bipolarismi

bandiera bianca vs bandiera nera

28 settembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.3


Gaetano D'Espinosa sale sul podio de laVerdi (il podio basso, non quello doppio riservato alla piccola Xian, in maternità…) per il terzo concerto della stagione principale, in un Auditorium purtroppo assai poco… popolato

Serata che inizia con Alexander Arutjunjan – compositore armeno scomparso solo sei mesi fa, a 92 anni - e il suo Concerto per tromba (1950) interpretato da un altro Alessandro, il bravissimo Caruana, che in Auditorium è di casa, occupando da anni la seggiola di prima parte dell'Orchestra.
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Il Concerto in realtà ha una struttura assai aperta, che poco ha a che fare con quella classica; macroscopicamente vi si possono distinguere: un'introduzione lenta seguita dal tema principale, assai vivace, e poi da un secondo tema più lento; quindi da una specie di sviluppo dei due temi; poi subentra un nuovo tema lento, cui segue la ripresa del tema principale; una cadenza porta infine alla conclusione. In partitura non esistono quindi indicazioni specifiche di movimenti, ma solo alcune notazioni agogiche, e precisamente:

a) Largo, solenne (23 battute in 4/4): costituisce in pratica l'Introduzione del brano, in LAb, dove la tromba (l'Autore prescrive l'impiego di quella in SIb, che secondo lui sarebbe la più comoda per eseguire il brano, che prevalentemente si muove sulla tonalità di LAb) suona un motivo dal sapore tipicamente gitano (l'Armenia fu attraversata ed abitata da Rom nei secoli passati):
b) Veloce ed energico (55 battute): vi troviamo le due sezioni dello spigliato tema principale (4/4) in LAb maggiore, anche questo richiamante atmosfere zingaresche, presentato dalla tromba dopo essere stato introdotto, su un tempo di 5/4 e poi di 3/4, in modo per l'appunto… energico, dall'orchestra:
La prima sezione viene esposta due volte, seguita poi dalla seconda; quindi l'orchestra ripete due volte la prima e la tromba segue con la seconda, che si sviluppa fino al successivo…

c) Adagio (48 battute in 4/4): dapprima il clarinetto espone il secondo tema, in LA, caratterizzato da una salita cromatica seguita da un ripiegamento (assomiglia vagamente a quello che entra all'improvviso nell'Intermezzo interrotto del Concerto per orchestra di Bartok, di pochi anni anteriore); poi è la tromba a riprenderlo e a svilupparlo:
d) Tempo I (107 battute in 4/4): qui abbiamo una specie di sviluppo, dove i due temi esposti in precedenza si incontrano; è il clarinetto ad entrare sul primo, in LA maggiore, ma poi diversi strumenti intervengono in primo piano a riproporre entrambi i temi; il tutto sfocia in una perorazione del secondo tema in tonalità diverse (DO e MIb), poi su un intervento del clarinetto il tutto si acqueta su un DO#, che prepara il successivo…

e) Più Adagio (47 battute in 4/4 e 6/4): la tromba, innestata la sordina, riprende enarmonicamente in REb il DO# precedente ed espone una lunga e struggente melopea:

chiusa da sette gorgheggi del clarinetto, su una impertinente cantilena;

f) Tempo I (87 battute): per ben 38 battute - invece di 9 come era accaduto in b) – l'orchestra, alternando continuamente tempi di 4/4, 3/4 e 2/4, re-introduce il primo tema, ancora esposto dalla tromba e sempre in LAb; prima sezione ripetuta, seconda sezione, poi la prima ripresa due volte dall'orchestra e infine la seconda nella tromba, che adesso la sviluppa per condurla verso la…

g) Cadenza (di Timofei Dokschitzer, 27 battute in 4/4): è piuttosto breve, ma riprende i motivi principali, in chiave virtuosistica, per poi cedere il passo al conclusivo…

h) Allegro con brio, 28 battute, di cui le prime 20 ancora suonate dalla sola tromba (sono probabilmente la cadenza originale dell'Autore) con tempo continuamente ondeggiante fra 4/4, 3/4 e 2/4; poi la chiusa, con una perentoria terzina seguita da una croma, sempre in LAb.
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A parte una piccolissima sbavatura proprio nella prima battuta del brano (dovuta forse all’emozione di trovarsi al proscenio, invece che nella terza fila dei fiati) Alessandro Caruana ha interpretato questa difficile partitura in modo assolutamente impeccabile: sia nelle numerose volate virtuosistiche, che nei passaggi più intimistici e sognanti. Meritatissimi gli applausi del suo pubblico e dei suoi colleghi. 

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La Decima di Shostakovich (anno di grazia 1953) è una di quelle opere sulle quali gravarono i più svariati condizionamenti extra-musicali. A partire da quelli cabalistici: il fatidico numero 9 - di sinfonie completate - che nessuno dopo Beethoven aveva saputo, o potuto, o voluto superare. Per continuare con quelli politici: un simpatico baffone georgiano aveva finalmente tolto il disturbo (e che disturbo, accipicchia!) e con esso la prospettiva - sempre incombente, e non solo sugli artisti – di gulag, siberie e plotoni di esecuzione; adesso si poteva, forse, tornare a comporre senza la fastidiosa pressione del mitra di Zdanov sulla nuca. Per finire poi con quelli di natura squisitamente biografica ed esistenziale: l'ossessione del musicista di firmare musicalmente le sue opere con la sua sigla (DSCH) e l'infatuazione per un'allieva dell'Azerbaijan – Elmira Nasirova, evidentemente tanto interessante, per lui, quanto… brutta (!) – alla quale dedicò per qualche tempo attenzioni intensissime, anche se probabilmente platoniche e più che altro epistolari, oltre che corrisposte assai tiepidamente. Per dire, una volta le scrisse una lettera firmandosi con… alcune note musicali:
È l'incipit della famosa aria di Lenski dall'Onegin, che su quelle note canta (a Olga) le parole Ya lyublyu vas, ya lublyu vas, Ti amo, ti amo

Nell'Allegretto il compositore ci porge due temi, il primo dei quali rappresenta se stesso in modo scoperto: è il famoso DSCH, che (similmente a BACH) attraverso la decodifica dei simboli musicali anglosassoni (D, C, H) e dello spelling del tedesco Es forma il motto RE-MIb-DO-SI, suonato inizialmente dai tre strumentini:

E che è pure scolpito sulla lapide del compositore al cimitero di Novodevici:


L'altro tema, che vagamente richiama l'incipit del mahleriano Lied von der Erde, è quello della musa Elmira, la cui decifrazione è per la verità assai stiracchiata: la E iniziale sarebbe sempre il simbolo anglosassone per il nostro MI, la elle è l'iniziale di LA, mi è… il MI, la erre è l'iniziale di RE e la a finale è ancora l'anglosassone A; il tutto a produrre MI-LA-MI-RE-LA. È il corno a proporre per ben 12 volte il motivo (sul quale peraltro quel nome sarebbe proprio incantabile, diciamolo francamente!):

Stando così le cose, viene spontanea la domanda: ma questa musica si può apprezzare in quanto musica assoluta, oppure ci dice qualcosa solo se prima veniamo a conoscenza di tutti i retroscena di natura pubblica e privata che accompagnarono la sua composizione? Ma vale anche il viceversa: non è che per caso la conoscenza di quei retroscena finisca per svilire alle nostre orecchie il valore squisitamente musicale dell'opera? In fondo sono le stesse domande che ci si potrebbe porre per il Tristan (rispetto a Mathilde) o per la Sesta di Mahler (in rapporto alle presunte capacità divinatorie del compositore); o anche per la Sinfonia Domestica di Strauss, ispirata da un prosaico ménage familiare.

Di certo è una musica che evoca momenti di drammatica depressione: nel Moderato iniziale potremmo vedere, come lo stesso Autore rivelò – ma molti anni dopo la composizione, il che rende sospetta la cosa – la vita grama che si faceva in URSS sotto lo stalinismo (addirittura, dopo il primo dei due grandiosi climax del movimento, compare nei primi violini la sigla del compositore, ma praticamente agitata come in un frullatore: DCHS!); e nella conclusione del movimento potremmo immaginare persino lo stesso Shostakovich finito sull'orlo del suicidio. Ma quella stessa musica potrebbe evocare mille altre situazioni di depressione, materiale e spirituale: per dire, anche l'Adagio cantabile della Prima di Ciajkovski è espressamente titolato Terra di desolazione, eppure lo stalinismo era ancora di là da venire… Invece ciò che rende questa musica grande è la sua coerenza tematica e la sua robustezza strutturale: sì perché, signori, anche se dalla sua nascita erano passati 2 secoli durante i quali era stata sottoposta ai più svariati trattamenti, qui abbiamo una vera sinfonia, con tutte le carte in regola!

Nel brevissimo Allegro l'Autore disse esplicitamente di aver voluto evocare proprio lui, baffone Stalin! E di sicuro è musica che può benissimo rappresentare l'isteria di un tiranno tanto insopportabile quanto efficiente nelle attività… purgative. Ma musica simile Shostakovich l'aveva già scritta prima che Stalin andasse al potere, e se chiedessimo a qualcuno che ignora quel retroscena che cosa gli evocano queste note, potrebbe rispondere in mille modi diversi: dallo sferragliare di una locomotiva in corsa sfrenata, alla piena di un torrente di montagna, al mare sconvolto da un uragano tropicale, al fracasso di magli in una fabbrica o di spolette in un reparto di tessitura… ma mai e poi mai risponderebbe: perdinci! ma questo è Stalin, come no! si riconosce fin dalla prima nota… (e poi, parliamoci chiaro, questa è musica talmente bella che Stalin non se la meriterebbe proprio!)

Nell'Allegretto sappiamo che l'Autore ha voluto impersonare musicalmente se stesso e la sua musa,
 presentandoci i due temi dapprima disgiunti, poi sempre più vicini ed avvinti inestricabilmente… ma il valore estetico di questa musica sta nel magistrale trattamento di quei temi, non certo nell'evocazione di una stramba relazione sentimentale, che pure può averli ispirati.

E il conclusivo Andante, con tutti quei DSCH sparati a piena voce, pare mostrarci il compositore che finalmente può uscire allo scoperto e gridare: Io, Dimitri Dmitrievič Shostakovich, sono ancora qui, più vivo che mai, e con me sta la vera arte, libera e nobile, che nessun potere protervo potrà mai soffocare. (Bravo! ma c'era bisogno di spargere megalomania a piene mani, per chiarire il concetto?)

Insomma, un'opera che è e resta grande anche a dispetto di tutta la fuffa pubblicitaria di cui fu ricoperta già dal suo Autore e poi dagli ambienti del business musicale.
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laVerdi vanta l'invidiabile record di aver inciso, da 12 anni a questa parte con Oleg Caetani-Markevitch, l'intero corpo delle sinfonie di Shostakovich. E ieri ha confermato la sua affinità elettiva con questa musica proponendoci un'esecuzione trascinante e coinvolgente di questo autentico monumento sonoro. 

Merito anche di Gaetano D’Espinosa, giovane direttore palermitano - che, complice la maternità di Xian, sarà ancora sul podio per i prossimi due concerti – dimostratosi assolutamente padrone della partitura: convincente nei tempi tenuti e sempre preciso e perentorio negli attacchi. Il suo modo di muoversi sul podio ricorda vagamente Georg Solti, e questo mi pare già un buon segno!  

Prossimamente tutta Francia, con un po’ di sangue russo. 

24 settembre, 2012

Una grande Creazione di Rilling al Conservatorio


Chiusura (o quasi…) in grande stile per il MITO-2012 al Conservatorio, dove ieri sera è stato presentato – peccato per i grandi vuoti in sala… - il monumentale oratorio Die Schöpfung (La creazione) di Haydn

Ad interpretarlo la Internationale Bachakademie Stuttgart, la prestigiosa formazione (che comprende le voci della Gächinger Kantorei e gli strumentisti del Bach-Collegium Stuttgart) diretta dal venerabile Helmuth Rilling, che ne fu il fondatore quasi 60 anni fa! Solisti di canto il soprano Julia Sophie Wagner (nei ruoli di Gabriel ed Eva) il tenore Lothar Odinius (Uriel) e il basso Markus Eiche (Raphael e Adamo). 

Il testo dell'Oratorio, di provenienza albionica ma di dubbia paternità, fu poi predisposto per Haydn da un nobile austriaco – tale Barone Gottfried Freiherr van Swieten – e ricalca da vicino la Bibbia (Genesi e Salmi) e il Paradise Lost di Milton. Il primo verso, recitato da Raphael l'Arcangelo, è proprio Im Anfange schuf Gott Himmel und Erde (Genesi, 1,1: In principio Dio creò il cielo e la terra.)  

Haydn pensò bene di anteporre all'Oratorio una specie di Ouverture, cosa del tutto logica e consueta, però attenzione, non vi inserì temi ripresi poi nel corso dell'opera (qualche motivo effettivamente lo risentiamo più avanti) ma ne fece propriamente un Preludio alla Creazione, intitolando queste 58 battute in 4/4 Die Vorstellung des Chaos, La rappresentazione del Caos. (Si noti che questo è anche l'unico sottotitolo che compare in tutta la partitura.) 

Ora, sappiamo che nella Bibbia mai si parla di Caos – inteso come ciò che preesisteva alla creazione dell'universo – e che il Caos è invece un concetto ben più antico, usato dai Greci e prima ancora dagli Ittiti. I moderni esegeti della Bibbia lo impiegano per immaginare quella realtà disordinata cui Dio avrebbe posto ordine con la creazione di cielo e terra (e di tutto il resto… Uomo incluso). E di sicuro Haydn a questo pensò decidendo di anteporre al racconto biblico il suo Preludio.  

Bene, chiunque di noi si ponesse l'obiettivo di evocare in musica il concetto di Caos, molto probabilmente penserebbe a cose del tipo: stridenti dissonanze, improvvise esplosioni di suoni e rumori, continui cambi di tempo e di ritmo, anzi propriamente assenza di ritmo e tempo, insomma: un totale disordine sonoro prodotto da strumenti magari impiegati fuori e contro le loro stesse naturali prerogative. Oppure, come fece il buon Wagner nel preludio del Rheingold, il semplice silenzio, rotto magari da un indistinto ronzio, un sordo rumore di fondo evocante l'abissale nulla cosmico. 

Haydn? Beh, il nostro buon credente deve aver ragionato così: anche se prima della creazione c'era il Caos, esso non poteva però preesistere a Dio! Ergo, anche il Caos doveva essere necessariamente un prodotto di Dio, anche se un prodotto magari ancora rozzo, che infatti Dio decise in seguito di, ehm… perfezionare. Ecco perché la Vorstellung, ben lungi dal presentarci un caos sonoro, è invece un mirabile, perfettamente strutturato e ordinato brano musicale, nel quale l'Autore semplicemente introduce alcune deviazioni rispetto alle vigenti regole canoniche di composizione. Deviazioni nemmeno poi troppo gravi né così scandalose per i suoi tempi, e addirittura trascurabili per noi, che ormai da più di un secolo ad autentici caos sonori abbiamo dovuto, volenti o nolenti, allenare le nostre orecchie.
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Già sui righi della partitura compaiono in chiave i tre bemolli, che ci preparano al DO minore (o al MIb maggiore) quindi tonalità classiche del diatonismo, ma poi nella prima battuta – quella che ci dovrà inevitabilmente presentare lo scenario originale, ciò che preesisteva anche al Caos - ascoltiamo tutti gli strumenti (escluso il terzo trombone e il controfagotto - che non suonano mai nella Vorstellung - e i corni) suonare con 18 voci, ad intervalli di ottave, un'unica nota: il DO (per noi la prima nota musicale!) forte (ma con forchetta decrescente) e lungo a piacere (corona puntata); insomma, sembra qui di vedere il Creatore, evocato da due sue ben precise prerogative: l'unità (la trinità verrà dopo…) e la solenne e imperturbabile eternità!  

Nelle tre successive battute (piano) a suonare sono soltanto gli archi (tutti con sordina) contrabbassi esclusi (curiosità: nel citato preludio del Rheingold, in analogo scenario, Wagner farà invece suonare solo i contrabbassi); nella battuta 2, ai violoncelli che continuano a suonare il DO (ma un'ottava più in alto) si aggiunge il MIb delle viole che ci salgono dal DO originario e quindi ci portano vagamente verso l'atmosfera di DO minore (è per caso il Caos visto musicalmente come un'emanazione minore di Dio?) ma nella seconda metà della battuta entrano i secondi violini con un LAb, raggiunto salendo dal DO sottostante: ohibò, qui abbiamo la triade fondamentale di LAb maggiore (altro che caos… come udiremo fra poco!) Che dura solo quella mezza battuta, chè nella terza viole e violoncelli degradano di un semitono, rispettivamente a RE e SI naturale, mentre i violini primi entrano con un FA e i secondi tengono ancora il LAb: abbiamo quindi qui un accordo di quattro note (SI-RE-FA-LAb) costituito da una sovrapposizione di tre terze minori: ciò che accademicamente è definito accordo di settima diminuita, che ha un sapore piuttosto sinistro. Ma dura solo mezza battuta, poiché i violini secondi scendono al SOL, producendo un effetto di accordo di dominante (di DO) ma solo per una semiminima, dato che i violini primi salgono al FA#, creando una momentanea dissonanza. Insomma, qualcosa si sta muovendo, e lo fa all'interno di uno scenario non certo caotico (nel senso che noi diamo comunemente al termine) ma musicalmente organizzato, sia pure con qualche piccolo… disordine.  

Ora quella dissonanza lascia spazio ad una battuta suonata dai soli violini primi, che percorrono all'unisono, a partire dal precedente FA#, un semplice arco cromatico (con SOL-LAb-SOL) per poi cadere sul RE. Sembrerebbe la classica cadenza preparatoria per il DO (minore o maggiore) ed invece qui, a battuta 5, ecco riesplodere, forte, tutta l'orchestra (anche i corni adesso arrivano a dar manforte): al MIb e al DO (che ci porterebbero appunto a DO minore) si aggiunge il LAb di violini secondi, fagotti, flauti, oboe, corno, clarinetto e trombone, il tutto a creare l'accordo perfetto di LAb maggiore (la triade LAb-DO-MIb) tenuto per una minima (metà battuta) dall'intera orchestra e protratto fino a fine battuta da violini secondi, viole e violoncelli. Ci siamo quindi adagiati sulla sesta diminuita di DO; cosa possiamo immaginare? Il Creatore che è sceso dal suo trono di un paio di gradini (toni interi) per osservare il Caos, e che già pensa (la triade) che dovrà sporcarsi le mani?  

Ora seguono altre tre battute, in cui il Caos si agita viepiù: oltre agli archi entrano infatti in azione anche i fiati con funzione melodica (vedi le terzine ascendenti del fagotto) per arrivare (a battuta 9) ad un esito ancora imprevisto, come vedremo. Nella seconda metà della battuta 5 e nelle battute 6-7 i violini, le viole, i violoncelli, i flauti e il primo fagotto presentano linee che ricompariranno quasi identiche alle battute 41-42 (e questo già ci dice qualcosa della strutturazione della Vorstellung!) Lasciando il LAb maggiore, e tornando in piano, l'atmosfera ridiventa grigia, con il FA# dei primi violini e la discesa a RE e SI naturale (da MIb e DO) di viole e violoncelli. Nella seconda metà della battuta 6 i violini primi scendono al FA e i secondi al SOL, mentre entrano oboi e flauti: l'accordo diventa (dal basso) SI-RE-FA-SOL-LAb, quindi una settima diminuita rinforzata dal SOL, con il SI naturale e il LAb acuti di flauto e oboe a creare un'atmosfera davvero sinistra, agitata dall'inserimento del fagotto con due terzine ascendenti (SOL-SI-RE_SOL-SI-RE). Atmosfera che però presto si rischiara un poco, a metà della battuta 7, dove ci si sposta gradatamente verso il DO minore, anche con l'entrata dei clarinetti che suonano per terze sulla scala minore (SOL-MIb poi FA-RE) e le viole che arpeggiano con due terzine ascendenti sulla scala di DO minore. A battuta 8 sembra proprio che la risoluzione sul DO minore sia cosa fatta, visto l'incedere di clarinetti e fagotto e la preparazione di flauto e oboe (RE e FA# rispettivamente). Invece - ma guarda un po' - a battuta 9 esplode inaspettato il MIb maggiore. (Che sia il Creatore che risale sul trono, ma adesso fattosi trino, perché decisosi all'immane impresa?) 

Nelle battute da 10 a 20 si rimane – pur con una certa instabilità, vedi la dissonanza provocata dal SOLb nel trombone e dal LA naturale in clarinetto e violini secondi sul secondo quarto della battuta 12 – nell'atmosfera del MIb maggiore, ma appunto a battuta 20 c'è un'ardita modulazione che - passando dall'accordo di LAb minore e trasformando la tonica MIb in sopratonica - fa degradare la tonalità di un intero tono portando - a battuta 21 - ad un accordo pieno di REb maggiore (! è ancora Dio che scende un gradino per meglio osservare?) che viene rinforzato da pesanti crome puntate di tutti gli archi e dal clarinetto che ne percorre la triade discendente LAb-FA-REb. 

A questo punto abbiamo quattro battute (22-25) fondamentali nell'economia strutturale della Vorstellung: oboe e flauto espongono (22-24) una linea melodica costituita da semiminima doppiopuntata e sforzata – semicroma – semiminima – semiminima, con andamento ad arco; la figurazione si ripete tre volte ad altezze crescenti di un tono intero: dal MIb, al FA, al SOL, da dove poi la melodia sale cromaticamente – battuta 25 – al LAb, al LA e da qui al SIb, tornato dominante di MIb. Queste tre figurazioni (che ricompariranno ad altezza diversa alle battute 45-48) sembrano dar l'idea di forze che cercano in qualche modo di organizzarsi e di emergere, ma ancora con grande fatica, come testimonia l'armonizzazione cupa con cui sono presentate. 

A battuta 25 siamo comunque tornati al MIb, che ora sembrerebbe instaurarsi stabilmente, come ci dicono gli arpeggi del secondo clarinetto sulla dominante. Ed a battuta 28 gli oboi, per terze, ripetono la sezione ascendente della figurazione esposta a 22-24, a velocità doppia (croma puntata – semicroma- croma) prima partendo da sopratonica-sensibile (FA-RE) e poi dalla mediante-tonica (SOL-MIb) in un'atmosfera a dir poco inebriante. Ma a battuta 29, allorquando sono i corni ad imitare gli oboi con le stesse figurazioni, ecco che il primo clarinetto, il primo oboe e il fagotto emettono degli autentici lamenti (una seconda minore che scende dal DOb sforzato al SIb) che inquinano l'atmosfera sognante che si era appena installata. Idem per la prima metà della battuta 30, dopodiché la figurazione, su un forte dell'orchestra ribadito da un secco colpo di timpano, porta ad una settima diminuita (SOLb-LA-DO-MIb) che sembra non promettere nulla di buono e invece… sfocia (battuta 31) ancora in MIb maggiore, con il primo clarinetto che ci arabesca una scala ascendente di più di due ottave (dal SIb grave al DO acuto). 

Nella battuta 32, dove il clarinetto si ferma sulla sesta di MIb (DO) e i violini secondi martellano sommessamente le loro crome sulla sopratonica FA, le viole restano ancora con note ribattute sul MIb, ma prima i contrabbassi e poi i violoncelli ripetono a canone stretto l'inciso ascendente (semiminima doppio puntata – semicroma – semiminima) dalla sottodominante LAb al DOb, creando così una tensione armonica che prepara una incredibile modulazione al SOLb maggiore (dominante REb): cose che riudiremo solo nel… Parsifal

L'atmosfera si incupisce di nuovo, mentre gli incisi ascendenti si ripetono negli archi bassi, nel fagotto, flauto, clarinetto, oboi; il flauto (battuta 36) aggiunge un veloce arpeggio, a partire dal FA#, scalando e scendendo ben sei terze minori, prima che il DO di violini primi e clarinetto e il FA# di viole ed oboe (battuta 38) ci portino verso il SOL, che reiterato con una velocissima scalata di due ottave del flauto, prepara, insieme ai martellanti rintocchi del timpano - DO e poi SOL - il pesantissimo ritorno (battuta 40) del DO, che la (quasi) intera orchestra scandisce con una sestina di semicrome seguita da una croma. Sembra quasi che Dio voglia ribadire la sua potenza e la sua immutabilità… però, a differenza della prima battuta della Vorstellung, qui deve picchiare i pugni sul tavolo (!) Ed anche il MIb dei corni (che all'inizio avevano taciuto) adesso macchia irrimediabilmente la sua immagine di minore

Ma è ciò che avviene ora che ci conferma cosa Haydn pensasse del Caos. Dalla seconda metà della battuta 40 e per altre due battute abbiamo la riproposizione (quasi) pari-pari delle battute 5-7: stesse note e stesse tonalità; poi, le sei battute dalla 43 alla 48 ci ripresentano – con l'intervento del clarinetto e qualche diversa infiorettatura del flauto al posto del fagotto - ciò che avevamo udito da battuta 20 a 25… ma in tonalità diversa e precisamente una terza minore sotto. Insomma, pare di essere di fronte ad un – sia pure embrionale – schema di forma-sonata! Il Caos… organizzato, per l'appunto! 

Le ultime 8 battute della Vorstellung poi… sembrano addirittura anticipare Tristan (è detto tutto). La chiusa, dopo le discese di flauto e clarinetto, è dei soli archi, su una triade, mesta e grave, di DO minore. 

Ecco: Dio ha osservato il Caos e si prepara (sembrerebbe quasi… di malavoglia!) ad intervenire. 
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In omaggio all'assunto secondo cui il durante e il dopo della creazione – però va tenuto presente che nel dopo qui non si va oltre l'Eden! – devono essere del tutto diversi dal prima, Haydn ha rivestito le tre parti dell'Oratorio (le prime due raccontano i sei giorni – 4+2 - del durante e la terza il dopo) di vesti musicali totalmente diverse da quelle della Vorstellung. Quanto questa è prevalentemente sofferta e cupa, tanto il resto è sereno e solare.  

In effetti tutta l'opera è pervasa di gioia ed ottimismo, assecondando in pieno le caratteristiche del testo, che innalza lodi alla potenza e alla provvidenza divina, esaltando le bellezze del creato, senza mai nemmeno sfiorarne gli aspetti tragici. Ammiriamo il leone e la pecorella, che popolano la terra crescendo e moltiplicandosi, ma non vediamo il leone che – per crescere e moltiplicarsi – azzanna la pecorella… (perché è la mano di Dio che nutre ogni creatura). Non manca nell'elenco degli animali il serpente, ma nulla lascia presagire che poi il rettile assumerà un ruolo decisivo nel portare Eva ed Adamo alla perdizione. Gli stessi fenomeni naturali, anche i più drammatici, come le tempeste e le folgori, vengono sempre descritti per evocare la grandezza del Creatore, mai i danni che provocano all'ambiente e a chi lo abita.  

In tutto il testo troviamo solo pochissimi e vaghi accenni – quasi soltanto dei presentimenti – ai risvolti negativi legati alle caratteristiche del creato: qui un semplice aggettivo – distruttore – a descrivere l'uragano; là il riferimento all'usignolo il cui petto non è ancora oppresso dal dolore; infine, l'ultima esternazione di Uriel, che esalta l'eterna beatitudine della coppia umana… finchè non si lasci vincere dal desiderio di avere, e soprattutto di sapere di più.  

Ma l'opera termina in gloria, con l'ennesima lode per il Creatore. E ciò che colpisce subito è la sua grandissima cantabilità, le sue melodie orecchiabili, schubertiane, quasi romantiche… lontane assai dai temi sempre severi, classici, colmi di austerità e seriosità - anche quando allegri - delle sinfonie e dei quartetti del sommo Josephus.
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Rilling e i suoi Musikanten – una compagine dalle dimensioni non ipertrofiche, meno di 40 strumentisti e meno di 50 coristi - ne hanno dato un'interpretazione pregevolissima (del resto si tratta di uno dei loro cavalli di battaglia) sia nelle pagine prettamente strumentali che nei grandi squarci corali. Discreta la prova dei solisti, fra cui è spiccata la bella voce di Julia Sophie Wagner; accettabili le prestazioni di Lothar Odinius e Markus Eiche (quest'ultimo un po' a corto di… potenza.)  

Caloroso successo e grandi applausi per tutti, fra i quali anche quelli di Erina Gambarini, Maestro del Coro de laVerdi – di cui Rilling è da anni uno dei Direttori principali ospiti – che nell'intervallo è andata a salutare il Maestro con cui i prossimi 17-18-20 gennaio proporrà in Auditorium il Requiem brahmsiano.

21 settembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.2


Per il secondo appuntamento in Auditorium ecco musica di Spagna composta da un russo, due francesi e uno spagnolo… francesizzato! Tutta musica orecchiabile e fischiettabile, che potrebbe definirsi (rubo il titolo di una vecchia collezione di vinili anni-60) Musica classico-leggeraE francamente più adatta ad una qualche kermesse estiva, magari all’aperto, che ad un serio concerto della stagione principale.

Ancora a riprendersi dal parto casalingo la titolare Xian, sul podio è sempre il suo Assistente Jader Bignamini, che ha così modo di estendere ben oltre il programmato la sua presenza alla guida dell’Orchestra, in cui entrò anni fa come specialista di clarinetto piccolo (ma sono più d’uno i Direttori divenuti famosi grazie a fortuite circostanze; uno per tutti: Toscanini, che fa pure rima, smile!) E nel programma di questa settimana ci sono due brani che figuravano in quelli di due concerti della stagione 10-11 (il 25 e il 32) quando Bignamini sedeva nella seconda fila dei fiati (rispettivamente per lo Zarathustra e proprio per il Bolero).

Apertura con Capriccio spagnolo di Rimsky, che già avevamo ascoltato all’inizio di quest’anno alla Scala con Gergiev (qui alcune mie note introduttive).

L’unico rilievo che mi sentirei di fare all’esecuzione riguarda i tempi piuttosto slentati, che credo non rendano giustizia a questo brano spumeggiante e pieno di verve, suonato ieri con eccessiva prosopopea.   

Ora abbiamo una sinfonia con violino principale, genere piuttosto inconsueto (a meno di non rifarsi a Mozart e alle sue sinfonie concertanti). Qualcuno può anche intenderla come un ipertrofico concerto per violino e orchestra, in 5 movimenti invece dei 3 canonici… Si tratta della Symphonie espagnole di Edouard Lalo, che qui ci viene proposta da Karen Gomyo, una simpatica ragazza nippo-canadese che suona uno Stradivari del 1703, pare appartenuto ad Henri Vieuxtemps e oggi catalogato come ex-Foulis dal nome di una violinista scozzese (Lilian Foulis) che lo suonava all’inizio del ‘900, dopo averlo acquistato a Londra per 1000 Ghinee (una fortuna, ai tempi) da Hill&Sons. 
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L’iniziale Allegro non troppo (RE minore, 4/4 alla breve) è un movimento in forma-sonata delle più canoniche. Subito l’orchestra espone il motivo introduttivo, ripreso immediatamente dal violino, poi ancora dall’orchestra, che comincia a presentare il classico ritmo spagnoleggiante, dove la battuta in 4/4 è divisa in una terzina più due semiminime (3+2, poi più avanti anche 2+3):


Più avanti il violino solista presenta quello che possiamo identificare propriamente come primo tema:

Il quale si arricchisce di virtuosistiche figurazioni, che l’orchestra accompagna fino alla preparazione dell’ingresso del secondo tema: il violino lo introduce modulando a SIb (sottodominante della relativa maggiore – FA - del RE minore d’impianto) ma sono strumenti gravi (violoncelli, contrabbassi e fagotti) a presentarlo per primi, lasciando poi spazio al solista che lo espone (dolce, espressivo) in tutta la sua estensione:

Dopo averlo riproposto, il violino ripiega, con tutta l’orchestra, sul RE minore, dove abbiamo uno sviluppo piuttosto breve, nel quale il solista ha modo di esprimere le sue capacità virtuosistiche.

Si arriva quindi alla ricapitolazione, con il primo tema che torna ovviamente in RE minore ed il secondo che – forma-sonata imponendo – si adegua ed appare quindi in RE maggiore. Ancora passaggi virtuosistici e si ritorna al RE minore, dove spezzoni del primo tema portano rapidamente alla cadenza conclusiva.

Ora ecco l’Allegro molto (Scherzando è il titolo del movimento, 3/8 in SOL maggiore). Sono gli archi in pizzicato a dettare il ritmo ternario (caratteristico della seguidilla) sul quale il violino innesta il suo lunghissimo tema, che principia così:

E che poi prosegue infittendo il tessuto musicale, con continue terzine di semicrome, fino ad arrivare ad un culmine in cui assistiamo ad una modulazione a MIb, e da qui ad un rallentamento del ritmo: entriamo infatti in quello che nei classici Scherzi è il Trio.  

Dapprima il solista espone incisi melodici sul MIb e sul SIb, poi sul SOL minore, nella quale tonalità (ancora Poco più lento) ecco comparire nel violino un motivo dolente, che però porta, riaccelerando i tempi, al SOL maggiore, per la ripresa dello Scherzo, che giunge alla fine vagando ancora sul SOL minore, per chiudere sul SOL vuoto e grave di archi e timpani.

Segue l’Intermezzo (Allegretto non troppo, 2/4 in LA minore) che - chissà perché - fu (ed è ancora, come dimostrato proprio ieri sera) ingiustamente cassato da tanti esecutori… Torna la configurazione 3+2, scandita da tutta l’orchestra nell’introduzione, prima che il solista esponga una dolente melodia:

A ben vedere (anzi… ascoltare!) la seconda sezione della quale – se trasposta in RE – potrebbe benissimo seguire il primo tema del movimento iniziale:

Il movimento è… movimentato da una sezione in 6/8, dove il solista ha ancora modo di mettersi in mostra, prima che si torni alla tonalità base, con la riesposizione del tema principale, che porta alla chiusa, suggellata da un accordo di LA minore di tutta l’orchestra.

Il quarto movimento è un Andante (3/4, RE minore) aperto da una specie di corale dei fiati e degli archi bassi. Curiosamente ricorda un po’ l’analogo tempo della renana di Schumann (sinfonia che si caratterizza, come questa di Lalo, per i 5 movimenti, di cui il quarto ricorda una musica da cattedrale). Il violino espone la mesta melodia del tema principale:

Osserviamo bene le prime quattro battute, poiché quella configurazione di note tornerà – in diverso tempo e atmosfera – nel tema cantabile del Rondo finale. Dopo un intervento orchestrale, ancora il solista entra con un secondo tema in RE minore:


che però, quasi magicamente, muta presto in maggiore, acquistando quindi una carica di ottimismo:

subito ripresa dai primi violini, poi ancora dal solista, fino ad arrivare ad uno schianto dell’orchestra, che riporta al tema principale. Ma la chiusa è ancora nel segno del RE maggiore.

Il finale è un Rondo (Allegro, 6/8 in RE maggiore) il cui ritmo di base viene scandito quasi subito dal primo fagotto (cui si aggiungeranno poi altri strumenti) con un inciso ripetuto per ben 13 volte (che si tratti di scaramanzia? smile!) prima dell’ingresso del violino solista:

Il quale presenta il tema principale del Rondo:

Un Rondo piuttosto… asimmetrico, chè il tema principale ne è il quasi assoluto protagonista, in quanto lo sentiamo ripetuto – più o meno variato e infiorettato - per tre volte in RE, poi una quarta in FA#, quindi ancora modulato a SIb e infine di nuovo a RE maggiore. Solo ora il solista trascina l’orchestra ad una modulazione alla dominante LA, dove finalmente compare qualcosa di nuovo: un motivo marziale, scandito a piena orchestra, poi ripreso dal violino, che finalmente passa a proporci un tema di derivazione popolare (le cui prime note avevamo udito nell’Andante); non a caso esso verrà ripreso e sfruttato commercialmente molti anni più tardi (1938) dalla musicista messicana, allieva di Debussy, Maria Grever che (insieme ad un altro inciso preso da España di Chabrier) ci costruì la canzoncina Ti-pi-tin, che fu poi portata in Italia prima dal Trio Lescano e poi ripresa anche da Gigliola Cinquetti (le parole italiane che Galdieri appiccicò al tema recitano: La luna vide dal cielo Rosita baciar Manuelo…)

A questo punto si riaccelera per tornare al tema principale, esposto due volte, come in precedenza, in FA# e poi in SIb: sono circa 70 battute che a volte vengono tagliate, come qui - a 28'40" - da Isaac Stern (ma non è escluso che il motivo fosse semplicemente… la limitata capienza di una facciata del 33-giri, smile!); il buon Vadim Repin invece non si fa sconti ed esegue anche questa sezione (tra 28’10” e 29’25”).

L’intera orchestra riprende in RE maggiore il tema principale, che poi il solista porta con  nuovi virtuosismi verso la trionfale conclusione.
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Karen Gomyo ne deve avere – per me – una visione piuttosto bizzarra. A parte l’imperdonabile taglio dell’Intermezzo (malignità: forse troppo difficile?) lei sembra perennemente alla ricerca del facile effetto, infarcendo il brano di continue gigionerie, con abuso di rubati e tempi anche qui eccessivamente lenti (forse per recuperare il movimento mancante, smile!) Cerca allora di farsi perdonare con bis del suo amato Piazzolla. Il successo non manca, ma francamente la sua interpretazione non mi ha convinto, amen.  

Dopo l’intervallo finalmente un compositore spagnolo, anche se di fatto cooptato a Parigi – dove visse accanto a Debussy e Ravel, tanto per dire - all’inizio del secolo scorso: Manuel De Falla, di cui ascoltiamo la Seconda Suite da El sombrero de tres picos, un balletto commissionato dall’onnipresente Diaghilev e rappresentato per la prima volta a Londra nel 1919.  

Tratto da una novella di Pedro Antonio de Alarcòn, è una specie di farsa a lieto fine, piena di equivoci, travestimenti e bagni fuori stagione, dove il Corregidor (una specie di Podestà del paesotto) insidia la bella moglie di un mugnaio e fa la fine… che si merita, smerluzzato da tutto il popolo nella notte di San Giovanni. Qui sotto la storiella completa, per chi volesse sorriderci sopra:

Dal balletto (qui una pregevole esecuzione di Ansermet con la Berganza) De Falla estrasse due Suites, che racchiudono buona parte (circa i 2/3, come tempo di esecuzione) della musica originale. In particolare sono stati esclusi gli interventi del mezzosoprano.
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La Suite n°2 comprende tre numeri, tutti provenienti dalla seconda parte del balletto. Il primo è una seguidilla, La danza dei vicini:
Il secondo numero è una farruca, tratto da La danza del mugnaio:

Chiude la vorticosa Jota  che, in DO maggiore, presenta più volte il tema principale e più famoso del balletto:

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Qui direi che le cose sono andate meglio: un’esecuzione apprezzabile sotto tutti gli aspetti. Se posso permettermi un consiglio, farei sempre eseguire le due Suite insieme, quei 10 minuti in più per la N°1 sarebbero ben spesi. 

Chiusura in bellezza con Ravel e il suo inflazionatissimo Bolero (ascoltato proprio qui in Auditorium poco più di un anno fa).

La figura che segue non rappresenta un quadro astratto, né ha a che fare con il gioco del tetris, ma dà l’idea dell’impiego degli strumenti nel corso dell’esecuzione: si parte in pratica con il solo tamburino, per di più in pianissimo, e si arriva, dopo un quarto d’ora o giù di lì, ad un vero e proprio uragano sonoro dell’intera orchestra:


È ancora Ivan Fossati a trascinare l’orchestra con il suo tamburino, dislocato proprio davanti a Bignamini. Il quale mostra ancora una volta la sua grande sicurezza ed una meticolosa attenzione ai dettagli, mettendo nel dovuto risalto anche le piccole forchette che Ravel annota in partitura, per creare dei chiaroscuri nella dinamica, che attenuano gli effetti legati alla ripetitività dei motivi. Trionfo assicurato (ma l’entrata del saxofono era in fuorigioco, o sbaglio?)

L’appuntamento n°3 – nonostante la perdurante assenza di mamma-Zhang - si prospetta assai interessante, con un programma tutto... sovietico.
  

14 settembre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.1 (con fiocco azzurro!)


A Zhang Xian, e/o al pargoletto che si portava davanti in pancia, il terribile Ivan di domenica scorsa alla Scala deve aver proprio fatto un effetto particolare: ha anticipato di un mesetto abbondante l’arrivo del secondogenito!

Così è toccato al suo vice Jader Bignamini (ed è già la seconda volta che capita, dopo una 5a di Mahler di qualche mese fa) sostituire sul podio la direttora nel concerto inaugurale della stagione 12-13 de laVerdi, dopo che il giovane clarinettista aveva chiuso – con lo Chénier – anche quella precedente. Prima dell’inizio, Ruben Jais (Direttore artistico) dopo aver ricordato come questa sia la 20ma stagione dell’Orchestra, ha fatto gli auguri a Xian (che sarà assente, come minimo, anche la prossima settimana - e te credo!) e ha ringraziato Bignamini e Francesca Dego per la prontezza con cui hanno reagito all’improvvisa defezione della puerpera, alla quale sono andati calorosi applausi del pubblico.

Ad aprire la serata è l’Ouverture da Ruslan e Ljudmila di Glinka: un vero pezzo di bravura per le orchestre (archi in testa) che da sempre si sfidano a chi la sa suonare più velocemente. In partitura c’è l’indicazione metronomica di 140 minime (o 135, per i dilettanti, smile! – ed è già parecchio) che significa un tempo totale teorico di meno di 5’35” (l’intero brano in C tagliato è notato come Presto per 372 battute e Più mosso per le restanti 30). Quel demonio che rispondeva al nome di Yevgeny Mravinsky la fece eseguire ai Filarmonici di Leningrado (che qui gli tengono splendidamente bordone!) addirittura in 4’38”, equivalente a più di 173 minime, un vero record!

I ragazzi de laVerdi non sono in cerca di primati, ma di ottime esecuzioni: tengono un tempo come da indicazione dell’Autore e Luca Santaniello li trascina, con Bignamini, in un’esecuzione di tutto rispetto e senza alcuna sbavatura, accolta da scroscianti applausi.

Arriva poi, con un lungo dorato degno di una fatina, la giovane e bella Francesca Dego – non nuova a calcare il tavolato di Largo Mahler – per deliziarci con il Secondo Concerto per violino di Prokofiev.  
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Prima opera completata dal compositore ai tempi del ritorno in URSS, ha una struttura assolutamente tradizionale. L’iniziale Allegro moderato è rigorosamente in forma-sonata, presentando i canonici due temi: SOL minore il primo, scuro e pensoso, e SIb maggiore il secondo, più contemplativo  (che si adegua al SOL nella ricapitolazione):
Segue l’Andante assai, dove Prokofiev affida al caldo suono del violino una delle sue lunghissime e deliziose melodie (in MIb):


Nella sezione centrale, troviamo un Allegretto in RE, dove si raddoppia la velocità, prima del ritorno al tempo iniziale, e alla stupefacente cadenza finale di violoncelli e corni, chiusa dai clarinetti e da un contrabbasso.

Chiude in Allegro ben marcato in 3/4 un Rondo, il cui tema ricorrente (all’inizio in SIb, poi chiuderà in SOL) subito esposto dal solista, ha un che di sforzato e faticoso:
La struttura è assai semplice (A-B-A-C-A-B-A-Coda) dove B ha un andamento irregolare, con mutamenti di tempo da 3/4 a 2/2 e poi a 7/4. Anche la coda (66 misure) che è una vera e propria rincorsa a rotta di collo, cambia continuamente tempo, tra 5/4, 3/4, 2/2, 2/4, fino a chiudere in 3/4, con tre schiocchi di piatti colpiti con bacchette e una specie di tonfo del SOL grave del violino, accompagnato dalle trombe e dalla grancassa.   
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Splendida la prova di Francesca Dego, ben assecondata Bignamini e da tutta l’orchestra, e grande successo per lei, che ci regala subito un sensazionale bis paganiniano (l’ultimo dei Capricci op.1) e poi, per celebrare al meglio anniversari, ricorrenze e nascite, si fa affiancare da Luca Santaniello ed esegue con lui il primo movimento della Sonata per due violini di Prokofiev (qui i due Oistrakh).

Chiude il concerto una Suite dal balletto Romeo e Giulietta. Insieme al completamento del Secondo Concerto per violino, il balletto fu una delle prime composizioni del Prokofiev sovietico (che nel 1935 era in procinto di ristabilirsi in URSS dall’occidente) e guarda caso la sua gestazione fu assai travagliata, causa resistenze e intromissioni di varia natura. Tanto per cominciare, qualcuno se la prese con l’idea, considerata cervellotica e quasi blasfema verso Shakespeare, che il compositore aveva avuto di chiudere il balletto con un lieto fine: Romeo e Giulietta ricongiunti, grazie a Frate Lorenzo, e avviati ad un futuro di felicità… (a nulla valsero le giustificazioni di Prokofiev, che sosteneva che due morti non potevano danzare, smile!) Poi ci si mise anche il corpo di ballo del Kirov, protestando vivacemente contro una musica ritenuta indanzabile (!)

Insomma, la prima del balletto – che l’autore fu costretto a ritoccare, e non solo per rimettere le cose a posto con Shakespeare - dovette essere spostata all’estero (Brno, 1938…) e per la prima rappresentazione in URSS, al Kirov, si dovette aspettare il 1940. Recentemente il materiale originario (con il lieto fine, per intenderci) è stato riesumato dal musicologo Simon Morrison da polverosi cassetti dell’Archivio di Stato russo e impiegato per una messa in scena della versione originale del balletto ad opera della compagnia di Mark Morris.
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Contemporaneamente alla composizione del balletto (3 atti, 9 scene e 52 numeri, nella versione definitiva) Prokofiev ne estrasse due Suites (che recano lo stesso numero di Opus del balletto, 64bis e 64ter) costituite ciascuna da 7 numeri, che corrispondono a singoli numeri del balletto o a loro raggruppamenti. Esse furono eseguite in concerto – e con gran successo come ad esempio la seconda, qui diretta dall’Autore nel 1938 – già prima del balletto da cui derivavano. Parecchi anni dopo Prokofiev predispose una terza Suite (op.101) composta da 6 numeri. Ma prima aveva pubblicato (Op.75) Dieci pezzi per pianoforte, sempre estratti dal balletto. Le tre Suites presentano in tutto 20 numeri – derivati da 26 numeri del balletto - solo l'ultimo dei quali duplicato; invece i 10 Pezzi ripropongono 9 dei numeri delle prime due Suites (più Mercuzio). Inoltre la sequenza delle Suites e dei 10 Pezzi nulla ha a che vedere con quella del balletto (che invece rispetta – finale compreso, dopo le reprimende dei puristi - la trama della tragedia del mago di Stratford-upon-Avon).

In effetti è difficile decifrare il criterio usato da Prokofiev per strutturare le sue Suites, e ciò spiega anche perché in concerto e nelle incisioni si trovino oggi le più svariate… varianti. Nella tabella che segue sono indicati i numeri del balletto e quelli delle diverse Suites (la posizione nella riga stabilisce il numero, o i numeri, di provenienza dal balletto; si tenga presente che i titoli dei numeri delle Suites a volte differiscono da quelli del balletto; inoltre Prokofiev introdusse piccole varianti per ragioni di consistenza)




Spesso i Direttori si divertono a comporre proprie varianti delle Suite: il fatto è che questa musica è talmente grande – personalmente non trovo di meglio in tutto il ‘900! – da poter essere presentata in qualsivoglia sequenza, senza perdere un briciolo del suo fascino. Anche caricando i 52 numeri del balletto o delle Suites su iPod e riproducendoli con l’opzione random, si ottiene sempre un risultato straordinario!

Bignamini – credo proprio interpretando le intenzioni della Xian – carica l’esecuzione di spiccati chiaroscuri, a partire dagli accordi fracassoni dell’apertura (Montecchi e Capuleti) e per finire alla chiusa della Morte di Tebaldo, con i 15 colpi – proprio numerati in partitura, che paiono altrettante randellate sulla testa del malcapitato – esplosi dall’orchestra prima del definitivo schianto:


Ma nei brani intimistici (da Giulietta fanciulla al meraviglioso Romeo e Giulietta) vien fuori tutta la raffinatezza e trasparenza della musica del mago Prokofiev.

Successo calorosissimo per tutti e appuntamento in… Spagna, dove ci si trasferirà la settimana prossima.