ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

14 dicembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.13


Decisamente questa stagione dovrebbe farsi esorcizzare, perché mai le sono piovute addosso in poche settimane tante defezioni di Direttori. Stavolta a venir meno quasi all’ultimo momento – pare per una banale scivolata - è toccato ad Aldo Ceccato (titolare del ciclo del suo amatissimo Dvorak) e al suo posto sul podio è stato catapultato in fretta e furia il canguro Daniel Smith, un trentenne con la faccia da ragazzino, che bazzica spesso in Italia.

Il programma ha la classica struttura che prevede un brano per orchestra seguito da un concerto solistico e in chiusura da una sinfonia. Il percorso che facciamo è precisamente a ritroso nella cronologia delle composizioni di Dvorak: si parte dal 1896, si retrocede al 1894, per chiudere con il 1880.

L’apertura è quindi affidata al poema sinfonico Vodník, il primo di una fitta serie di cinque che Dvorak compose in meno di due anni, fra il 1896 e il 1897. Brahms era ormai in pensione (morirà proprio nel 1897) e anche Hanslick aveva fatto il suo tempo (tuttavia gli sopravviverà di qualche mese, pur avendo una quindicina d’anni più di lui); insomma, i suoi vecchi protettori erano forse meno agguerriti di un tempo e così lui pensò di potersi affrancare dalla loro soffocante tutela, facendo un’autentica indigestione di quel genere di composizioni che ai due suddetti esteti provocava regolarmente l’orticaria!

Il soggetto letterario della composizione è un poemetto fiabesco di Karel Jaromír Erben, in realtà una fiaba piuttosto truculenta e con una conclusione addirittura raccapricciante: Vodník (letteralmente il folletto acquatico) è una specie di elfo anfibio che si diverte (!?) a catturare belle fanciulle per… usarle e gettarle, trasformandole in pesciolini. E così si prepara a fare anche con una ragazza che, incurante dei profetici avvertimenti materni, si avvicina allo stagno e vi precipita finendo direttamente nelle sue braccia; dopo averla sposata (e prima di essersene stancato) il folletto mette al mondo anche un pargolo, che la mammina cerca di consolare con delicate nenie; le quali fanno però imbestialire lo sposo che minaccia di far fare alla moglie la fine delle altre prede. La ragazza lo impietosisce ottenendo una libera uscita di poche ore per rivedere la madre; l’incontro fra le due è assai triste e viene interrotto dall’elfo che dichiara finita l’ora d’aria. All’opposizione della madre della ragazza di ridargli la figlia, il simpaticone che ti fa? Recapita sulla soglia di casa delle due donne il corpo del figlioletto… in due pacchi separati: uno contenente la testolina e l’altro il corpicino (!!!)    

È davvero incredibile come Dvorak abbia saputo poetizzare questo soggetto, a prima vista ributtante, costruendoci sopra una specie di Rondo dove il tema principale (di Vodník) si alterna in modo mirabile a quelli della ragazza e della madre.

Una curiosità: il dolce tema della ragazza ha certo un fondo di Boemia, ma richiama anche scopertamente (pur con diversa scansione ritmica e tonalità) quello celeberrimo del beethoveniano Freude schöner

Esecuzione più che dignitosa dei ragazzi de laVerdi sotto la guida del… ragazzo Smith.

Riecco poi in Auditorium Enrico Dindo per interpretare quell’autentico gioiello che è il Concerto per violoncello. Del tutto convincente la sua prestazione, che si cala in pieno nello spirito (tardo)romantico di questo capolavoro. Gran trionfo per lui e bis bachiano.

La serata si chiude con la Sesta sinfonia. Pubblicata col titolo di prima, per Dvorak in effetti era la seconda, dato che il compositore considerava le sue prime quattro come semplici esercizi, non degni di essere messi in lista. E chissà che non sia stata questa circostanza a portare Dvorak ad ispirarsi ad un’altra Seconda, ben più famosa, quella del suo quasi-idolo e sponsor Johannes Brahms. Lo testimonierebbero la pastoralità del contenuto e persino la tonalità e il tempo (RE maggiore, 3/4) del primo movimento.

Sinfonia assolutamente legata ai modelli formali classici, mentre i contenuti vengono come al solito dalla tradizione popolare boema (uno su tutti: la furiant che caratterizza lo Scherzo). Opera che però, insieme ad una fresca inventiva, porta con sé anche qualcosa di stucchevole, come di dolciastro e affettato: di certo è (a mio modesto parere) ancora lontana dai risultati che si materializzeranno nelle tre successive sinfonie.

Ottima prestazione dell’Orchestra (eccellente il corno di Amatulli, chiamato a lunghi e difficili passaggi) lungamente applaudita con il suo Direttore… improvvisato.

Ruben Jais ci terrà compagnia con Mozart (e Vacchi) prima di Natale.

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