltellarla.

Ritorno di Ivan Chovanskij che concupisce Emma e ordina ai suoi Strelcy di catturargliela. Andrej minaccia di ammazzarla, pur di non cedergliela.

Arrivo di Dosifej, il santone dei Vecchi Credenti, che blocca Andrej e fa accompagnare Emma a casa da Marfa. Poi implora i Chovanskij di aiutarlo a salvare la Russia e l’antica fede.

Secondo Atto.

Residenza del principe Golicyn, che legge una lettera d’amore della zarevna Sofia, ma si mostra di lei sospettoso.

Poi legge una seconda lettera, della madre, il cui consiglio di mantenere onestà e purezza lo mette di malumore.

Arrivo di un pastore luterano che lamenta il comportamento di Andrej Chovanskij nei confronti di Emma e chiede di poter costruire una chiesa luterana a Mosca. Golicyn lo liquida sprezzantemente.

Arrivo di Marfa, in veste di veggente, che predice un futuro di rovina al principe, che ordina di sopprimerla.

Arrivo di Ivan Chovanskij, che si lamenta a nome dei boiari per i danni che le riforme volute da Golicyn avrebbero fatto alla loro categoria. Battibecco fra i due.

Arrivo di Dosifej che ammonisce i due a cercare il bene della Patria. Chovanskij e Golicyn continuano a beccarsi e il primo si propone come salvatore della patria e futuro capo del governo.

Si odono in lontananza i canti dei monaci dei Vecchi Credenti: Dosifej li esalta, Chovanskij si associa all’elogio, mentre Golicyn li definisce come dei settari.

Torna Marfa che accusa Golicyn di aver ordinato la sua morte. E avverte del sopraggiungere dei soldati dello zar Pietro.  

Irrompe sulla scena Šaklovityj, annunciando che è stata sporta denuncia contro i Chovanskij con l’accusa di tramare un colpo di stato. Lo zar avrebbe sprezzantemente definito la faccenda come una chovanščina... ordinando un’indagine sui denunciati.

Terzo Atto.

I Vecchi Credenti sfilano cantando inni di vittoria e di trionfo sui seguaci del riformatore Nikon. 

Scena di Marfa, presso la dimora del suo amato Andrej. La donna ricorda in una canzone i bei giorni della giovinezza e l’amore adesso sfumato. Ma prefigura la fine in compagnia dell’amato, fra le fiamme purificatrici.

Arriva Susanna che ha sentito la canzone e aggredisce Marfa rimproverandone la lascivia.

Intervento di Dosifej che rimprovera Susanna, accusandola di idolatria e scacciandola; poi cerca di consolare Marfa, che ribadisce come solo il sacrificio estremo (nelle fiamme) la potrà salvare.

Scena di Šaklovityj che prega Dio di salvare la grande Russia, ancora in balìa di mercenari stranieri.

Scena del risveglio degli Strelcy che irrompono in strada cantando le loro turpi imprese e ubriacandosi già di primo pomeriggio.

Arrivano le loro mogli per rimproverarli delle loro malefatte e della loro irresponsabilità.

Scena di Kuzka che viene incaricato di calmare le donne con una canzone. Tutti cantano una filastrocca su una donna (la calunnia) che rovinerebbe le famiglie.

Arriva lo scrivano che annuncia che un contingente di Strelcy è stato sopraffatto da mercenari stranieri affiancati da truppe regolari dello zar Pietro!  

Gli Strelcy increduli chiedono ordini al loro capo Ivan Chovanskij; il quale li invita a tornarsene a casa ad aspettare gli eventi! Agli Strelcy e alle loro mogli non resta che affidarsi alla provvidenza...

Quarto Atto.

Primo Quadro. Nella sua lussuosa residenza Ivan Chovanskij cerca di dimenticare i suoi problemi con i piaceri della buona tavola e delle belle donne.

Le sue contadinelle cantano canzoncine tristi e allegre, quando arriva un emissario di Golicyn per annunciare imminenti pericoli. Il principe lo liquida all’istante.

Scena del balletto delle danzatrici persiane.

Arrivo del solito Šaklovityj che informa Ivan di una convocazione al Kremlino da parte della zarevna. Chovanskij dapprima snobba l’invito, poi si fa convincere ed ordina i suoi abiti da cerimonia.

Le contadine riprendono il loro canto, glorificando il cigno bianco Chovanskij, proprio mentre lui viene pugnalato alle spalle e muore sotto lo sguardo beffardo di Šaklovityj.

Secondo quadro. Davanti SanBasilio. Un carro sta portando verso l’esilio il principe Golicyn. Dosifej lo compiange, come pure compiange Ivan Chovanskij, vittima della sua stessa boria.

Arrivo di Marfa che comunica ai confratelli le decisioni del Gran Consiglio: i Vecchi Credenti sono banditi e i mercenari hanno l’ordine di sterminarli. Ora anche Dosifej è convinto che a loro resti solo l’estremo sacrificio.   

Arrivo di Andrej, che continua a reclamare Emma. Marfa lo avvisa che se la sono portata via in mercenari. Andrej minaccia di denunciare Marfa e farla arrestare dai suoi Strelcy, ma questi sono ormai in catene e si preparano ad essere giustiziati. Andrej chiede a Marfa di salvarlo e lei lo porta via.

Le mogli degli Strelcy reclamano l’esecuzione dei loro uomini, macchiatisi di indegnità, ma arrivano i soldati dello zar Pietro, annunciando che gli zar hanno concesso la grazia a tutti.    

Quinto Atto.

I Vecchi Credenti sono riuniti in un bosco presso il loro eremo e ricevono l’ultimo conforto da Dosifej.

Si odono in lontananza le trombe dell’esercito di Pietro. I raskolniki preparano l’immensa pira che li accoglierà.

Arrivo di Andrej, sempre invocante Emma. Marfa prova invano a convincerlo ad accettare il suo stesso destino, in nome dell’amore che li aveva uniti in passato.

Mentre ancora risuonano gli squilli di tromba dell’esercito dello zar, guidati da Dosifej i fedeli si avviano cantando verso le fiamme che Marfa ha fatto divampare.
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Nella prossima puntata verrà esplorata la storia della predisposizione delle diverse versioni dell’opera (e del suo finale, ovviamente) oggi esistenti grazie al lavoro di alcuni eminenti musicisti e compositori. 
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(1. continua...)

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