ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

22 ottobre, 2011

Le simpatiche Nozze di Michieletto alla Fenice


Ieri sera in scena il (cosiddetto) secondo cast per le Nozze mozartiane alla Fenice, abbastanza affollata all'inizio, per poi mostrare evidenti vuoti - ostregheta! - dopo l'intervallo.

 
Spettacolo per me godibilissimo e ampiamente meritevole della trasferta in una Venezia (che il triestino Amfortas insiste a definire orrida) sempre affascinante, sulla pietra come sull'acqua, per quanto torbida… Il merito del mio abbastanza lusinghiero giudizio va suddiviso in parti equivalenti fra messinscena, cantanti e strumentisti, let alone il genio di un tal Gottlieb von Salzburg stimolato da un gaudente religioso italico.

 
Damiano Michieletto e i suoi collaboratori Paolo Fantin (scene) Carla Teti (costumi) e Fabio Barettin (luci) hanno realizzato un mix assai equilibrato di introspezione psicologica, di commedia umana e di farsa che inquadrano bene il multiforme capolavoro.

 
Nessuna velleità, nè pretesa, di svelare o proporre chissà quali arcani e reconditi significati dell'opera (col rischio di falsarne l'essenza, come accade nel 90% dei casi in cui il regista è convinto di essere l'unico furbo in un mondo di idioti) ma una (quasi sempre) efficace e intelligente interpretazione di ciò che l'originale del resto ci svela assai apertamente.

 
Centratissima (e centrale qual è nel libretto e nella musica) la figura di Cherubino, che è una specie di catalizzatore, in chimica definito come un componente presente in quantità minima, ma che è in grado di innescare reazioni, fra altri elementi in circolazione, che mettono in gioco quantità di energia di ordini di grandezza superiori. Ecco quindi il nostro ragazzino che – quasi taumaturgicamente, con la sua carica erotica – fa rinascere a nuova vita la contessa già data per morta (alla felicità, s'intende, durante l'ouverture) semplicemente imponendole la sua mano. E poi fa sentire la sua presenza sui sentimenti degli altri personaggi pilotandoli come un burattinaio – tirando con una cordicella un drappo appeso al soffitto. E poi ancora mette il suo alito (un volgare pallone da calcio, che rappresenta il suo strumento di svago innocente) addosso ai quattro individui che formano le due coppie (Bartolo-Marcellina e Susanna-Figaro) per suggellarne la ritrovata unione.

 
Altra idea non disprezzabile è quella di presentare in scena personaggi che sono oggetto di pensieri, maledizioni, aneliti… di altri che in scena sono prescritti da libretto e musica. A volte questa tecnica eccede in didascalismo (non ci vuol molto a sospettare che Figaro abbia qualcosa da recriminare nei confronti di Almaviva, e viceversa…) ma è assai efficace per guidare quegli spettatori (e sono probabilmente la maggioranza) che nemmeno ci provano a leggere e a capire la sostanza del libretto; ed anche ad animare scene che viceversa soffrirebbero di naturale staticità. Anche l'uscita di scena finale della contessa – nota pessimistica nella generale contentezza – non è poi così fuori dal contesto dell'opera: il personaggio è palesemente irrecuperabile – non per colpa sua, anzi – alla completa felicità e nemmeno il povero Cherubino – ormai accasato pure lui – ha più le facoltà per richiamarla in vita, come era accaduto all'inizio.

 
Non manca qualche eccesso di sottintesi goliardici, come il Cherubino che a Barbarina - che lamenta L'ho perduta, me meschina… - sflila la veste (metaforicamente: le mutande!) Oppure laddove – nella pantomima del IV atto – Almaviva si arrapa come uno scimpanzè quando la contessa (creduta Susanna) gli dice Io te la do… Ma si può perdonare, e i primi a farlo sarebbero di sicuro gli autori, ai loro tempi vincolati da censure e bigottismi diversi.

 
Efficaci le scene impiantate sulla piattaforma girevole e cangianti a vista. L'idea della tavolata dove si riuniscono di tanto in tanto i personaggi nelle scene di concertato non è nuova (ad esempio si vide nell'Onegin di Tcherniakov) ma intelligente e permette spettacolari effetti, come quello invero esilarante di chiusura del secondo atto, col tavolo fatto girare vorticosamente, come la testa dei protagonisti.

 
Sul fronte canoro nessun 30-e-lode, ma nemmeno riprovazioni inappellabili: una compagnia mediamente ben assortita, dove tutti han dato il massimo: Priante (non nuovo al ruolo di Figaro) e la Lo Monaco mi son parsi i più sicuri, ma tutti gli altri – vedi locandina - non hanno per nulla demeritato. Brave le voci di Moretti, sempre disposte nella buca dell'orchestra per i loro interventi.

 
A Manacorda darei un voto fra il discreto e il buono: basterebbe l'Ouverture ad assicurargli ampi consensi, ma in tutta l'opera mi è parso preciso, attento alle sfumature e soprattutto a supportare al meglio chi canta sul palco. Bravo a lui e agli orchestrali, che non hanno avuto una sola sbavatura. Pienamente rispettosa dell'originale – ma sempre discutibile sul piano estetico – la riapertura dei tagli delle due arie (di Marcellina e Basilio) del IV atto; arie che massimo Mila definiva scritte per ragioni sindacali (garantire gloria contrattuale al soprano e tenore minori) e che effettivamente, sul piano estetico, si fatica a credere che siano farina del sacco del Teofilo. Nella fattispecie a guadagnarci mi pare sia stato più Lazzaretti che la Martorana. A Michieletto l'aria di Basilio è servita per fargli fare uno scambio d'abiti col maggiordomo, quasi a volerci rappresentare uno spaccato di civiltà contemporanea: il povero musicista che aspira a diventare servo (asino!) di qualche potente…

 
Sono le 10 e mezza passate di sera, l'aria è proprio frizzantina, e sul vaporetto che solca il Canalgrande c'è ancora una gran folla multietnica che sale e scende a destra e a manca: vita a Venezia!
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2 commenti:

Amfortas ha detto...

Sono sicuro che avresti apprezzato di più il Don Giovanni, che a mio parere è un allestimento più riuscito.
A Michieletto, visto che anche la seconda compagnia si è ben disimpegnata in scena, bisogna riconoscere che fa il suo lavoro: il regista, appunto e non solo lo scenografo prestato alla regia. Sono contento che ti sia piaciuto Manacorda, ero curioso di leggere il tuo parere.
Su Venezia, ahimé, non la pensiamo allo stesso modo :-), io ci scherzo un po', ma non è una città che mi piace e non ci vivrei mai.
Ciao daland, a presto!

daland ha detto...

@Amfortas
Ho saltato il Don perchè sentirò quello scaligero a dicembre e... non voglio fare indigestioni.
Del trittico veneziano spero di assistere anche al Così fan tutte.
Grazie e ciao!
(credo che neanch'io vivrei a Venezia, ma il giudizio da turista è diverso)