bipolarismi

bandiera bianca vs bandiera nera

31 marzo, 2008

Ecco qua un’altra perla...

Non passa giorno senza leggere di una nuova scempiaggine perpetrata in nome del famigerato Regietheater.

Oggi tocca a Hans Neuenfels tornare alla ribalta con una sciagurata messinscena di Tannhäuser ad Essen.

Il bello è che - regolare - il regista si becca un fiume di buu e le rimostranze del pubblico... ma poi sovrintendenti, direttori artistici, manager teatrali continuano ad affidargli la regia di opere importanti.

Vien persino voglia di dar ragione a gente bizzarra e stravagante come questa, che interpreta i classici d’opera in forma rock: anche se dicono stupidaggini (del tipo: “Mozart era in fondo un rockettaro”) almeno sono sinceri e non prendono in giro nessuno, pretendendo di insegnargli qualcosa. E sono i più lucidi critici del Regietheater, quando affermano:

“Il problema di quegli allestimenti (le moderne regie, ndr) è che quei registi hanno paura di toccare la musica (...) Ambientano la scena iniziale della Traviata come un party nel 21° secolo, ma poi in questo party si suona un walzer con una orchestra d’archi! Ed ecco che ogni sforzo fatto per modernizzare l’Opera casca miseramente a terra”.

Ben detto.

28 marzo, 2008

Aspettando Fidelio

Chi - come lo scrivente - ha una particolare propensione (nel campo del dramma musicale) per Wagner sa benissimo quanto Beethoven stia su un altro pianeta (nel bene e nel male, si potrebbe dire…)

Con Wagner si soffre e si gioisce, ci si esalta e ci si dispera, si ride e si piange, ci si droga e ci si ubriaca, si odia e si ama… con Beethoven si può solamente ragionare.

Tutta la sua musica strumentale è ostinatamente fondata su un preciso programma interno: la proposizione del primato della ragione e della volontà positiva, come requisito indispensabile per il riscatto dell‘umanità; e così anche la sua (unica) opera è imperniata sul perseguimento di un obiettivo di giustizia, libertà e amore da parte di un essere umano, per di più di genere femminile (e si tratta di una donna normale, certamente non di un‘eroina nel senso classico del termine, men che meno di una moderna femminista o di una paladina delle quote-rosa).

Leonore si trova esattamente agli antipodi di tutte le femmine wagneriane (e, in genere, della letteratura romantica, musicale e non): lei agisce, positivamente e con incrollabile fede e volontà, per raggiungere un nobile e universale obiettivo.

Le wagneriane Senta, Elisabeth, Elsa, Gutrune, Isolde, Eva, Kundry (così come la bayroniana Astarte o la Gretchen di Göthe o l‘Agathe del Freischütz, per non parlare dell‘ispiratrice dell‘ideé fixe della Symphonie fantastique di Berlioz) sono puri oggetti di consolazione, strumenti di salvezza (o magari di perdizione) che esistono ed operano in funzione esclusiva del maschio infelice, sfortunato, perseguitato, o comunque variamente complessato.

Un tema come quello dell‘esaltazione dell‘amore coniugale - in nome del quale si è pronti a lottare contro un potere protervo, per ristabilire giustizia e libertà - poteva attrarre il puro e un pò ingenuo Beethoven (forse anche perchè lui non aveva mai vissuto la condizione di coniugato), mentre avrebbe fatto solo sorridere Wagner, che del menàge familiare ben conosceva tutte le meschinità, più che i valori (le sue stesse seconde nozze con Cosima Liszt sanno più di un‘operazione aziendale di merger&acquisition, che non di santificazione dell‘Amore…)

Beethoven sta a Wagner come Kant a Göthe; incarna, in musica, l’esprit de geometrie, contrapposto all’esprit de finesse… ma non c’è dubbio che l’uomo è fatto anche di carne, non solo di materia grigia: e questo spiega perchè noi possiamo essere attratti da Göthe più che da Kant e perchè Fidelio si rappresenta col contagocce, mentre Wagner si trova da sempre in quasi tutti i cartelloni.

27 marzo, 2008

Aspettando Parsifal 2008: storielle

Parsifal e i semi del Regietheater
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Wieland Wagner, alla riapertura di Bayreuth dopo la guerra e la denazificazione, sentì il bisogno di purificare l’aria del Festspielhaus e inaugurò una serie di regie minimaliste, volte a mettere in risalto il lato meno compromettente, ed anche il meno contestabile, delle opere di nonno Richard: la musica. Quindi: niente scenari tradizionali, e via i simboli più scomodi. Operazione assai azzardata (perchè quando si oltrepassano certi confini, si sa dove si comincia, ma non si può prevedere dove si andrà a finire) che infatti - dopo le iniziali meritorie e più che accettabili esperienze - portò lo stesso Wieland, e poi, morto lui, più ancora il suo fratello-minore (non solo di età, ma di comprendonio) Wolfgang, a percorrere la strada delle novità-a-tutti-i-costi e del più becero Regietheater, che tuttora impera a Bayreuth, complice addirittura la piccola Kathi, pronipote di Richard e figlia di Wolfgang, che già si è chiaramente espressa lo scorso anno con un’edizione trash dei Meistersinger.

Nei primi anni ’50, col Festival ancora da riportare ad una seria reputazione, Wieland si trovò in difficoltà a chiamare a Bayreuth uno dei mitici direttori del tempo: Hans Knappertsbusch. Costui era così contrario alle nuove regie di Wieland - quelle ancora tutto sommato interessanti e serie - che si rifiutava di dirigere, per non essere correo di tanti (a suo dire) obbrobri.

Per convincerlo a tornare, Wieland-Wolfgang gli promisero che avrebbero ripristinato - nel Parsifal - la colomba che nel finale (lo pretende la didascalìa originale) scende librandosi sulla testa di Parsifal. Ma la colomba era - appunto - uno dei simboli scomodi, e allora cosa architettarono i due fratelli registi per salvare capra e cavoli? Wieland fece appendere una colomba ad una fune legata alla sommità della scena, facendola scendere al momento opportuno. Il grande Kna, dal podio infossato dell’Orchestergraben, la poteva vedere benissimo, e fu contento di aver ripristinato il vero Wagner. Peccato che la colomba restava così in alto da non essere visibile nemmeno dalla prima fila, in cui sedeva la moglie del maestro. Finita la sacra rappresentazione, Kna si rivolse alla moglie con fare trionfante, esclamando: “visto che - grazie a me -Wieland ha finalmente rimesso la colomba?” Ma la moglie, candidamente, rispose: “io non ho visto proprio nessuna colomba” e si ebbe uno sprezzante: “voi maledette donne non sapete veder nulla!” Però, insospettito, Kna si informò meglio e - scoperta l’amara verità - da quel momento chiamò il nipotino di Wagner “Wieland, il farabutto”.

La storiella serve ad introdurre l’argomento del rapporto fra direttore e regista e delle rispettive diverse attitudini verso l’opera che devono insieme rappresentare. Il 25 luglio prossimo saranno Daniele Gatti e Stefan Herheim: due neofiti di Bayreuth e del Parsifal pieno (Daniele lo ha diretto in forma concertata a Santa Cecilia poche settimane fa).

(continua)

25 marzo, 2008

Segnali negativi

Oggi capita di leggere commenti come questo (dal blog MostlyOpera):

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Riassumendo: Questo Parsifal non è degno della Semperoper. Mi riferisco alla messinscena di Theo Adam (datata 1988): con poche eccezioni assomiglia genuinamente alle produzioni originali di Wagner a Bayreuth: noioso e tetro, con i cantanti che fondamentalmente se ne stanno passivi sulla scena e cantano all’uditorio senza interazioni. Nessuna traccia qui di “regia dei personaggi” (Personenregie). Sembra che questa produzione aderisca a quasi tutte le indicazioni sceniche di Wagner e quindi dovrebbe essere ideale per coloro che avversano le nuove tendenze del Regietheater. Ma ho il sospetto (a giudicare da applausi non entusiastici e da qualche buh) che anche gli spettatori più tradizionalisti non fossero impressionati dalla messinscena, nonostante la realistica rappresentazione dei vari simboli (Lancia, Graal, ...)
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Ora, se prendiamo per buona l’affermazione che questa messinscena di Dresda davvero “assomigli genuinamente alle produzioni originali di Wagner a Bayreuth e aderisca a quasi tutte le indicazioni sceniche di Wagner”, dobbiamo concludere - amaramente - che più una produzione è fedele alle precise indicazioni dell’Autore, e meno viene apprezzata! A questo ha portato la sciagurata “moda” del cosiddetto Regietheater.

Se non si è più disposti ad accettare le precise indicazioni di scena di Wagner (cui si dovrebbe lo stesso rispetto che si porta alle parole dei poemi e alle note scritte sulla partitura, poichè ciò richiede l’idea stessa di Gesamtkunstwerk) ma addirittura si pretende che esse vengano ignorate, per far posto ad “interpretazioni” più moderne e stimolanti... significa che non se ne accetta più l’opera tout-cour.

E allora: perchè non cambiare anche i testi, che sono spesso, francamente, pesanti e pedanti? E, già che ci siamo, perchè non cambiare anche la musica, rendendola meno bayreuthiana e pallosa?

20 marzo, 2008

Ammore brutto figlio de pottana

Tranquilli (per ora...): non è una versione trash dell’Atto II del Tristan.

E nemmeno si cela, dietro questo titolo, una canzonaccia da trivio, bensì una cantatina (poco più di 10’) per tenore e continuo di Alessandro Scarlatti.

Il quale ne compose circa 700! Su argomenti i più svariati, dal sacro al profano. Prese a modello - scusate se è poco - da tali Händel e Bach.

(per Pippo) quanti Festival di Sanremo ci si potrebbero fare?

19 marzo, 2008

Segnali positivi

La premiére del Festival di Pasqua a Salisburgo prevedeva Die Walküre, con i mitici Berliner guidati da Rattle. Successo per orchestra, kapellmeister (un pò meno) e cantanti (su tutti la Sieglinde Eva-Maria Westbroek).
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Ma il segnale positivo è la sonora buata che si è preso Stéphane Braunschweig, rinomato regista eurotrash.

17 marzo, 2008

È in arrivo (finalmente!) il Fidelio di Abbado

Domenica 6 e martedi 8 aprile il Teatro Valli di Reggio Emilia sarà - per una volta, ma che occasione! - al centro del mondo.

Ospiterà infatti il primo cimento in assoluto di Claudio Abbado con Fidelio, un avvenimento che qualcuno - a buona ragione - attende da una vita...

Abbado sta studiando Fidelio da almeno 30 anni e questo ciclo italo-spagnolo - ahinoi - potrebbe essere la prima e l’ultima sua interpretazione pubblica dell’Opera di Beethoven. Quindi non è fuori luogo avanzare qualche domandina sull’approccio che il maestro terrà:

a. Come tratterà i recitativi? Taglio totale, in modo da offrirci un distillato di pura musica, oppure rispetto totale del testo, nella tradizione del Singspiel (col rischio però di annoiamenti, agitazioni scomposte e perdita di concentrazione nel pubblico)? O un’onesta via di mezzo, per mantenere il filo narrativo del plot (però solo per i germanofoni... o il Valli ha il display di sottotitoli con la traduzione)?

b. La Leonore III verrà infilata fra le ultime due scene, come cominciò a fare Mahler più di un secolo fa, e come si vede spesso fare ancor oggi?

c. Verrà messo in risalto lo stacco fra il primo atto (leggero, mozartiano) e il secondo (virile, quasi romantico)? O invece sentiremo un Fidelio espressionista, senza sdolcinamenti e senza perorazioni drammatiche?

d. Insomma: avremo il Beethoven binario-razionale (bene-male, amore-odio, libertà-schiavitù, giustizia-tirannide, luce-oscurità) o un Beethoven lirico e problematico?

Per intanto notiamo che, a tre settimane da questo straordinario appuntamento, ancora ci sono (e per restare al solo web) parecchi posti invenduti. È questo un segno piuttosto preoccupante.

16 marzo, 2008

Ma naturalmente!

Claus Guth ha una reputazione da difendere, quindi si è dato da fare parecchio per il nuovo Ring che l’Opera di Amburgo metterà in scena (a partire da oggi, con Rheingold) da qui al 2010.















Come capirà al volo qualunque medio frequentatore del Rheingold, l’immagine qui riprodotta mostra l’incontro di Floßhilde con Alberich, nella prima scena.

Si distingue infatti chiaramente il letto del Reno, su cui giace l’oro (di colore rigorosamente giallo-arancione, come da didascalìa originale) illuminato dal sole che filtra nell’acqua.

A proposito della quale, anche Guth peraltro non riesce a rispettare alla lettera la prescrizione dell’autore. Che pretende che l’acqua del fiume si debba vedere muoversi da destra verso sinistra.

Ma non saremo tanto schizzinosi da non perdonare al nostro genio qualche marginale infedeltà al testo...

14 marzo, 2008

Zeffirelli è stantìo... meglio le torte di mele!

Nel giustificare anche le messeinscena più bizzarre (per non dire offensive) ci si appoggia normalmente sul concetto secondo cui “il gusto del pubblico cambia con il tempo” e quindi sul giudizio secondo cui un’ambientazione - accettabile 150 o 100 anni fa - oggi apparirebbe ridicola e farebbe totalmente scadere anche il valore poetico-musicale dell’opera.

Premesso che, nell’opera della tradizione “italiana”, libretto e ambientazione sono spesso nulla più di necessari, talvolta fastidiosamente tollerati, eccipienti nei quali mescolare il vero e unico ingrediente che conta (la Musica) si potrebbe anche immaginare che gli autori di tali opere - senza offesa per alcuno - forse sarebbero contenti che la loro musica fosse comunque rappresentata, con qualsivoglia regia e ambientazione, visto che le parole e la messa-in-scena non sono farina del loro sacco, e magari non sono mai piaciute a loro per primi...

Però, che ciò comporti anche di rappresentare l’Aida in un moderna fiera, dove nei festeggiamenti del trionfo si vedono ragazzini costretti ad affondare la testa in crostate alla frutta, dovremmo lasciar dire a tale Giuseppe Verdi da Roncole di Busseto, se sia auspicabile, tollerabile, o da perseguire per legge...

13 marzo, 2008

Quando bisognava addolcire la pillola...

Elektra di Strauss è stata in cartellone di questi tempi a Firenze e a Venezia. A proposito della Fenice, la prima rappresentazione di Elektra si ebbe nel 1938, presente Strauss. Eccone la locandona (dalla brochure del Teatro):
Prima la tragedia...
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e poi, per rimuoverne gli orrori
e scongiurare incubi notturni...
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...la farsa!

12 marzo, 2008

Parole che generano musica

Che la notazione musicale anglosassone (da A ad H) si presti a giochi musicali è noto da tempo: quante composizioni sono state scritte sul nome B-A-C-H (SIb-LA-DO-SI, nella notazione italiana)?

Il limite al giochino sta però nelle 8 lettere dell’alfabeto; il che impedisce, ad esempio, di scrivere musica a partire - che so - dal nome Toscanini oppure dal verso di quella pira l’orrendo fuoco (qui peraltro ci ha già pensato Verdi a vestirlo adeguatamente...)

Nei lontani anni ’60 madre Harriett Ann Padberg, che insegnava matematica e musica (come sono davvero intimamente connesse!) al Collegio del Sacro Cuore vicino St.Louis, e si era appassionata di computer (antidiluviane ed arcane macchine, rispetto alle odierne diavolerie) pensò di inventare un sistema che permettesse di tradurre in musica un qualsiasi testo.

Per avere un numero di note contenute in una ottava e insieme sufficiente a rappresentare (quasi) tutte le lettere dell’alfabeto anglosassone - sono 26 - decise di suddividere l’ottava in 24 note, sulla base di intervalli di ugual frequenza, pari a 18,333(3) oscillazioni/secondo. Partendo dal 24° multiplo (18,333 x 24 = 440 o/s, il LA4) costruì l’ottava con i successivi 24 multipli, arrivando quindi al LA5 (880 o/s).

Avute quindi a disposizione le 24 note (assimilò V=W e Y=Z o Y=I) potè cimentarsi con la costruzione di musica a partire da un testo. Definì, programmando il computer, dei temi musicali derivati da frasi compiute di 12 lettere. Naturalmente dovette aggiungere un bel po’ di altri ingredienti: il ritmo viene costruito secondo complessi algoritmi che si basano sul rapporto vocali-consonanti; poi definì regole per costruire accompagnamenti, voci a canone, etc.; infine istruì il computer su come creare le trasformazioni dei temi (sulla tradizione fiamminga?) e su come costruirci una fuga.

Chissà se, applicando l’invenzione ai versi della pira non ne esca qualcosa di più interessante di Verdi (?!) Oppure: come suonerebbe il famoso Treulich geführt ziehet dahin... (umlaut a parte) ?

Riferimenti:

Matthew Guerrieri
Harriett Padberg

07 marzo, 2008

Un altro genio che viene a spiegare Parsifal a noi poveri pirla

(recensione della messa in scena di Krzysztof Warlikowski alla Bastille, di Jorg von Uthmann , Bloomberg)
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Per Adolf Hitler, un fan della musica di Wagner, Parsifal era questione di purezza della razza. Krzysztof Warlikowski, che ne dirige la nuova produzione all’Opera Bastille, da parte sua lo interpreta come una storia della medicina.

La scenografa Malgorzata Szczesniak ha ambientato l’opera in un auditorium, che ricorda un laboratorio di anatomia, dove siedono i Cavalieri del Gral, come studenti che assistono ad una lezione. Amfortas, il re malato, entra appoggiandosi a stampelle e Titurel, suo padre, gira attorno su una sedia a rotelle.

L’auditorium è fiancheggiato da lavandini, una specie di marchio registrato da Warlikowski dopo le sue produzioni di Ifigenia in Tauride di Gluck e del Caso Makropulos di Janacek. Come Wagner, anche lui deve aver inventato i suoi leitmotive.

Il regista, che si autodefinisce un cattolico scaduto, fa del suo meglio per minimizzare il lato religioso dell’opera. Da ciò che si vede, non si indovinerebbe mai perchè Nietzsche, uno dei più ardenti ammiratori di Wagner, fosse poi rimasto così disgustato dall’improvviso attacco di devozione che aveva colpito il maestro.

Gran parte dell’Atto I è eseguito come un oratorio, con i cantanti seduti davanti ad uno schermo su cui di volta in volta appaiono disegni primitivi. Chi conosce la vicenda può decifrarvi la croce, la lancia e il calice. Chi la ignora, resta confuso come un puro folle.

Nell’Atto II ci sono tavolini con luci rosse che richiamano le Folies Bergère, il mitico cabaret. Le ragazze-fiore di Klingsor, in eleganti abiti da sera, spogliano l’eroe fino alle mutande... un’idea che avrebbe divertito Nietzsche, che maliziosamente insinuava che Parsifal fosse materia da operetta.

Disgraziatamente, Warlikowski butta al vento uno degli effetti più spettacolari di tutto il teatro wagneriano: la sacra lancia che resta sospesa sopra la testa di Parsifal, quando Klingsor cerca di ucciderlo. Chissà, forse qualcuno deve avergli segnalato che, in passate produzioni, il trucco aveva fatto cilecca e la lancia era finita dritta nella buca dell’orchestra.

L’Atto III, il più sereno dell’opera, è iniziato fra le proteste degli spettatori. Prima dell’attacco del preludio, è apparsa sul sipario la scena finale del film del ’48 di Rossellini Germania Anno Zero, dove si mostra il suicidio di un ragazzo in mezzo alle rovine di Berlino. Ciò ha provocato adirati fischi e cori di Wagner! Wagner!

Più tardi il ragazzo è riapparso in scena, innaffiando uno squallido giardinetto, inducendoci ancora a simpatizzare per l’eroe stordito, che ha difficoltà a comprendere il senso di tutto ciò che lo circonda.

Musicalmente, il tutto è molto più coerente.
(omissis)
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(aspettando ansiosamente che qualcuno realizzi una buona volta la vision di Slavoj Zizek...)