ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

15 aprile, 2010

L’enorme terza di Mahler a Bologna

Ieri sera il Teatro Manzoni di Bologna ha ospitato – in esemplare unico! – la sterminata Terza Sinfonia di Gustav Mahler, diretta da Asher Fisch. Con l'Orchestra e i Cori (di femmine e piccoli) del Comunale, si è esibita Veronica Simeoni.

Mahler aveva steso delle note programmatiche – poi ritirate dalla circolazione, ma di tanto in tanto ricomparse qua e là – per introdurre ciascun movimento della sinfonia, orientando l'ascoltatore a coglierne lo spirito. A parte l'iniziale Risveglio di Pan, irrompe l'estate, che a mala pena dà l'idea del gigantesco, complesso ed interminabile movimento che apre l'Opera, gli altri cinque sottotitoli hanno in comune Quel che mi racconta… E cos'è precisamente ciò di cui Mahler è in ascolto? I fiori di campo, Gli animali del bosco, La notte, Le campane del mattino e L'amore.

Comunque, rimossi i titoli (altri ancora ne aveva indicati informalmente) Mahler ha lasciato esplicitamente in vigore la suddivisione dell'intera sinfonia in due parti: l'una costituita dal primo, ipertrofico movimento (che da solo occupa un terzo della durata totale) l'altra dai restanti cinque. (Qualcosa di simile il boemo farà per la sua ottava, con la giustapposizione del Veni Creator alle ultime scene del Faust.)

L'inizio è appunto un movimento (in struttura quasi da fantasia, più che da classica forma-sonata) che propone le più svariate idee, dalle frasi monumentali e solenni degli ottoni, agli squilli di trombetta, alle marcette da Prater di Vienna, con interventi del clarinetto in MIb (tipico delle bande). Insomma, un minestrone, ma di quelli proprio saporiti!

Segue il Menuetto: sembrerebbe una presa in giro, dato che siamo a cavallo fra '800 e '900! Ma poi si sviluppa con grande libertà (tempi di 3/8 e 2/4) e anche con momenti di fracasso, certo assai lontani dall'imparruccato Haydn!

Il terzo movimento è introdotto da un tema preso da un lied del Wunderhorn. Al trio compare la cornetta da postiglione (dislocata dietro le quinte, dovendosi udire da lontano) che intona una melodia che in certi tratti richiama (in tempo lento e ritmo languido) una Jota Aragonesa:








A un certo punto la trombetta in orchestra emette uno squillo che sembra ricordarci quello famoso del secondo atto del Fidelio, poi il movimento chiude con un crescendo di tutta l'orchestra.

Nel quarto movimento arriva il contralto a cantare versi del nietzschiano Zarathustra, ma a un certo momento, nei violini, sentiamo comparire nientemeno (!) che La Paloma:









Poi è la volta dei piccoli e del coro femminile a cimentarsi con i versi di un altro lied del Wunderhorn. Il contralto interloquisce con incisi di cui ci si dovrà ricordare nel Das Himmlische Leben che chiuderà la quarta sinfonia, e che in origine pare dovesse fare da finale a questa (ma sarebbe stato davvero troppo…)

L'incipit dell'ultimo movimento espone un tema parsifaliano, o magari cita (quasi alla lettera) l'Op.135 di Beethoven:












Questo Adagio anticipa in qualche modo quello della futura nona sinfonia: certo qui siamo ancora dei giovani di belle speranze, la vita – posizione, famiglia, opere – è ancora (quasi) tutta davanti… là invece vi si sentirà la fine vicina e vi si accumuleranno ricordi di cose grandi e di grandi disfatte. Ma insomma, il Mahler che troviamo qui è già (e sempre, potremmo dire) lui. Anche quando cita esplicitamente un inciso dell'Otello (prima scena, la tempesta):











Effettivamente, in questa sinfonia c'è ampia materia probatoria per tutti coloro che denigrano Mahler, riconoscendogli come unico merito quello di essere un gran scopiazzatore; insomma, di scrivere della Kapellmeister-Musik, musica che un direttore d'orchestra compone assemblando idee, motivi, temi, ritmi e quant'altro (altrui) gli rimane in testa di tutto ciò che interpreta ogni giorno salendo sul podio.

Personalmente tendo ad assolvere il nostro, soprattutto quando – ed è il caso di Bologna – la sua musica ci viene propinata più che dignitosamente. Del resto, nessuno ha inventato mai nulla (salvo Adamo, smile!) e lo stesso Wagner (tanto per dire) ha fatto ampia man-bassa di suoi predecessori – dal vituperato, perché ebreo, Mendelssohn, al più vituperato ancora, perché ebreo e in più non abbastanza compiacente, Meyerbeer!

Asher Fisch (guarda caso, un ebreo!) deve avere invece un'affinità elettiva con Mahler (anche se qui l'ebreo Mahler sta abbracciando il cristianesimo) un po' come Bernstein, ma anche come il filo-nazista Mengelberg (guarda un po' come va il mondo…) Il direttore israeliano rispetta la partitura al millimetro e l'orchestra lo asseconda alla grande. Ottoni strepitosi (salvo qualche piccola défaillance dei corni, solo nei movimenti interni) - compreso il solista alla cornetta, che non ha mancato una virgola - legni impeccabili e archi (viole messe in prima fila, violoncelli arretrati) sempre precisi e convincenti. Solista e cori hanno un compito non proprio improbo (come nell'ottava, per dire) ma se la cavano benissimo: la Simeoni porge il suo Nietzsche con grande nobiltà e una bella voce calda e poi accompagna i cori di Paolo Vero e Silvia Rossi che scandiscono i bimm-bamm delle campane.

Alla fine applausi convinti (inquinati da un paio di ululati di disapprovazione? ma per che cosa o chi?) e simpatica passerella dei ragazzi, ragazzini e piccoli della Rossi che scendono in platea a ricevere il meritato riconoscimento. Ancora diverse chiamate per Fisch e ulteriori ovazioni per tutti.

Brava Bologna a darci di queste emozioni!

2 commenti:

mozart2006 ha detto...

Ugo Duse, il grande stuidioso mahleriano e mio insegnante di Storia della Musica all´università di Venezia, amava tantissimo la Terza mentre invece criticava parecchio la Seconda.

daland ha detto...

@mozart2006
Aver studiato con Duse dev'essere stata una bella esperienza!
A giudicare da quanto ha scritto nel suo libro su Mahler direi che le critiche alla seconda tutto sommato non sono poi distruttive. Certo, non fu pensata da subito in modo coerente e completo, ma costruita via via a pezzi. In fondo sono due opere gigantesche che hanno anche molto in comune.