ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

09 maggio, 2011

L’Aida cinese del Maggio

 


Quarta rappresentazione, ieri pomeriggio al Comunale di Firenze, dell'Aida, che il 28 scorso aveva inaugurato la stagione estiva del Maggio.

Già diffusa in audio (alla prima) e in video (alla seconda) è stata accolta da reazioni mixed, come si usa dire: fra entusiastiche (campanilistiche?) ovazioni in loco e tiepidi, quando non freddi, commenti altrove.

Come giustamente ammonisce Amfortas, "Aida è… un lavoro intimista e lirico, poetico, che contempla anche un'esteriorità spettacolare che però non deve mai essere fine a se stessa." Il difficile è, naturalmente, trovare la quadra (ma qui credo che Bossi – visto lo scempio che fa abitualmente del và, pensiero - non ci possa proprio aiutare, smile!) Insomma, come riuscire a far emergere i sentimenti e i drammi personali dei protagonisti senza contemporaneamente castrare quelle qualità spettacolari che sono a loro volta profuse a piene mani nel libretto e soprattutto nella musica?

Personalmente sono convinto che poche opere richiedano, come Aida, un'assoluta intesa – prima di tutto programmatica, e poi esecutiva, naturalmente – fra regista, direttore e cantanti. E già fin dalla prima scena, perché lì vengono presentate sia la mortale triangolazione affettiva Radamès-Aida-Amneris, che le due insopportabili contraddizioni che dilaniano le menti e i cuori dei due protagonisti. A cominciare da Radamès, la cui romanza d'esordio non è una pura e semplice dichiarazione d'amore (donna non vidi mai… con tutto il rispetto per Puccini) per Aida, ma descrive la tremenda dissociazione – ancora inconsapevole - dell'animo dell'uomo che per acquisire meriti presso l'amata è portato a desiderare imprese guerresche che all'amata recheranno soltanto lutti e dolore. E non per nulla i cieli e le brezze che Radamès – o forse il suo subconscio - si ripromette di procurare ad Aida stanno lassù, vicino al sol (cantato morendo, almeno secondo Verdi) e non certo su questa terra. E Aida è a sua volta dilaniata da opposti sentimenti: l'amore per lo straniero e l'ancestrale richiamo del sangue e della patria. Insomma, il dramma che si profilerà alla fine del secondo atto e si materializzerà nel terzo e quarto è già tutto presente qui, in questo esordio apparentemente tradizionale e routinario. In questa Aida le cose per la verità non cominciano troppo bene, con Berti che sale sicuro e potente al SIb del sol, ma lo chiude in modo stentoreo e forte, senza la più piccola espressione. Meglio di lui fanno la He e la D'Intino, meno male.

Il finale secondo poi è la quintessenza del dualismo fra spettacolarità e dramma dei sentimenti: perché il fracasso e l'apparente tripudio del concertato generale nascondono invece mille stati d'animo. Precisamente sette: intanto quelli dei tre cori (sacerdoti con Ramfis, popolo col Re, prigionieri e schiavi) che manifestano sentimenti diversi: preoccupazione per le sorti dell'Egitto, giubilo per la vittoria, e rispetto per la magnanimità del nemico che ha restituito la libertà. E poi quelli dei quattro protagonisti, a partire da Amonasro che già medita la sua vendetta; e dei tre personaggi principali, ciascuno dei quali vive quel momento in modi del tutto diversi: Aida letteralmente disperata, Amneris al settimo cielo e Radamès che si rende conto del vicolo cieco in cui si è cacciato. Qui non abbiamo un Rossini buffo, dove il concertato è tipicamente un puro quanto mirabile esercizio vocale… e certo non è semplice per nessuno – regista, direttore, interpreti - far emergere in modo efficace tutte queste specificità, ma il peggio che si possa fare – e troppo spesso si fa - è presentare un'ammucchiata di gente indistinta e un minestrone di voci che si confondono in un gigantesco quanto incomprensibile grammelot (lascio immaginare cosa si può capire da ciò che mostrano ad un ascoltatore poco preparato le due righe del display!) In questa Aida per lo meno vediamo i tre cori (col Re e Ramfis) chiaramente distinguibili dai costumi che indossano e dalla posizione separata in scena, anche se poi son tutti lì impalati e cantano privi di espressione, o meglio, con la stessa espressione; quanto ai quattro protagonisti, la faccia di Amneris sembra ancor più da funerale di quella di Aida! Insomma, qui qualcosa di meglio magari si poteva pretendere (ecco, questa mi parrebbe una efficace soluzione, MIb acuto compreso, smile!)

A proposito di regìa e allestimento, l'impostazione del tutto tradizionale di Ozpetek potrà anche sembrare poco stimolante, ma personalmente certi stimoli – tipo ambientazione in un collegio, con Aida nel ruolo di sguattera – li regalo volentieri agli amanti delle novità. La scenografia di Ferretti è – a confronto di Zeffirelli – assai sobria e però sufficientemente appropriata; ben dosate, in tutte le scene, le luci di Calvesi (che nel finale ha la meticolosità di presentarci il sole che tramonta lentamente); più o meno appropriati i costumi di Lai e abbastanza convenzionali (quindi probabilmente ridicole agli occhi degli scafati) le coreografie di Ventriglia.

Il fronte musicale ha visto – nel gran trionfo generale di un Comunale stipato all'inverosimile – l'indiscussa preminenza dell'Aida di Hui He, voce penetrante, dal timbro scuro, ma caldo e capace di emozionanti acuti in pianissimo. Cosa ignota, quest'ultima, a Marco Berti, che pure mi è parso un Radamès più in palla del suo recente Calaf scaligero. Luciana D'Intino pare ormai dare tutto – e bene – sugli acuti, mentre la sua Amneris poco si fa udire dal centro in giù. Ambrogio Maestri ha sfoderato il suo vocione, ma la cattiveria di Amonasro dovrebbe – credo io, almeno - manifestarsi con mezzi diversi dallo schiamazzo; e poi, accidenti, più cerca di incarognire la sua espressione del viso, e più ti aspetti che se ne esca con un Udite, udite, o rustici (…smile!) Tagliavini e Prestia han fatto più che dignitosamente la loro parte di Re e Gran Sacerdote, con qualche problema a non farsi coprire nelle scene dove cantano assieme al pregevole coro di Piero Monti. Saverio Fiore e Caterina Di Tonno hanno degnamente completato il cast. Quanto a Zubin Mehta, ha diretto con la sicurezza e l'aplomb di un santone indiano (smile!): approccio prevalentemente intimistico – ergo appropriato – salvo le canoniche effusioni del trionfo e gli schianti sulle sguaiate imprecazioni di Maestri… Per lui pare ormai aperta la via della beatificazione in Santa Croce.

Insomma, un piacevole pomeriggio in una Firenze tutta imbandierata di blu europeo.


5 commenti:

Amfortas ha detto...

Beh Daland, trovare oggi un tenore che canti il si bemolle morendo è davvero difficile, per non dire impossibile. Bisogna accontentarsi di un acuto sicuro. Peraltro, tu sai che quella nota è assai pericolosa e che anche i grandi cantanti del passato che l'hanno affrontata in teatro sono pochini. Di questi, almeno Corelli e Bergonzi (mica pizza e fichi, smile)sono pure incorsi in incidenti piuttosto pesanti.
Piuttosto io auspicherei la soluzione Tucker o Toscanini, che mi pare alla portata di un maggior numero di artisti.
Grazie per la citazione, ti leggo sempre volentieri anche se commento pochino per mancanza di tempo.
Ciao!

daland ha detto...

@Amfortas
e' vero che Verdi stesso autorizzò - o meglio: avallò - il SIb all'ottava sotto, però quello lo potrei fare anch'io!
Onestamente penso di aver dato a Berti ciò che gli spetta, non di diritto, ma per ciò che ci ha fatto sentire.
Ora mi preparo per la Cio-cio-san di Genova, ciao!

Marisa ha detto...

Grazie!
Ho scoperto solo adesso il tuo blog che mi ha subito entusiasmato.
Ho letto molto poco ma quello che ho letto è meritevole di plauso, sei un critico raffinato e oggettivo oltre che di piacevle lettura.
Mi piacerebbe sapere se scrivi per qualche giornale o rivista musicale.
(Sono un'artista del coro del Maggio)
Un saluto

daland ha detto...

@Marisa
Sono io che ringrazio te per le gentili espressioni (mi fai arrossire... alla mia età!)

No, non scrivo altro che sul web e del tutto privatamente.

Complimenti per il tuo blog, dove ho visto il Gasparo: ma lo spunto te l'ho dato io, per caso? La foto sulla mia home-page l'ho scattata personalmente (sono un salodiano di adozione...)

Complimenti a te e al coro del Maggio (sarò lì per Makropulos a fine ottobre) ma il coro lo sentirò a settembre nella "messa cantata" di Mahler (non so ancora se a Torino o, più probabilmente, nell'altra mia città di adozione, Rimini).

Grazie ancora, ciao!

Marisa ha detto...

sì, ho visto la foto di Gasparo sulla tua home page ma ho trovato la stessa foto su google immagini e qui:
http://rete.comuni-italiani.it/wiki/Sal%C3%B2/Lapide_a_Gasparo_da_Sal%C3%B2

(grazie per l'ispirazione)