ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

12 luglio, 2016

Kent Nagano in visita a Ravenna


Ieri al Ravenna Festival è ritornato uno dei Direttori più preparati in circolazione, il nippo-statunitense Kent Nagano, alla guida degli Hamburger (non si mangiano!) Philharmoniker, di cui è da poco il Direttore Musicale.

Con lui il 34enne pianista berlinese Martin Helmchen che si cimenta subito nel Quarto di Beethoven. Già anni fa, giovane di belle speranze, in una apparizione con laVERDI all’Auditorium (in Mozart) aveva destato una positiva impressione. E in questi anni dev’essere ulteriormente maturato, a giudicare dall’autorevolezza con la quale ha domato questo che è probabilmente il più ostico dei 5 concerti del genio di Bonn.

Affascinante il lirismo sfoggiato nell’iniziale Allegro moderato, ma grande anche la tecnica virtuosistica, culminata nella lunghissima e massacrante prima cadenza. L’Andante con moto è purtroppo risuonato in un ambiente sonoro funestato dal ronzio dei (pur necessari, dato il caldo infernale che incombe anche qui) condizionatori; poi il Rondo finale ha rimesso le cose a posto, e solista e orchestra hanno dialogato in modo oserei dire perfetto. Strameritati quindi gli applausi che il pubblico (abbastanza folto, anche se non tanto da riempire del tutto il PalaDeAndrè) ha tributato a tutti, e che Helmchen ha ricambiato con un bis.
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Intervallo all’aperto, girovagando dentro le cento colonne del labirintico Danteum che fronteggia l’ingresso del gran palazzone o passeggiando sotto le dieci poderose costole (di vascello) del Grande ferro R di Alberto Burri, poi si rientra per ascoltare l’enigmatica Sesta di Bruckner: rimasta a lungo (e non è che oggi ne sia totalmente uscita) in una specie di limbo, come schiacciata dalle sei (3-5 e 7-9) che la intrappolano a sandwich. È un Bruckner forse meno austero (costruttore di cattedrali barocche) e più sbarazzino (lui stesso apostrofò di birichina questa sua opera) che sembra voler andare dritto al punto, senza pedanteschi preamboli, nè ponderose pause. È in LA maggiore, come la celeberrima Settima del venerato Beethoven, l’apoteosi della danza, stando all’idolatrato Wagner che in quella tonalità aveva concepito il Lohengrin.

Qualche nota sulla Sinfonia, seguendola in un’esecuzione proprio di Nagano con i sinfonici berlinesi.
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Il tema principale del lavoro è costituito da una cellula di due battute in 4/4: nella prima troviamo due minime, nella seconda due terzine (3 su 2) di semiminime, di cui la prima inizia con una pausa. Questa cellula torna svariate volte nel corso dell’opera, ma in particolare assume tre peculiari forme, come evidenziato dalla figura sottostante:


Nella prima forma, esposta subito all’inizio (6”) dagli archi bassi, scende dalla dominante MI alla tonica LA, quindi percorre un ondeggiamento attorno alla tonica, che ha come estremi la settima e la sopratonica abbassate (SOL naturale e SIb): si crea così un tipico effetto napoletano, o da scala modale.

La seconda forma compare nella Coda del Majestoso iniziale. Qui (16’16”) le minime della prima battuta scendono dalla tonica LA alla dominante MI, dopodichè l’ondeggiamento avviene attorno alla dominante, fra la sottodominante (RE) e la sesta abbassata (FA naturale): anche qui un effetto napoletano, che nelle ultime battute del movimento (16’29”) sfuma attraverso la mutazione del FA naturale in FA# (sesta giusta) ristabilendo la piena tonalità di impianto.

La terza forma della cellula motivica compare precisamente (e ciclicamente) alla fine della sinfonia (56’13”) dove le minime della prima battuta tornano a scendere da dominante MI a tonica LA, ma poi l’ondeggiamento avviene attorno alla dominante (estremi la mediante DO# e la sesta FA#) quindi tutto in piena tonalità di LA maggiore.

Uno stupefacente impiego di questa cellula è quello che troviamo nella citata Coda del movimento iniziale (60 battute, da 309 a 369, da 14’02” a 16’36”): vi sono contenute non meno di 39 mutazioni di sfondo armonico, che attraversano tutte le 12 triadi della scala cromatica (una specie di super-serie dodecafonica!)

A proposito di temi ricorrenti, è il caso di segnalare quello con il quale l’oboe apre l’Adagio (17’16”). Questo motivo ricomparirà nel Finale, dapprima timidamente (46’36”) poi assai corposamente (da 47’01” a 47’53” e ancora fino a 48’54”) per infine condurre (da 53’58” a 55’17”) verso la coda conclusiva della Sinfonia. Se non nella melodia, di sicuro nel ritmo, la cellula di base è parente stretta del tema del Finale della Quarta di Schumann:

L’Adagio si segnala anche per la presenza di un tema di grande nobiltà (compare per la prima volta a 19’08”) che si sviluppa fino ad un bellissimo culmine (20’07”):

Lo Scherzo (in LA minore) è a sua volta impregnato dal ritmo del tema iniziale della Sinfonia, in particolare da quello della seconda battuta della cellula fondamentale (due terzine di cui la prima acefala). Ritmo che marca la chiusa della sezione principale, dapprima in MI maggiore (come sotto esemplificato, a 34’51”) e quindi in LA maggiore:


Non poteva mancare poi un omaggio a colui che Bruckner considerava poco meno che un dio: Richard Wagner. Ecco qui una citazione (dal Finale) tanto esplicita quanto impegnativa e... pericolosa (gli attirò strali e sbeffeggi da ogni parte, chissà come avrebbe reagito il web di oggi, con i suoi twit video virali!):

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É una Sinfonia che ha subito assai poche revisioni o ripensamenti (anche perchè Bruckner non la potè mai ascoltare per intero) ed è anche stata, come dire, lasciata in pace dai diversi allievi, sodali, reggiborse ed affini del compositore, che hanno invece lasciato le loro tracce (quasi sempre nefaste) sulle partiture delle sorelle maggiori. Quindi non mi sentirei di dire che questo sia un segno di debolezza, ecco. È invece curioso che Bruckner abbia composto questa sinfonia così serena, vitale, ottimistica, in un periodo assai triste e travagliato della sua esistenza: esattamente l’opposto di quanto accadrà a Mahler, che comporrà la sua tragica sesta nel periodo più felice della sua vita.

Nagano (che ha schierato le viole al proscenio) ha modo di mettere in mostra le eccellenti qualità della sua nuova Orchestra: poderosi gli archi bassi (contrabbassi tutti rigorosamente a 5 corde) nell’incipit della sinfonia e smaglianti gli ottoni che Bruckner impegna sempre allo spasimo. Ma perfetta anche la resa delle parti più leggere della sinfonia, dove l’Orchestra sfrutta al meglio la sua lunghissima esperienza nel repertorio cameristico.

Insomma, una bella serata di grande musica.

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