ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

17 agosto, 2011

ROF-2011 - Adelaide


Ieri sera prima tappa (per me) del ROF-2011 - al Teatro Rossini, dove il pubblico ha lasciato pochissimi spazi vuoti - con Adelaide di Borgogna. Opera del Rossini già maturo (1817) ma forse meno riuscita rispetto a capolavori composti in anni precedenti (non parliamo poi di ciò che sfornerà di lì a poco) il che ne spiega il (relativamente) modesto successo.
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Il libretto si ispira a fatti storici medievali (metà del decimo secolo) assai liberamente interpretati e sui quali si innesta una vicenda romanzata a base di intrighi, imbrogli e tradimenti, con colpi di scena a ripetizione e il lieto fine (che almeno non contraddice la verità storica).

La quale storia ci porta sul Lago di Garda, e proprio nel paese che al lago dà il nome. Qui si trovava una antica rocca, distrutta nel 1200, di cui restano vaghe tracce e in cui venne imprigionata la principessa Alonda (così la chiama Bongiani Grattarolo nella sua Historia della riviera di Salò del 1599) alias Adelaide. Costei, nata nel 931 da Rodolfo II, Re di Borgogna e da Berta di Svevia, era andata sposa, a 16 anni, a Lotario II, re d'Italia. Ma rimase presto vedova, nel 950, per la prematura scomparsa del marito, si disse avvelenato da Berengario II, duca d'Ivrea, che si impadronì del trono. Per legittimare l'usurpazione, Berengario impose il matrimonio fra il proprio figlio Adalberto e la vedovella Adelaide. La quale rifiutò e venne così imprigionata, il 19 aprile del 951, nella Rocca di Garda e affidata alle cure di una serva e di un presbitero di nome Martino. Rimase rinchiusa per circa quattro mesi in una torre, da cui riuscì a fuggire con la complicità di detto frate Martino, trovando rifugio presso tal marchese Azzone, nella fortezza di Canossa (più nota per via di Matilde, che ci abitò più di un secolo dopo). Lì però fu scovata da Berengario, che cinse la fortezza d'assedio, ma fu sconfitto dall'imperatore Ottone I, disceso in Italia in soccorso della giovane vedova, che poi sposò nel Natale del 952. Adelaide governò l'impero dapprima accanto al marito e poi con il figlio Ottone II e, come reggente, con il nipote Ottone III. Morì a Selz (in Alsazia) il 16 dicembre 999 e successivamente fu canonizzata da papa Urbano II nel 1097.

Giovanni Federico Schmidt, livornese trapiantato a Napoli, mescolò questi ingredienti storici in modo assai bizzarro. A cominciare dalla collocazione temporale, 947, storicamente impossibile, datosi che Lotario (primo marito di Adelaide) a quel tempo era ancora vivo e vegeto ed anzi aveva appena sposato la sedicenne principessa. Poi l'ambientazione, collocata in una fantomatica fortezza di Canosso presso il Lago di Garda: forse il librettista, più e oltre che far confusione con la Storia, pensava alla scenografia, e decise di mettere sullo sfondo della fortezza il ridente lago, piuttosto che il meno attraente (i canossiani mi perdoneranno) paesaggio collinare dell'appennino reggiano. Proprio volendo fargli credito, potremmo anche ipotizzare che la sintesi Canossa+Garda=Canosso sia stata motivata dall'obiettivo di mantenere quell'unità di luogo tanto cara agli autori di drammi (tutta l'opera è ambientata in Canosso, ma in entrambi gli atti abbiamo una scena presso il campo di Ottone sul lago di Garda). Siamo quindi, in realtà, a Canossa, dove Adelaide si è rifugiata, ospite di Iroldo (nella storia: Azzone, che Schmidt storpia in Attone, tanto per creare altra confusione con Ottone, smile!) e inseguita da Berengario e dal di lui figlio Adalberto (Adelberto, per Schmidt).

In questo scenario il librettista, non potendosi certo accontentare di una trama piuttosto scialba e banale (l'assedio di Berengario, l'arrivo di Ottone, la di lui vittoria e il vissero tutti felici e contenti) si inventò un improbabile intreccio militar-diplomatico-passionale: Berengario-Adelberto, conquistata Canosso e fatta prigioniera Adelaide, offrono al sopraggiunto Ottone una (finta) pace, cercando di sputtanare Adelaide ai suoi occhi; ma quando Ottone decide di sposare comunque la vedovella, Berengario-Adelberto gli muovono guerra e imprigionano Adelaide (qui finisce il primo atto). Inseguito da Berengario, Ottone si ritira, si riorganizza e cattura a sua volta l'usurpatore. Abbiamo quindi una classica situazione di stallo e di suspence: ciascuna delle due parti detiene in ostaggio una persona cara alla parte avversa. La vicenda si fa tanto intricata quanto inverosimile: Eurice, moglie di Berengario, cerca di convincere il figlio Adelberto a scambiare Adelaide con il padre. Vedendo Adelberto indeciso (lui vorrebbe tenersi Adelaide a tutti i costi, essendone sinceramente innamorato) libera lei stessa la principessa, facendosi promettere in cambio il rilascio del marito! Mentre Adelberto, di malavoglia, parlamenta con Ottone per lo scambio di prigionieri (cui Berengario cerca peraltro di opporsi) arriva Adelaide, che convince Ottone a lasciar liberi i nemici, come promesso ad Eurice. Berengario e Adelberto possono quindi preparare un'altra guerra: la perdono e finalmente Ottone ed Adelaide si uniscono trionfalmente in matrimonio (!)
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Trama invero farraginosa, difficile francamente trarne un grande dramma per musica, ahinoi! E se ne accorse già il pubblico dell'Argentina alla prima rappresentazione, accolta assai freddamente. Però la musica non è certo da buttare, al contrario! A parte l'imprestito (la sinfonia presa, con pochi ritocchi, da quella della Cambiale di matrimonio) ci sono arie, concertati e cori assolutamente degni del miglior Rossini.

Già l'inizio è promettentissimo, con l'Andante in FA maggiore dei cori (del popolo di Canosso, Misera patria e dei guerrieri di Berengario, Aprì la chiusa terra) in cui interviene brevemente anche Iroldo, seguito dal terzetto fra Adelaide, Berengario e Adelberto, un numero assai lungo ed articolato: Allegro, SIb, con la preghiera di Adelaide ai suoi sequestratori (Lasciami) perché la liberino, mentre costoro le offrono di tornare regina, ma sposando Adelberto; l'Adagio, LAb, dove troviamo l'invocazione di Adelaide (Dio, che m'ami) perché le faccia arrivare l'aiuto di Ottone, contrappuntata dalla sicumera dei due nemici (La superba in tal cimento) che escludono che quell'aiuto possa mai materializzarsi (qui Adelaide tocca il REb acuto); e infine il Vivace, in FA maggiore, Ah crudel, che sancisce la totale rottura fra le due parti, con Adelaide che rifiuta le profferte di Adelberto e Berengario che ne ordina l'imprigionamento. La chiusa del terzetto, con intervento anche del coro (Io t'aborro nell'amore) è davvero degna del miglior Rossini!

Seguono dei recitativi secchi: totalmente tagliato quello fra Berengario e Iroldo (con reciproche accuse e minacce) e in parte il successivo, che ci informa dell'arrivo di Ottone e dell'inganno che Berengario sta preparando.

Ora abbiamo una bella veduta del Lago di Garda. Dove il coro dei soldati germanici (Salve, Italia) in SOL maggiore ci introduce l'ingresso del (della, in realtà) protagonista: Ottone si presenta con un bel recitativo accompagnato (O sacra alla virtù) proprio degno di Cherubini o di Gluck (purtroppo in tutta l'opera ne troviamo solo tre, il resto son recitativi secchi, per noi piuttosto noiosi a sopportarsi) che passa dal SOL al DO. Dopodichè - introdotta e poi contrappuntata in Maestoso da un delizioso assolo dell'oboe d'amore (o del corno inglese) obbligato – Ottone intona la sua cavatina Soffri la tua sventura, in MIb, per poi sfociare in un bellissimo Allegretto (Amica speme).

Un altro recitativo secco (tagliato, di tutta una serie di picche-e-ripicche, riguardo il diritto e/o la dignità di Adelaide) prelude al lungo duetto (Allegro in FA maggiore, poi in DO) fra Ottone ed Adelberto (Vive Adelaide in pianto). Segue un Andante, in LAb (dove il tenore tocca anche il DO acuto): è Adelberto che offre la sua pace ad Ottone (Noi deponiamo il brando). Il quale accetta (Depongo io pure il brando) ma diffida sempre più nel suo interlocutore. Che, su un repentino passaggio in Allegro e FA maggiore, invita Ottone a Canosso (Amico ricetto) per suggellare la pace. Offerta che Ottone accetta, pur con crescente sospetto, e principalmente per il desiderio di incontrarvi Adelaide.

Un recitativo secco (tagliato, al solito) ci porta a Canosso, dove Berengario è a colloquio con la moglie Eurice, di cui cerca di dissipare dubbi e timori. Arriva Ottone, accolto da un coro (Viva Ottone) di canossiani osannanti, Iroldo incluso: è un Moderato, SIb, in 6/8, che nel ritmo e nello stilema anticipa chiaramente Weber!

Finalmente Ottone può incontrare Adelaide, che subito gli conferma il torto subito da Berengario-Adelberto. Una parte del recitativo secco (gli scambi di accuse fra la vedova e i due usurpatori) viene giustamente cassata e si passa direttamente alla dichiarazione perentoria di Ottone (Ella è mia sposa) suggellata dalla ripresa del coro precedente (Plauda il mondo) che inneggia alla coppia.

Ora un recitativo secco ci mostra i timori di Adelberto e la sicurezza del padre, convinto di aver messo in atto il piano giusto. Berengario ha qui la sua aria (Se protegge amica sorte) un Allegro giusto, in LA maggiore, per la verità piuttosto opaco e privo di mordente (non per nulla si dice che non sia di mano di Rossini!)

Delizioso, invece, il coro che segue, Andante mosso, in SOL maggiore (O ritiro) delle damigelle di Adelaide, che ne celebrano la felicità per l'imminente matrimonio. E Adelaide canta di seguito la sua cavatina Occhi miei, piangeste assai (Maestoso, in RE maggiore) la cui seconda parte (O cara immagine) modula a SOL maggiore.

Il successivo recitativo secco ci presenta Iroldo, governatore di Canosso e fido di Adelaide, che si congratula con lei e le introduce Ottone. Il quale si dichiara disposto ad andarsene, se Adelaide non lo amasse sinceramente. La principessa sembra sulle prime titubante, ma poi si dichiara: Ah! no; son tua. Qui abbiamo il duetto fra i due (soprano e contralto): è inizialmente un Allegro moderato, in MI maggiore (Mi dai corona e vita e poi Che difensor ti sono). Segue una sezione in Maestoso, SI maggiore (Vieni al tempio) introdotta da una specie di Dreimalige Akkord, e chiude il duetto un Allegro, ancora in MI (Tu che i puri e casti affetti).

Da qui si passa al Finale I, sulla piazza di Canosso, dove si prepara la cerimonia nuziale fra Ottone e Adelaide, che Berengario e Adelberto interromperanno sul più bello. È il coro ad aprirla (Schiudi le porte, o tempio) con un ritmo marziale, Allegro, in DO maggiore (Rossini lo impiegherà di lì a poco nel Mosè, secondo atto, coro Se a mitigar tue cure). Berengario e Adelberto interloquiscono per confermare i loro piani (Riposa in canti). Ottone – Maestoso, modulando a MIb – invita Adelaide all'altare (O degl'itali regnanti) su un tema (il cui incipit è dominante-mediante-tonica) che tornerà fra poco. Adelaide gli risponde (Specchio illustre) mentre Berengario e Adelberto (Ah! componi il tuo sembiante) modulano a SI maggiore per prepararsi al momento topico del loro intervento armato. Adelaide e poi Ottone - passando a MI maggiore (Moderato) sempre sullo stesso tema cantato prima da Adelaide – intonano adesso il nobile Cara man, e sono ormai sul punto di dire il fatidico

Ma un brusco ritorno a DO maggiore, con un sinistro tremolo degli archi, annuncia il parapiglia (concertato) finale (il colpo di mano di Berengario e Adelberto) e l'atto si chiude con una classica stretta, mentre Tutto esprime confusione e spavento.

Come il primo, anche il secondo atto si apre con un coro (Come l'aquila che piomba) in Allegro, nello stesso DO maggiore con cui si era chiuso il primo. Sono i fedeli di Berengario e Adelberto, convinti di aver la vittoria in pugno.

Segue un recitativo secco, in parte tagliato, fra Adelberto e sua madre Eurice, che gioiscono per la vittoria, ma ancora sanno di dover convincere Adelaide. Il successivo recitativo secco è appunto fra Adelberto e la principessa. Lui tenta sempre di convincerla a sposarlo, mentre lei gli rinfaccia senza mezzi termini la colpa della morte di suo marito, Lotario.

Al recitativo, parzialmente tagliato, segue il duetto (Della tua patria) fra i due litiganti. È un Allegro in LA maggiore, dove entrambi debbono toccare il DO# sovracuto. L'Allegro cede il posto ad un Più lento in DO maggiore (Oh rossore) che prelude al colpo di scena: il coro (Ah signor, perduti siamo!) interrompe momentaneamente il duetto, annunciando la cattura di Berengario da parte di Ottone. Il tempo è Più mosso, siamo tornati a LA maggiore. La notizia getta Adelberto nella costernazione, e Adelaide nella gioia. Il duetto riprende con le simultanee e contrastanti esternazioni dei due (Perderò la corona e la vita, lui; Puoi rapirmi, tiranno, la vita, lei).

Dopo un breve recitativo secco, riservato ad Iroldo (personaggio francamente pleonastico) ne abbiamo un altro (parzialmente tagliato) riservato al nuovo confronto fra Adelberto e la madre Eurice, che ora è preoccupatissima per il marito Berengario e ne sollecita al figlio la liberazione, in cambio di quella di Adelaide. Al rifiuto di Adelberto, lei canta un'arietta breve ed insulsa (probabilmente non farina del sacco di Rossini): Sì, mi svena, o figlio ingrato. Che francamente sarebbe meglio lasciare nel cassetto.

Su un Allegro in SIb anche il coro (Berengario è nel periglio) ricorda ad Adelberto i suoi doveri verso il padre. Dopo una frase in recitativo, dove esterna il suo conflitto interiore, Adelberto si decide a rinunciare ad Adelaide, in cambio della salvezza del padre. Lo fa con la sua aria Grida, o natura, contrappuntato un paio di volte dal coro che lo incita a non pentirsi della decisione. Alla fine tocca anche il RE sovracuto, sulle parole pietoso il baratro.

Segue un recitativo secco (tagliato in tutto o in parte) fra Eurice ed Iroldo, durante il quale la moglie di Berengario confida al governatore di Canosso l'intenzione di liberare Adelaide.

Si torna sul Garda all'accampamento di Ottone. Una serie fin troppo lunga (e perciò tagliata in parte) di recitativi secchi ci informa dell'imminente arrivo di Adelberto che dovrebbe accettare lo scambio di prigionieri. Poi di Ottone, che rinfaccia a Berengario le sue colpe. Quindi del sopraggiungere di Adelberto, che accetta lo scambio, ma contro la volontà del padre. Il quale alla fine (tutto ha un prezzo) accetta pur di avere in cambio l'Insubria (che fosse un Umberto Bossi ante-litteram? smile!)

Ma proprio mentre Ottone sta accettando il baratto, cedendo l'Insubria, arriva Adelaide – liberata da Eurice - e così si completa la squadra per il successivo quartetto. Durante il quale si succedono: Andantino in MIb, la sorpresa generale; Allegro, dove Ottone intima ad Adelberto di andarsene (Parti, in SIb) e costui risponde, in MIb, Parto, ma chiede anche che il padre sia liberato; Adelaide, modulando a LAb (Sì, l'otterrai) conferma a Berengario di aver promesso a Eurice di liberarlo; Berengario (Oh tradimento!) che vorrebbe opporsi allo scambio; Adelberto, tornando al MIb, che lo invita ad accettare (Cedi, o padre) per preparare con lui la vendetta; Adelaide che congeda Berengario (Vanne) ed infine la chiusura (Allegro più mosso, sempre MIb) dove le due coppie cantano i rispettivi stati d'animo e propositi (È giunto il gran giorno - Non credere un giorno). È sicuramente un quartetto di assoluto valore musicale.

Ancora una lunga serie di recitativi secchi (in parte tagliati) preparano la conclusione: Ernesto chiede ai soldati di proteggere Adelaide; Ottone prepara l'ultimo scontro, tranquillizzando la principessa; arriva notizia che Berengario e Adelberto stanno uscendo da Canosso, pronti per l'ultima battaglia.

Adelaide canta qui un recitativo accompagnato (Sì, vanne) che introduce la sua aria Cingi la benda candida, Allegro, LA maggiore. Un classico stilema rossiniano (crescendo) sottolinea le parole Quel velo e quell'acciaro, cui Ottone risponde col suo Cingo d'amor l'insegna. Su un Andante in DO maggiore Adelaide si pone in attesa degli eventi (Se grate son le lagrime) e l'attesa finisce presto, con il coro che, tornando in Allegro e LA maggiore, annuncia che la battaglia è vinta (Alla gioia il cor prepara) consentendole di esultare (Temere un danno) impiegando gran parte dell'armamentario del bel canto: volate, picchiettati, trilli. Il coro (A tanto amore) pone il suo sigillo sul LA acuto del soprano.

Ancora un coro in DO maggiore (Serti intrecciar le vergini, che pare quello dei fanti il 24 maggio, smile!) glorifica Ottone e il suo valore, che gli ha permesso di sconfiggere Berengario per due volte in un sol giorno!

L'opera si chiude con Ottone che – legandosi al DO precedente - canta il terzo recitativo accompagnato (Questi, che a me presenta) e quindi l'aria Vieni, tuo sposo e amante, Maestoso, sempre in DO (dove compare un inciso che ci ricorda una marcia militare di Schubert). Qui intervengono brevemente Adelaide (Ah, tu sai di quanto ardore) e i due sconfitti (Dove ascondo il mio rossore). Poi esplode l'Allegro (Al trono tuo primiero) con un classico crescendo rossiniano che travolge Ottone e gli altri, su cui cala il sipario.
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Purtroppo a questa Adelaide manca – proprio alla radice, nel libretto – quel quid di pathos e drammaticità che servirebbe; invece spesso pare di assistere ad un oratorio, con tutta la componente di noiosità che lo caratterizza. E in una specie di oratorio l'ha in effetti trasformata la regìa di Pier'Alli: protagonisti sempre caratterizzati da movimenti lenti e solenni, masse corali per lo più statiche e spettatrici. Scene praticamente ridotte a proiezioni - sullo sfondo - di diapositive e filmati piuttosto elementari e talvolta discutibili, come il Garda ridotto ad aquitrino (questa, da gardesano d'adozione, al regista non gliela perdono davvero). Un orologio ha scandito i tempi dell'azione: si parte dalle ore 6 (sinfonia) poi alle 8 siamo in Canosso occupata, alle 10 sul Garda da Ottone, alle 13 di ritorno a Canosso per la fine del primo atto. Poi alle 15,30 il precipitare degli eventi e alle 18 la conclusione. Quindi 12 ore in tutto (unità di tempo, ecchè!) suddivise in 7+5 fra i due atti, e con tre slot nel primo e due nel secondo. Costumi di taglio ibrido, come le scarsissime suppellettili.

Sul fronte dei suoni buone notizie, anche rispetto alle ombre della prima (udita per radio) ombre che evidentemente, alla terza rappresentazione, sono state meritoriamente illuminate.

Il 32enne Dmitri Jurowski ha confermato le sue buone qualità, alla testa dell'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, ieri apparsa in piena forma (corni e strumentini in testa).

Jessica Pratt ha confermato quanto di buono già aveva mostrato i precedenza: un autentico trionfo per lei.

Trionfo che ha accolto anche Daniela Barcellona, dopo l'incidente di percorso della prima. Ieri la corazziera triestina (perfetta nei panni dell'imperatore crucco) ha dato il meglio, riuscendo anche a superare indenne le difficoltà che la parte presenta nelle note acute. Nelle scene dei due sposalizi (quello mancato e quello che chiude l'opera) è apparsa priva di elmo, sfoggiando così la sua lunga criniera, impreziosita da due folti basettoni… (smile!)

Bogdan Mihai non mi era dispiaciuto troppo nemmeno per radio, e ieri ha confermato di poter sostenere con profitto ruoli come questo di Adelberto.

Nicola Ulivieri ha meritato di più per la presenza scenica, veramente notevole, che per il canto (ma sappiamo che non è colpa sua se la parte non è quanto di meglio Rossini abbia prodotto). Tuttavia ha dato il suo valido contributo ai terzetti, quartetti e concertati in cui è impegnato (l'aria è di quelle che, anche se cantate benissimo, lasciano assai freddi).

Anche Jeannette Fischer (Eurice) ha avuto il suo momento di gloria (si fa per dire) dopo la sua discutibile aria del second'atto: più che dignitosa la sua prestazione.

Francesca Pierpaoli (Iroldo) ha assolto al meglio il suo compito, che sul fronte canto le assegna due interventi a fianco di cori.

Clemente Antonio Daliotti ha da cantare qualche recitativo secco e un paio di versi: e ciò ha fatto con diligenza.


Il coro di Lorenzo Fratini è spesso e volentieri chiamato in causa in quest'opera, e devo dire che si è meritato l'apprezzamento del pubblico, che alla fine ha decretato allo spettacolo un successo caloroso, con ripetute chiamate, applausi e bravo!
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2 commenti:

Amfortas ha detto...

Bellissimo lavoro Daland, complimenti! Sono felice di leggere da una persona autorevole che la Barcellona, dopo tutte le polemiche, ha cantato al suo livello consueto di fuoriclasse. E sono altrettanto contento per la conferma della Pratt. Bene!
Attendo la prossima recensione, ciao!

daland ha detto...

@Amfortas
Grazie! Per fortuna c'è ancora qualcuna/o che ti regala il piacere di andare a teatro!
A presto.