ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

22 giugno, 2017

Il Ratto-vintage alla Scala


Ieri sera terza delle sei rappresentazioni del mozartiano Ratto nell’ormai 52enne (45enne per la Scala) allestimento della premiata coppia Giorgio Strehler – Luciano Damiani, che aveva debuttato al Piermarini il 15 maggio 1972: allestimento già una prima volta ripreso dalla stessa coppia nel febbraio 1978 e successivamente (giugno 1994) da quel Mattia Testi che lo cura ancor oggi.

E davvero si tratta di un’interpretazione geniale, di assoluta modernità. E tutto senza ricorrere – come accade sempre più spesso - a velleitari quanto strampalati riferimenti all’attualità e/o alla politica. (Per dire: tirare in ballo l’ISIS per rappresentare quella specie di pagliaccio che è Osmin significa recare offesa al genio di Mozart, all’intelligenza del pubblico e alle vittime dei macellai contemporanei.)

Spettacolo che evoca con grande efficacia e gradevolezza proprio l’ambiente delle prime rappresentazoni dell’opera, in quel Burgtheater, direttamente collegato alla residenza dei sovrani, nel quale Giuseppe II assistette alla prima di martedi 16 luglio, 1782. Spettacolo che riproduce lo spirito più autentico di quel genere (Singspiel) che mescolava i tratti dell’operetta buffa a quelli della commedia dell’arte: strepitose in proposito le trovate di Strehler che animano le gag di cui sono protagonisti il farsesco Osmin, il furbastro Pedrillo e, nel terz’atto, il servo muto (che Marco Merlini ha nuovamente re-impersonato dopo l’esordio del lontano 1994!)

Sempre efficace il gioco di luci (di Marco Filibeck) che illuminano i protagonisti durante i parlati e gli ensemble, ma lasciano in penombra il proscenio, dove i cantanti si misurano con le arie. Fa eccezione la spettacolare esecuzione di Martern aller Arten, che avviene a teatro in piena luce e con la cantante sola al proscenio: si tratta invero di una grande aria da concerto, con i 4 strumenti obbligati (flauto, oboe, violino e cello) che merita il privilegio di essere eseguita fuori dal contesto dell’operetta.
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E sul fronte dei suoni, l’antica consuetudine del venerabile Zubin Mehta con quest’opera (c’era proprio lui sul podio di Salzburg in quel lontano 1965!)


è di per sè una garanzia, che direi proprio abbia funzionato anche in questa occasione. Orchestra a ranghi... mozartiani (40 esecutori o giù di lì) con piccola batteria turca (triangolo, piattini e tamburo); direzione sobria, misurata e rispettosa dei minimi dettagli; concertazione impeccabile e sempre attenta a non coprire le voci con le turcherie che il Teofilo ha disseminato in partitura. 

Voci che nella media (del pollo) raggiungono una striminzita sufficienza. Sopra la quale mi sento di collocare la Sabine Devieilhe: voce sottile ma penetrante, che ben si adatta al personaggio di quella specie di suffragetta che risponde al nome di Blonde. Idem per il Pedrillo di Maximilian Schmitt, voce adeguata al ruolo, timbro squillante e buona intonazione.

Al centro della... classifica metterei la Lenneke Ruiten, che ha bene impressionato per la qualità del timbro e per l’agilità dei virtuosismi, sovracuti (anticipanti Astrifiammante) inclusi. Se avesse anche la (cosiddetta) ottava bassa un filino più robusta e udibile, sarebbe una Konstanze più credibile ancora... ma tant’è.

Sotto la... linea di galleggiamento il Belmonte di Mauro Peter, che stenta a mettere a profitto una voce pur dotata naturalmente: piuttosto piatto il suo approccio, privo di slanci che si pretenderebbero dal personaggio.

Nella... fossa delle Marianne il povero Tobias Kehrer (in tedesco maccheronico: scopatore?) Voce piccola, poco penetrante e addirittura inudibile nei gravi (certo, Mozart per Osmin ha insistito assai sulla parte bassa del rigo di... basso); si salva solo la sua macchietta impreziosita da Strehler. Insomma, questo precursore del Monostatos è proprio una delusione.    

Onesto il coretto dei Giannizzeri di Casoni.

Come detto, Marco Merlini torna dopo 23 anni a divertirci nella scenetta del terz’atto, mentre Cornelius Obonya impersona efficacemente il parlante Selim, una specie di Atatürk ante-litteram.
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Pubblico scarseggiante (ampi vuoti in platea e palchi) ma prodigo di applausi, a scena aperta dopo i numeri, e alla fine, con ripetute chiamate. Li merita ovviamente e soprattutto l’allestimento!

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