ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

29 aprile, 2010

Carlo Felice: un Tristan con lo sconto

No, non era una riduzione del prezzo dei biglietti… siamo a Genova, figuriamoci. No, si è trattato di un generoso regalo alla coppia Storey-McKrill (ma soprattutto al primo) sotto forma di un brutale taglio al grande duetto del secondo atto, sei strofe a testa abbuonate ai due protagonisti! Sarebbe interessante scoprire se si sia trattato di un episodio (magari legato alla presenza imprevista del tenore britannico, che doveva avere un turno di riposo, rimpiazzato da Sergey Nayda, ma che l'altoparlante, dopo l'intimazione a silenziare i telefoni, ha annunciato in scena) o invece non fosse un provvedimento già pianificato in partenza. In tutti i modi, nobbuono.

Invece chissà se un bel taglio ai prezzi d'ingresso non avrebbe contribuito ad evitarci l'immagine di una platea sì e no riempita al 50%. Sento dire che anche le recite precedenti non sono state da più… Brutto affare, perché porta acqua al mulino dei tagliatori di (teste) fondi e di chi sostiene che il teatro musicale non sia (più) un'arte da promuoversi con risorse pubbliche. Uguale a: buonanottealsecchio!

La performance: in sintesi, qualcosa fra il discreto e il mediocre, ma vediamo meglio, cominciando da regia&accessori. Intanto va premesso che in origine la regia doveva essere affidata a Giancarlo Cobelli, ma che poi se ne è fatto carico - proprio à la Wagner – il venerabile Gianluigi Gelmetti. Il quale – sulle scene di Maurizio Balò – ha fatto la cosa più saggia (per nulla ovvia ai tempi d'oggidì): applicare le direttive che l'Autore ha lasciato scritte sulla partitura fra, o sopra, o sotto i pentagrammi.

Peraltro qualche trovata gratuita la vediamo comunque, ad esempio: Tristan prima, e Kurwenal poi (già, lo scudiero imita sempre il condottiero!) si feriscono mortalmente con atti esplicitamente suicidi, afferrando le lance di Melot e Marke per trafiggersi con esse: trattasi nel primo caso di un'evidente forzatura dell'originale, nel secondo di un'invenzione bella e buona.

Invece dubito che siano dipese da Gelmetti alcune scelte francamente discutibili, legate all'impiego di movimenti mimici, sullo sfondo – ma non solo - della scena: nel secondo atto, a sottolineare il (tagliato) duetto d'amore e nel terzo a simulare lo scontro fra i fedeli di Kurwenal e quelli di Marke. Inoltre, all'inizio del terzo atto, vediamo ben 5 comparse in scena, dapprima immobili, poi indaffarate attorno a Tristan, che non sono assolutamente previste nell'originale e che finiscono per distogliere l'attenzione dello spettatore dalle vaneggianti esternazioni dell'eroe ferito.

Ma siamo sempre lì: Tristan è un'opera tutta cerebrale, centrata sull'introspezione psicologica, quindi assai statica, difficile da digerire; per di più in tedesco, lingua che pochi capiscono e che magari i cantanti sbiascicano male. E allora, per evitare che lo spettatore medio si esasperi, bisogna attirarne l'attenzione con qualche improbabile accessorio.

Altra domanda che viene spontanea: perché le ambientazioni, tutte, devono essere buie, spoglie e deprimenti? Nei primi due atti Wagner prescrive ambienti lussuosi (la nave ammiraglia del RE di Cornovaglia, perdinci!) e la residenza principesca di Isolde, immersa in una specie di parco botanico. Invece noi vediamo il fasciame decrepito di una barcaccia (smile!) che fa invariabilmente da pavimento e pareti. Certo, alla Scala un paio d'anni fa Peduzzi aveva fatto anche di peggio, ma questo non è un buon motivo per assolvere lo scenografo.

Com'è andata sul piano musicale?

Qualche osservazione ambientale. Gelmetti fa aprire il sipario sempre all'inizio – non alla fine – dei tre preludi: peraltro la scena è quasi al buio, si intravedono solo le strutture e i personaggi sono immobili. Quindi, tutto sommato, poco male, anche se vien da domandarsi perché l'Autore abbia puntigliosamente indicato sulla partitura la battuta precisa per l'alzata del sipario.

Secondo: la voce del marinaio che canta la sua canzone all'inizio dell'opera e il suono del corno inglese che canta la sua melodia all'inizio del terzo atto arrivano forse un po' troppo da lontano. In compenso, alla conclusione del primo atto, le tre trombe e i tre tromboni previsti da Wagner sulla scena sono in realtà dislocati su due loggette che danno direttamente sulla parte bassa della platea. Per chi, come il sottoscritto, stava proprio lì sotto, un effetto sgradevolissimo, in quanto si udivano solo quegli ottoni, e nulla di quanto usciva dalla buca e dalla scena.

In dettaglio. Gelmetti – sempre senza bacchetta - ha fatto onestamente la sua parte, con un po' di discontinuità: nei primi due atti ha tenuto bene a bada l'orchestra, impedendo che coprisse le non potentissime voci dei protagonisti; ma nell'atto conclusivo ha mollato briglie e ormeggi e le voci han faticato a passare; penalizzato soprattutto Storey nel suo finale vaneggiamento. Discreta l'esecuzione dei preludi, con tempi sempre staccati appropriatamente e senza strappi indebiti. Qualche passo non ha avuto il giusto amalgama di suono (vedi i due passaggi dei violoncelli che annunciano l'arrivo di Tristan – atto II – dove il FA tenuto dei due corni ne copriva eccessivamente la melodia). Bellissimo invece l'effetto del corno inglese di Claudio Binetti (fatto salire sul palco alla fine a godersi un meritato applauso) nella gioiosa perorazione all'arrivo di Isolde nel terzo atto.

Ian Storey è stato un Tristan così-così: presenza scenica notevole, ma voce poco penetrante; francamente a due anni (e rotti) di distanza dal suo debutto nel ruolo alla Scala non mi è parso aver progredito di molto; è arrivato discretamente fino in fondo, grazie al fiato risparmiatosi nel secondo atto!

Elaine McKrill era Isolde: poco udibile nell'ottava bassa, buona in alto, però i due SI alla fine del duetto li ha francamente urlati. Discreto il Liebestod, anche se il conclusivo Lust lo ha tenuto sì e no una minima, anziché la prescritta semibreve. Problemi di fiato, evidentemente.

Brangäne era Monika Waeckerle. Prestazione più che dignitosa, la sua, voce potente e passante, forse un vibrato non troppo gradevole, però merita un plauso.

Jukka Rasilainen è stato un buon Kurwenal, la sua voce non si è mai persa, timbro forse troppo leggero per il personaggio, ma ottima resa. Per me, il migliore, con la Waeckerle.

Il König Marke di Andrzej Saciuk piuttosto discutibile: la voce c'è, ma l'interpretazione francamente ha deluso; già la presenza fisica, per chi ha in mente Mattila o Salminen, è imbarazzante (ma qui il poveraccio non ne ha colpa!) però il monologo del secondo atto lo ha tirato via (complice Gelmetti?) alla maniera di quei curati che recitano giaculatorie a mitraglia… tanto nessuno ci capisce nulla e ci si interessa!

Gli altri (Roberto Accurso, Melot; Antonio Poli, marinaio e pastore; Alessandro Battiato, timoniere) han fatto dignitosamente la loro parte, come il Coro di Franco Sebastiani.

Alla fine grandi applausi per tutti, assolutamente doverosi perché un Tristan è pur sempre un Tristan, mica noccioline!

Ma chissà se erano anche di liberazione, dopo quattro ore e mezza (ancora poche, per via dei tagli) di impegno. O perché nel frattempo l'Inter aveva raggiunto la finale?

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